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I fattori cognitivi che contribuiscono al mantenimento dell’obesità

Alta sensibilità al potere gratificante del cibo, scarsa flessibilità cognitiva e regolazione emotiva sono spesso fattori di mantenimento dell'obesità

Di Guest

Pubblicato il 19 Feb. 2017

Il mantenimento dell’Obesità e delle abbuffate è spesso dovuto a fattori cognitivi ed emotivi che sfuggono alla consapevolezza del soggetto, tra questi troviamo un’alta sensibilità al potere gratificante del cibo, scarsa pianificazione e flessibilità cognitiva, e l’incapacità nel regolare le proprie emozioni. 

Emanuela Olivetti – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto

 

Se l’alimentazione fosse controllata unicamente da meccanismi omeostatici, la maggior parte delle persone sarebbe al suo peso ideale e mangiare sarebbe come respirare, un compito necessario ma non eccitante. Il fatto che così non è suggerisce l’importante ruolo del sistema di ricompensa nella motivazione ad alimentarsi e aggiunge la possibilità che un consumo eccessivo di cibo possa riflettere una disfunzione proprio di tale sistema o nella interazione tra questo e il meccanismo di regolazione omeostatica (Saper et. al., 2002).

La letteratura recente sulla ricompensa e sensibilità a questa suggerisce l’esistenza di una alterazione dopaminergica, in particolare a livello mesolimbico, che potrebbe spiegare sia disturbi da uso di sostanza che la propensione a mangiare in eccesso e ad ingrassare (Devlin M. J., 2007).

 

Mantenimento dell’obesità e Disturbo da Binge Eating

Spesso associato all’aumento di peso, nonché al mantenimento dell’ obesità, in alcuni casi suo determinante, è il Disturbo da Binge Eating in cui, a ricorrenti episodi di abbuffata, caratterizzati dal mangiare in un determinato periodo di tempo una quantità di cibo significativamente maggiore di ciò che normalmente si mangerebbe nello stesso intervallo e nelle stesse circostanze, si associa la sensazione di perdita di controllo durante l’episodio stesso, in assenza di sistematiche condotte compensatorie (DSM 5 – Apa 2014).

Trattare il disturbo da binge eating e la riduzione delle abbuffate potrebbe prevenire ulteriori aumenti di peso (Yanovski, 2003), infatti in queste condizioni il dimagrimento sarebbe moderato ma sostenuto nel tempo, anche se, va specificato, la tendenza ad ingrassare non è determinata dalla frequenza ma piuttosto dalla quantità e qualità di cibo ingerito durante gli episodi di binge eating (Barnes et al., 2012).

Gli stati fisiologici associati all’equilibrio energetico (ad esempio, fame e sazietà) dovrebbero essere i maggiori determinanti del comportamento alimentare, anche se la scelta del cibo e della sua quantità possono essere fortemente influenzati dalle loro caratteristiche, come ad esempio gusto, colore e consistenza al punto che l’esposizione a stimoli alimentare altamente appetitosi può bypassare i segnali di sazietà e condurre ad una iperalimentazione.

 

Sensibilità al potere gratificante del cibo

Tra i fattori di mantenimento dell’obesità troviamo la sensibilità al cibo. Tutti gli individui reagiscono allo stesso modo di fronte a stimoli gustosi ma ciò che può variare è la sensibilità al potere gratificante del cibo (Beaver J. D. et al., 2006). Soggetti con una accresciuta sensibilità esterna al cibo (external food senitivity) presentano livelli ridotti di interazioni dinamiche tra i network responsabili dell’alimentazione. La sola vista di cibo appetitoso può indurre in questi individui un maggior incremento dei livelli soggettivi di fame anche in assenza dei relativi segnali omeostatici interni (Passamonti et al., 2009).

Tramite l’uso di risonanza magnetica funzionale -fMRI – è stato evidenziato come la vista di cibi allettanti corrisponda all’attivazione di un circuito neurale che include lo striato ventrale, l’amigdala, il mesencefalo e la regione orbitofrontale e come questo abbia un ruolo rilevante nella scelta della qualità e quantità di cibo da ingerire, in quanto ampiamente coinvolto nei meccanismi di ricompensa alimentare. La reattività di questo circuito varia al variare della sensibilità al cibo come ricompensa; individui con alti valori in questo tratto hanno esperienze più intense e frequenti di craving alimentari e sono molto più inclini a mangiare eccessivamente o a sviluppare un disordine del comportamento alimentare (Beaver J. D. et al., 2006).

