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Imagery. l’utilizzo delle tecniche immaginative nella psicoterapia cognitiva

L' imagery consiste nel fare rievocare al paziente con l'immaginazione ricordi dolorosi del passato per poterli rielaborare e reinterpretare.

Di Claudia Soldi

Pubblicato il 13 Feb. 2017

Aggiornato il 30 Set. 2019 14:59

Negli ultimi anni si è scoperta la pervasività dell’ imagery nei vari ambiti dell’esperienza clinica e si è anche osservato che le domande giuste permettono di scoprirne il ruolo ed il significato in vari disturbi. L’ imagery assume forme diverse a seconda del disturbo.

Claudia Soldi, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

Imagery: le tecniche immaginative

Immagine è una parola dotata di molteplici significati. In questo ambito è rilevante il concetto di “rappresentazione nella mente di cosa vera o fittizia per mezzo della memoria o della fantasia”. L’immagine mentale può infatti generarsi dal recupero di immagini percettive passate, può in alternativa essere di tipo ideativo o fantastico.

Nella clinica l’ imagery comprende una fenomenologia vasta costituita da immagini letterali e metaforiche, ricordi intrusivi ed autobiografici, allucinazioni, sogni, sogni ad occhi aperti ed incubi, esperiti in ogni modalità sensoriale (Hackmann et al,2014). Con l’ imagery si manifesta un canale diverso da quello verbale/semantico e si manifesta una connessione privilegiata con le emozioni.

L’implicazione terapeutica si manifesta sia a livello di assessment che di cura. Si identificano infatti immagini mentali disturbanti dotate di emozioni e significati associati per poi mirare ad una loro modifica ed elaborazione. Si presuppone infatti che elaborando l’immagine disturbante migliori la psicopatologia associata.

 

Caratteristiche dell’ imagery

L’ imagery possiede vari aspetti che la caratterizzano:
– può essere evocata da stimoli ambientali e presentarsi con varie modalità oltre al canale visivo,
– ha una parvenza di realtà al punto che viene definita simil-esperenziale e può giungere ad agiti comportamentali apparendo in alcune situazioni angosciante e reale. Influisce sul comportamento in modo significativo portando per esempio ad evitare gli stimoli che possono generarla. Tentativi di controllarla possono essere il rimuginio, la ruminazione o la messa in atto di comportamenti di protezione,
– può essere accompagnata da emozioni intense e da credenze ritenute perfettamente valide,
– può essere positiva o negativa,
– si auto-genera cioè l’immagine viene recuperata spontaneamente e involontariamente contrariamente a situazioni in cui l’immagine può essere creata o recuperata volontariamente,
– è caratterizzata da valutazioni metacognitive cioè da significati e credenze controproducenti su di essa,
– può presentarsi con qualunque modalità sensoriale (Visiva, uditiva, gustativa, tattile, olfattiva, somatica). Nella clinica ciò si differenzia soprattutto in base al tipo di disturbo all’interno del quale si manifesta. Generalmente domina quella di tipo visivo. Nel PTSD spesso i pazienti insieme all’immagine visiva riportano anche sensazioni quali il dolore (Rothschild, 2000).

Ha un fondamentale impatto sulle emozioni, per questo motivo risultano utili trattamenti psicologici che utilizzano le tecniche immaginative. Alcuni studi si focalizzano proprio sul voler dimostrare l’impatto dell’ imagery sulle emozioni mettendola a confronto con l’elaborazione verbale ed il ruolo nelle emozioni. Questo viene studiato per esempio da Holmes e Mathews (2006) i quali in una situazione sperimentale invitano alcuni partecipanti ad immaginare un determinato evento negativo descritto ed altri a pensare solo al significato verbale di quanto descritto: sarà il primo gruppo a presentare una reazione emotiva di paura più intensa dopo essersi immaginato la scena. Vari sono gli studi volti a dimostrare ciò, ai quali stanno seguendo studi volti ad elaborare teorie del perché questo canale risulti preferenziale dal punto di vista emotivo. Studi di brain imaging per esempio, evidenziano come l’ imagery coinvolga molte delle stesse regioni neurali utilizzate dalla percezione. Hanno quindi sviluppato la teoria dell’equivalenza funzionale secondo la quale visualizzare mentalmente un oggetto produce le stesse reazioni che vederlo realmente (Kosslyn et al, 2001).

 

Applicazioni cliniche dell’imagery

Negli ultimi anni si è scoperta la pervasività dell’ imagery nei vari ambiti dell’esperienza clinica e si è anche osservato che le domande giuste permettono di scoprirne il ruolo ed il significato in vari disturbi.

L’ imagery assume forme diverse a seconda del disturbo:

In uno studio sul PTSD per esempio, è stato chiesto ad alcuni partecipanti di descrivere la qualità ed il contenuto delle loro memorie intrusive a seguito di un evento traumatico. L’ imagery più comune è quella di tipo visivo, è vivida ed angosciante, focalizzata sul rivivere piccole sensazioni o eventi che hanno preceduto l’evento traumatico portando quindi la convinzione che questo segnali ciò che sta per accadere e può giungere al flashback dissociativo (Ehlers et al, 2002),

Studi si sono focalizzati sull’approfondire il fatto che nei disturbi d’ansia e nella depressione non si manifesti imagery positiva. Proprio per questo vedremo che la terapia assume tagli differenti a seconda che si focalizzi sull’eccesso delle immagini intrusive o anche sulla carenza di imagery positiva e adattiva come in questi disturbi.

In uno studio sul disturbo ossessivo-compulsivo si è studiata la prevalenza di immagini mentali in un campione di 37 soggetti affetti da DOC. L’81% dei pazienti, intervistato, riporta immagini mentali. In questi pazienti l’ imagery intrusiva comporta maggiori rituali ed evitamenti e un più alto grado di disagio connesso ai pensieri ossessivi. Le ossessioni si presentano sotto forma di immagine (Speckens et al, 2007).

Nelle pazienti affette da Bulimia Nervosa, le immagini legate all’aspetto fisico sono più vivide e disturbanti rispetto ad un gruppo di controllo che segue una dieta (Somerville et al, 2007).
Nella Fobia Sociale i temi tipici delle immagini ricorrenti e dei ricordi ad essi associati sono l’umiliazione, la sopraffazione, la critica o il rifiuto che sono stati subiti negli anni dell’adolescenza.
Per quanto riguarda il craving e l’abuso di sostanze invece si manifestano immagini spontanee della sostanza desiderata e di come ci si sentirebbe assumendola (May et al, 2004)

 

Intervento con tecniche immaginative

L’ imagery è uno degli ambiti più innovativi della terapia cognitiva, tuttavia l’idea che l’immaginario ed il suo simbolismo, potessero essere strumento di analisi e di cura per i disturbi psichici è nota fin dall’antichità.

In terapia cognitiva, già Beck ne rimarcò l’importanza sottolineando come immagini, fantasie, ricordi e sogni sono il mezzo principale per accedere ai significati che diamo all’esperienza (Beck, 1971). Tuttavia è solo negli ultimi anni che si stanno sviluppando studi per comprenderne il processo e l’utilità. Il XXI secolo si caratterizza per una maggior trasmissibilità delle conoscenze a riguardo, con il tentativo di porre ordine a differenti tecniche inserite in modo disomogeneo all’interno dei protocolli. La ricerca evidence-based aumenta e favorisce quindi la verifica della validità delle tecniche immaginative, mostrando però allo stesso tempo controversie e giudizi differenti dal punto di vista della validità scientifica.

Oggi, le tecniche immaginative sono impiegate nella maggior parte degli orientamenti di psicoterapia attualmente più diffusi: in ambito cognitivo-comportamentale, ad esempio, la REBT, l’ACT, la Schema Therapy, la Desensibilizzazione sistematica e le tecniche di esposizione in generale. Anche nella Gestalt le tecniche immaginative hanno un ruolo molto importante, così come nella Musicoterapia Immaginativa e in altre correnti psicoterapeutiche. Ovviamente, basandosi su presupposti teorici differenti, esse sono utilizzate in modo diverso e di conseguenza diverse sono le applicazioni tecniche.

L’utilizzo dell’ imagery ha un ruolo chiave nell’aiutare i pazienti nel condividere le proprie percezioni interne, si lavora infatti con la produzione immaginaria del soggetto. Essa può essere applicata a livelli differenti: fondamentale risulta infatti considerarla come uno strumento di indagine ma anche come uno strumento di cura e distinguere fra un lavoro sull’immagine riproduttrice da uno sull’immagine creatrice.