 

Il ruolo delle funzioni esecutive nel mantenimento dell’obesità

Nel comprendere i meccanismi che favoriscono il mantenimento dell’obesità, le condotte alimentari disinibite e maggiori craving di cibo potrebbero essere spiegati anche da deficit a livello di funzioni esecutive (Spinella et al., 2004), un complesso sistema di competenze cruciali nella organizzazione, pianificazione ed integrazione di diversi processi cognitivi. Le funzioni esecutive sono implicate nella capacità di regolazione dei comportamenti impulsivi. Se è presente un deficit a questo livello, il processo decisionale potrebbe essere maggiormente influenzato da vantaggi diretti -cibo appetitoso – piuttosto che dai benefici legati al raggiungimento di obiettivi a lungo termine – non accumulare ulteriore peso – (Duchesne M. et al., 2010).

Questo aspetto può essere ulteriormente spiegato dalla distinzione tra processi decisionali in compiti ambigui e rischiosi. Nella condizione ambigua, la forza e la probabilità della ricompensa sono inizialmente sconosciute e vengono svelate attraverso feedback successivi alla scelta effettuata. Nella condizione di rischio invece queste informazioni sono esplicitamente disponibili. Le molte ricerche condotte su soggetti obesi e sul mantenimento dell’obesità hanno evidenziato come ci sia una preferenza proprio per questo secondo tipo di condizione, ovvero vi è la tendenza a scegliere ricompense immediate e dal valore attraente ma superficiale.

Una chiave di lettura per questo processo potrebbe essere individuata nella sensibilità alla ricompensa, per cui i comportamenti sarebbero motivati da stimoli in grado di produrre un appagamento immediato. In particolare, la sensibilità alla ricompensa ha un alto impatto sia nei compiti ambigui che rischiosi ma, mentre non ci sono differenze tra soggetti con obesità e soggetti non obesi nella condizione di scelte ambigue, è invece emersa una più spiccata tendenza dei soggetti con obesità e sovrappeso a scelte rischiose, dimostrando di essere maggiormente inclini a tollerare un minor valore di ricompensa (e quindi un rischio più alto) a patto che questa sia immediata, a fronte di una ricompensa maggiore ma posticipata (Navas J. F. et al., 2016).

 

Pianificazione e flessibilità cognitiva nel mantenimento dell’obesità

Il mangiare eccessivamente quindi non sarebbe l’unico fattore di mantenimento dell’obesità e non rappresenterebbe esclusivamente una risposta passiva ad un ambiente ricco di stimoli e ad una forte attivazione fisiologica (Duchesne M. et al., 2010), ma sarebbe anche correlato alla incapacità di posticipare la gratificazione immediata, a cui si aggiungono difficoltà di pianificazione, problem solving e una minore flessibilità cognitiva (Boeka A.T et al., 2008).

La pianificazione può essere intesa come la capacità di definire gli step che guidano e orientano i comportamenti o come l’attività simbolica che prefigura la sequenza di azioni necessarie al raggiungimento dell’obiettivo (Sannio, Fancello, Vio, Cianchetti, 2006). Se questa è carente, conseguentemente limitate saranno le possibilità di problem solving a cui il soggetto può attingere nel momento in cui si verifica un imprevisto.

Una scarsa flessibilità cognitiva potrebbe essere associata a difficoltà nello stabilire nuovi pattern di comportamento nelle attività riguardanti il cibo, aumentando la probabilità di alimentazione incontrollata o eccessiva. Una rigidità cognitiva associata a difficoltà nello shifting attentivo potrebbe essere alla base della difficoltà nel ridirezionare il fuoco attentivo da stimoli alimentari ad altre attività e potrebbe spiegare la tendenza a smettere di mangiare solo quando viene avvertita la sensazione fisica di disagio per l’eccessivo cibo ingerito (Boeka A.T et al., 2008).

 

La regolazione degli stati emotivi

La regolazione va intesa come la capacità di modulare i propri stati emotivi e di organizzare le risposte comportamentali adeguate. La prima modalità attraverso la quale questo processo prende avvio è proprio legata all’alimentazione, in un contesto in cui l’autoregolazione e la regolazione reciproca procedono in modo coordinato e l’equilibrio in questo scambio, tra madre e bambino, rappresenta la base per la differenziazione delle sensazioni fisiologiche dalle esperienze emozionali.

È un processo che origina dalla continua influenza reciproca tra le capacità innate del bambino di organizzare le risposte sensoriali provenienti dal mondo esterno ed interno e dalle ripetute interazioni con il caregiver di riferimento (Cuzzolaro M., 2009). Le capacità inizialmente possedute sono immature e limitate e le ulteriori abilità vengono trasmesse dalla madre che, rispondendo adeguatamente ai bisogni del bambino, lo aiuta nella regolazione degli stati emotivi ed affettivi.