Come già riportato, l’idea di affrontare i problemi del paziente tenendo conto non solo dell’aspetto cognitivo e comportamentale, ma dando importanza al lavoro a livello della visualizzazione mentale è presente anche all’interno delle scuole cognitivo-comportamentali. Kirchlechner riporta che [blockquote style=”1″]nel trattamento cognitivo-comportamentale le tecniche immaginative aprono la possibilità di confutare valutazioni disfunzionali peri e post-traumatiche e facilitare così l’integrazione dell’evento traumatico nella memoria autobiografica[/blockquote] (Kirchlechner et Al).

L’ imagery viene infatti applicata all’interno di svariati settori e per differenti disturbi ma, fra i disturbi, gioca un ruolo chiave per il PTSD. Studi dimostrano infatti che ci sono tecniche immaginative integrabili coi trattamenti CBT per il paziente PTSD. Si punta su due obiettivi: facilitare con l’aiuto del lavoro immaginativo una integrazione della memoria traumatica in una visione più funzionale; recuperare tramite la costruzione di immagini di rielaborazione e di superamento della situazione traumatica, una interpretazione più funzionale dell’evento e delle sue conseguenze. (Boos, 2005). Queste tecniche hanno rilevanza perché attivano quel canale visivo, che è contaminato dalle intrusioni (Boos, 2004).

In generale una terapia efficace mira a una diminuzione della frequenza e della vividezza dell’ imagery intrusiva. Scopo dell’intervento è agevolare l’elaborazione emozionale e trasformare in modo costruttivo le emozioni disturbanti. L’intervento dovrebbe quindi portare ad una riduzione del numero di intrusioni delle immagini ed allo stesso tempo a diminuire l’evitamento o i comportamenti di protezione messi in atto.

In una fase preliminare di approccio all’ imagery è fondamentale indagare le valutazioni metacognitive del paziente al riguardo. Prima di tutto risulta fondamentale riconoscere la distanza critica di ogni paziente dall’immagine: alcuni pazienti, infatti, riconoscono che l’ imagery sia solo prodotto della propria mente mentre altri pazienti la ritengono reale. Tuttavia, anche nei pazienti che riconoscono che sia solo prodotto della propria mente, possono alterarne il significato per esempio identificandola quale un segnale di una situazione da evitare. Questo aspetto di premonizione ed evitamento coinvolge trasversalmente tutti i disturbi. Le credenze metacognitive giocano un ruolo fondamentale nel mantenere l’immagine intrusiva e nel mantenere comportamenti disadattivi. In una fase preliminare è fondamentale considerare il fatto che non tutti i pazienti hanno chiaro cosa sia l’ imagery e quindi è utile aiutarlo a comprendere cosa essa sia e cosa invece non sia definibile come imagery. Alcune persone addirittura possono avere la convinzione di non essere in grado di produrre delle immagini. In tal caso alcuni esempi nella quotidianità possono aiutarlo a rendersi conto di possedere l’abilità dell’ imagery.

Hackmann et al (2014) nel loro libro ipotizzano tre aspetti fondamentali per affrontare le immagini intrusive:
Il paziente deve trovarsi in un atteggiamento metacognitivo e riflessivo. All’interno di un’adeguata cornice relazionale, il paziente deve trovarsi in una finestra emozionale non troppo intensa da non permettergli di elaborare l’informazione e non troppo debole da non permettere una riflessione critica sull’immagine. Per tali ragioni indagare se il paziente per esempio prova forte disagio nel tenere gli occhi chiusi durante alcuni interventi e spiegargli anche accuratamente che alcune tecniche possono scatenare reazioni emotive molto intense motivandolo sull’utilità di questo processo. Una strategia funzionale per gestire queste emozioni è quella di stabilire insieme al paziente un segnale che può utilizzare quando l’emozione gli appare troppo forte per interrompere il lavoro o costruire insieme al terapeuta l’immagine di un “posto sicuro” e cioè un’immagine piacevole in cui possa “rifugiarsi” quando l’emozione risulta essere troppo disturbante. Il segnale di stop stabilito prima dell’intervento è cruciale perché fondamentale è riuscire a trasmettere calore ed empatia prima e dopo l’intervento ma durante l’intervento sull’ imagery il terapeuta deve mantenere una certa distanza per facilitare al paziente la scoperta dei significati personali.

Stimolare l’ imagery disturbante favorendo quindi l’emergere dell’immagine e invitare il paziente a “stare” nell’immagine per riportare più dettagli e significati possibili. In questo modo si riesce ad accedere ad un maggior numero di informazioni quali i comportamenti disfunzionali associati ed i vari significati ad essi associati. Allo stesso tempo l’evocazione ripetuta o prolungata porta a una riduzione del disagio emotivo ad essa associato e ad un’elaborazione emozionale più completa. Si è quindi cercato di comprendere quali siano i meccanismi che portano a questa riduzione del disagio emotivo e fra questi sono stati studiati il ruolo dell’abituazione, del senso di sicurezza presente nel setting terapeutico e la possibilità di rivedervi nuovi significati o anche elementi prima generalizzati ed ora non parte del trauma.

Stimolare lo sviluppo di nuove informazioni incompatibili per avviare una modificazione di questa imagery disturbante. Qui il terapeuta ha a disposizione strategie verbali (utilizzo delle tecniche cognitive classiche a fronte dei significati attribuiti all’ imagery disturbante, aspetto frequentemente utilizzato con il disturbo PTSD), strategie in immaginazione (a fronte dell’ imagery negativa e disturbante si può lavorare tendando di ridurre l’impatto dell’ imagery negativa oppure si può lavorare alla costruzione di una nuova imagery positiva) e strategie comportamentali. Ovviamente il ruolo del terapeuta è molto diverso a seconda che si trovi in una fase di esplorazione dell’ imagery del paziente (qui il terapeuta deve agire in modo da rendere sempre più vivida l’immagine e la descrizione che fornisce il paziente con anche i significati ad essa associati) o che si trovi nella fase di trasformazione dell’imagery del paziente dove riveste un ruolo molto più attivo.

A livello di tecnica gli interventi di imagery dovrebbero essere compiuti nei primi 30 minuti della seduta per poter utilizzare il tempo successivo a disposizione per permettere al paziente di terminare la seduta non in uno stato emotivo troppo intenso ma ancorato alla realtà. Prima di utilizzare l’ imagery sono necessarie alcune sedute psicoeducazionali e motivazionali. Non vi è un numero prestabilito di sedute in cui applicare le tecniche sull’ imagery in quanto in alcuni pazienti il cambiamento è repentino mentre in altri pazienti è molto più lento. Generalmente viene fornito quale homework al paziente una registrazione della seduta con il compito di ascoltarla nuovamente a casa in quanto ciò può aiutare il paziente a far emergere nuovi ricordi e consolidare nuove prospettive.

Prima di attuare gli interventi è quindi necessario un assessment dell’ imagery in modo da ottenere informazioni specifiche e dettagliate sull’immagine ed anche sul nesso con eventuali esperienze passate. Sono vari i passaggi utili in questa fase partendo dall’aiutare il paziente a “lasciarsi andare” nello spazio sicuro dello studio per far emergere l’immagine per passare poi ad una fase in cui il paziente, ad occhi chiusi, deve cercare di descrivere nel modo più dettagliato possibile l’immagine per passare poi all’elicitazione dei significati personali presenti in questa immagine. Oltre ai significati il terapeuta pone anche attenzione sui comportamenti che generalmente questa imagery porta nel paziente ed anche a come si sta comportando in seduta per mantenere sempre monitorato il livello di attivazione emozionale. Seguendo il modello della terapia cognitiva si utilizzano queste informazioni con il fine di costruire una microformulazione utile per il terapeuta per inquadrare il caso ed utile per il pazienze per contestualizzare la sua sintomatologia ed il lavoro immaginativo. All’interno di questa micro formulazione viene prima di tutto identificata l’immagine centrale per passare poi a rappresentare, all’interno di un diagramma, le cognizioni e le emozioni ad essa associate, le conseguenze che porta (per esempio l’evitamento di alcune situazioni) e quelli che sono i fattori che la rinforzano.