Il riconoscimento di fame e sazietà, o di altri bisogni fisiologici, dipendono dalla combinazione specifica di una percezione interna e di una conferma esterna, che consiste in una risposta e in un riconoscimento di tipo empatico. L’evento fame-nutrimento viene quindi registrato nella memoria episodica e in quella procedurale e l’esito dell’incontro tra la percezione interna e la risposta a questa dà avvio al processo di organizzazione del sé (Lichtenberh, 1989).

Se le risposte non sono adeguate al bisogno espresso, il bambino sviluppa uno stile associato di autoregolazione caratterizzato da una aspettativa negativa rispetto ai propri sforzi (Speranza, 2001). L’allattamento e il passaggio alla alimentazione autonoma rappresentano quindi un momento di grande rilievo nella strutturazione del processo di autoregolazione e regolazione reciproca, in un contesto in cui le interazioni non sincroniche tra aspetti di regolazione fisiologica, comunicazione sociale e formazione del legame di attaccamento possono determinare disfunzioni nell’area dell’ alimentazione, che vanno dalla confusione tra stati fisiologici e stati emozionali fino alla strutturazione di disturbi alimentari (Cuzzolaro M., 2009).

 

Mantenimento dell’obesità: il rapporto tra emozioni e abbuffate

La letteratura esistente ha ben evidenziato, con riferimento al mantenimento dellobesità, l’associazione tra emozioni negative ed episodi di abbuffate compulsive. Il modello della regolazione emotiva postula che questa associazione rappresenta una relazione funzionale in cui l’episodio di binge eating è innescato da alti livelli di emozioni negative e, al tempo stesso, ha la funzione di mitigarne gli effetti.

L’abbuffata compulsiva è la strategia principalmente utilizzata nella riduzione e regolazione degli stati emotivi non desiderabili (Berge et al., 2015). In uno studio che indagava gli stati emotivi precedenti e susseguenti episodi di abbuffata nei soggetti con obesità sono state anche indagate, attraverso uno strumento self report (Positive and Negative Affect States – PANAS), undici emozioni negative ed ai soggetti è stato chiesto di valutarne l’intensità. Le emozioni sono poi state suddivise in quattro categorie: paura, ostilità, tristezza e senso di colpa. I risultati dello studio hanno dimostrato la presenza di un aumento del senso di colpa, vergogna, disgusto, insoddisfazione e rabbia verso sé stessi quattro ore prima l’episodio di binge eating e una loro significativa riduzione quattro ore dopo. L’abbuffata compulsiva ha la funzione quindi, in soggetti con obesità, di mitigare le emozioni negative, in particolare sembrerebbe funzionale ad evitare o ridurre sensi di colpa nel breve periodo, piuttosto che emozioni di paura, ostilità o tristezza (Berge et al., 2015).

Usare il cibo per gestire uno stato emotivo, come ad esempio “mangio perché ho bisogno di calmarmi” oppure “mangio perché ho bisogno di rilassarmi dopo una giornata di duro lavoro” può produrre nell’immediato un senso di benessere e rilassamento ma, se applicato con regolarità può condurre ad un abbassamento del livello di benessere psicofisico, dovuto in parte alla scarsità ed esiguità nella scelta degli stimoli gratificanti e dall’altro al non riconoscimento di stati emotivi come ad esempio ansia, tristezza e nervosismo a cui far corrispondere una risposta più adeguata del cibo alla risoluzione di eventuali problemi (Della Grave et al., 2013).

Un locus of control interno, in cui predomina la percezione che la propria vita sia regolata da qualcosa al di fuori del proprio controllo potrebbe portare a credere di non avere le risorse per controllare gli stimoli ambientali e per gestire stati emotivi negativi, che pertanto potrebbero essere vissuti come intollerabili (Montesi et al., 2016). Una più adeguata gestione dei propri stati emotivi potrebbe essere incentivata anche attraverso un aumentato senso di autoefficacia, che non coincide con la misura delle competenze possedute ma è rappresentata delle convinzioni circa la propria capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie a produrre determinati risultati (Bandura, 2000).

Una bassa autoefficacia (self-efficacy) influenza i meccanismi di autoregolazione dei processi motivazionali, tramite una minore quantità di impegno profuso in vista dell’obiettivo e diminuita capacità di perseverare e recuperare di fronte agli insuccessi e fallimenti incontrati nel percorso.

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