Un’attenzione particolare viene posta sul nesso fra l’ imagery disturbante ed esperienze passate. Questo collegamento spesso infatti, se non identificato, non permette miglioramenti in terapia e spesso è anche molto sottovalutato dai pazienti i quali ritengono che le immagini riguardino il presente o “segnali” per il futuro, ma faticano ad associarle ad episodi del passato. La “tecnica del ponte emozionale” si dimostra molto utile proprio per permettere al paziente di collegare cosa prova e come si sente in quell’immagine e quando in passato si è sentito allo stesso modo, la tipica domanda che viene posta al paziente è se è in grado di ricordare la prima volta che si è sentito così. Fondamentale è spiegare al paziente come spesso si voglia dimenticare un ricordo doloroso ma come per poter far ciò sia importante rievocarlo ed elaborarlo e non cercare di “nasconderlo”. Spesso infatti il paziente sopprime deliberatamente ricordi che altrimenti sarebbero troppo dolorosi. Abbandonare l’evitamento dei ricordi però permette loro di rimanere consapevoli ed operare importanti modificazioni cognitive. Prima di tutto la semplice rievocazione ripetuta di un ricordo prima negato permette già da sola di scoprire come l’ansia decresca e come non si verifichino le catastrofi immaginate. Inoltre, si può lavorare sull’immagine cercando di modificarla differenziando, per esempio, ciò che è reale da ciò che viene dal passato.

Come riportato in precedenza l’imagery è un settore molto ampio dove si distingue preliminarmente fra tecniche volte a incentivare l’ imagery positiva e tecniche volte a ridurre l’impatto dell’imagery negativa. A fronte di immagini negative diurne ricorrenti fra le tecniche utilizzate ve ne sono alcune volte a far lavorare il paziente sul mostrare la differenza fra la sua imagery e la realtà. Spesso il paziente ritiene, infatti, che i due aspetti coincidano, mentre esperienze di esposizione in vivo possono aiutarlo a ragionare su questi aspetti. Il paziente può anche essere stimolato a lavorare sul fatto che queste immagini spesso sono più legate al timore delle proprie possibili reazioni che all’effettiva situazione. In una fase successiva si passa invece alla manipolazione vera e propria dell’immagine al fine di renderla meno spaventosa. Fra queste tecniche si può scegliere di ampliare il contesto dell’immagine in modo da evitare che l’immagine rappresenti solo il momento peggiore oppure ristrutturare alcuni aspetti dell’immagine, il principio base comunque in questo caso è quello d modificare un’ imagery già presente e di tipo negativo. Contrariamente si può lavorare con la generazione di immagini positive alternative. Questo è stato dimostrato empiricamente per i Disturbi d’Ansia in uno studio di Borkovec (2004). Questi disturbi sono infatti spesso centrati su una preoccupazione e visione negativa del futuro e proprio per tale ragione la creazione di immagini positive presenti in minor percentuale può essere di grande aiuto.

L’ imagery inoltre può presentarsi, oltre che in forma diurna, anche in forma notturna, disturbando e spaventando il sonno del paziente che cerca di ritardare quindi il più possibile questo momento. Qui la strategia primaria che tentano di utilizzare i pazienti è la distrazione, tuttavia questo può spesso portare ad un peggioramento dei sintomi. Come per le immagini diurne il lavoro fondamentale consiste nell’ avvicinarsi all’immagine per poterla rielaborare e non nel tentativo di evitarla.

Infine un ambito interessante dell’ imagery utile in psicoterapia cognitiva è il lavoro con le metafore. Le immagini infatti “riflettono la nostra concezione dell’esperienza di sé, degli altri e del mondo, e racchiudono il significato stesso del percorso terapeutico (Hackmann, 2014). L’ imagery metaforica può essere utile per mettere in discussione i significati personali e sperimentare nuove prospettive da applicare alla realtà.

 

Conclusioni

In conclusione il lavoro sull’ imagery rappresenta un ambito molto esteso, conosciuto da molti anni ma che solo ultimamente risulta accompagnato da studi empirici volti ad avvalorarne l’utilità e le tecniche. Con le immagini mentali si esplora un’importante attività dell’uomo che deve essere presa in considerazione nel percorso di cura per evitare di tralasciare alcuni contenuti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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