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Il rapporto tra la demenza di Alzheimer e la depressione negli anziani

Negli anziani il rapporto tra demenza e depressione è piuttosto incerto, in quanto la depressione può precedere la demenza o risultare un disturbo specifico

Di Guest

Pubblicato il 14 Feb. 2017

In alcuni casi il confine tra demenza e depressione negli anziani è spesso incerto.
Sebbene la relazione tra demenza e depressione sia stata oggetto di ricerche nel campo della psichiatria geriatrica negli ultimi decenni, le considerazioni cliniche sono in continua evoluzione.

Elisabetta Pellegrini, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI Bolzano

 

L’allungamento della vita e le patologie più frequenti negli anziani

Negli ultimi decenni si è assistito al progressivo aumento della durata media della vita delle persone, la fascia d’età definita anziani è andata aumentando e le problematiche legate a questa fascia della popolazione sono sempre più imponenti e importanti da tenere in considerazione sia a livello sociale che sanitario.

La conseguenza più vistosa è rappresentata dall’aumento delle persone con patologie degenerative a carico del sistema nervoso centrale, con conseguenti elevati problemi di gestione assistenziale. Molte patologie del SNC si associano ad un aumento della prevalenza della depressione.
Nell’arco degli ultimi anni c’è stato un notevole mutamento nella considerazione dei sintomi depressivi degli anziani, si è passati da una visione pessimistica che li considerava come un aspetto insito nell’invecchiamento a un approccio che li ritiene l’espressione di una patologia indipendente da esso e per la quale possono essere messi in atto interventi terapeutici efficaci (Anderson, 2001).

Il riconoscimento precoce, la diagnosi e l’inizio del trattamento della depressione negli anziani presenta varie opportunità di migliorare la qualità di vita, di prevenire la sofferenza o la morte prematura e di mantenere livelli ottimali delle funzioni e dell’autonomia.

La diagnosi di depressione sebbene venga effettuata in soggetti di ogni età la sua maggiore incidenza nella vecchiaia è spiegabile considerando i lutti, i traumi psichici e gli stress che via via si accumulano nell’arco della vita. Oltre a ciò, spesso si associano una mancanza di risorse economiche e sociali, nonché l’inevitabile declino fisico. Il deterioramento del corpo è proprio uno dei motivi più frequenti nel determinare la depressione: l’anziano fatica ad accettare la perdita dell’autonomia, l’insorgenza di malattie, la trasformazione del proprio aspetto esteriore. La depressione negli anziani spesso può manifestarsi anche in forma “mascherata” mediante l’insorgenza di una sintomatologia algica al posto di quella psichica.

Il legame tra demenza e depressione negli anziani

In alcuni casi il confine tra demenza e depressione è spesso incerto.
Sebbene la relazione tra demenza e depressione sia stata oggetto di ricerche nel campo della psichiatria geriatrica negli ultimi decenni, le considerazioni cliniche sono in continua evoluzione.

Le attuali conoscenze in quest’area sono iniziate con i lavori di Roth (1955) e Post (1962) che hanno postulato che demenza e depressione costituiscono due disturbi separati e distinti. La difficoltà nel distinguerli è stata enfatizzata da Kiloh, che ha ripreso nel 1961 il termine introdotto da Maddem (1952) di pseudodemenza con il quale descrive un quadro clinico caratterizzato da una sintomatologia sovrapponibile a quella della demenza primaria, ma in realtà secondario a depressione e solitamente reversibile.

La diagnosi di pseudodemenza si basa sull’assenza del substrato organico specifico della demenza e sulla sua reversibilità. La diagnosi differenziale tra le fasi iniziali della demenza e un disturbo depressivo ad insorgenza tardiva può risultare difficile per la contemporanea manifestazione sia di sintomi cognitivi, come deficit mnesici e la scarsa concentrazione, sia di altri sintomi, quali l’apatia, il ritiro sociale e la scarsa energia.

Più recentemente le conoscenze tra demenza e depressione propendono verso l’evidenza che la depressione con sintomi cognitivi reversibili possa costituire un prodomo per la demenza, piuttosto che un distinto e separato disturbo. Un’altra possibilità è che la depressione possa costituire un fattore di rischio per la demenza.

L’importanza della depressione in corso di demenza è sottolineata dalle sue conseguenze. Poiché la depressione costituisce una condizione potenzialmente reversibile, il suo trattamento potrebbe evitarle. Le sue conseguenze sono un peggioramento della qualità di vita, una maggior compromissione nelle attività giornaliere, una maggior predisposizione a sviluppare disturbi fisici, una precoce istituzionalizzazione e un maggior peso a carico dei caregivers.

La frequente coesistenza tra le due condizioni ha stimolato la formulazione di diverse ipotesi sulla loro possibile associazione.

Una di queste è: la depressione come espressione del processo demenziale. Secondo questa ipotesi la depressione apparirebbe non come una sindrome autonoma, patogenicamente distinta dalla demenza di Alzheimer come richiesto dalla comorbilità, ma come una costellazione di sintomi, espressione dello stesso danno biologico che sottende il processo demenziale o i meccanismi biochimici correlati. Sono state avanzate due ipotesi per spiegare la correlazione tra sintomi depressivi e sintomi cognitivi:

1. Postula che la depressione possa rappresentare un prodomo della demenza, piuttosto che un disturbo distinto, che può precedere anche di molto tempo l’esordio del deficit conclamato. In altri termini, alcuni pazienti potrebbero essere portatori di una demenza subclinica in cui la depressione transitoria agirebbe come sorta di rilevatore precoce dell’affezione sottostante. Un possibile meccanismo risiederebbe nella perdita di neuroni noradrenergici, riscontrabile sia nella demenza di Alzheimer che nella depressione.

2. La seconda ipotesi postula che la depressione agisca come fattore di rischio per un’evoluzione demenziale. All’interno di quest’ottica per spiegare l’associazione tra demenza e depressione sono state proposte diverse ipotesi che adesso prenderemo in considerazione:

  • Depressione come reazione alla compromissione cognitiva: la depressione può anche essere considerata come una reazione al processo demenziale, legata alla consapevolezza nei primi stadi della demenza da parte del soggetto delle difficoltà cognitive ingravescenti.
  • Depressione come soglia: questa ipotesi propone che la depressione non agisca direttamente sul processo patologico della demenza ma piuttosto sulla soglia per la sua manifestazione. La depressione comporta, infatti, deficit cognitivi e motivazionali che si aggiungono a quelli esistenti nelle fasi iniziali della demenza e che conducono alla manifestazione clinica di quest’ultima.
  • Depressione come fattore causale: Salpolsky et al. hanno analizzato l’aumentata attività dell’asse ipotalamo ipofisi-surrene che si verifica nei disturbi depressivi ed hanno ipotizzato che nei pazienti depressi si verifichi un alterato meccanismo di feedback, con livelli cronicamente alterati di cortisolo che possono provocare una downregulation dei glicocorticoidi a livello ippocampale con successiva atrofia dell’ippocampo stesso.
  • L’altra ipotesi è che la depressione sia un’entità clinica indipendente dal processo demenziale: per poter usare correttamente il concetto di comorbilità, le sindromi in causa devono essere reciprocamente distinguibili dal punto di vista patogenetico. Secondo alcuni autori le modificazioni neurochimiche che si accompagnano ai quadri di depressione maggiore nel contesto di una demenza primaria sono qualitativamente diverse da quelle associate alla demenza, corroborando così i criteri diagnostici del DSM-5 per depressione maggiore in demenza primaria. Alcuni autori, seguendo un criterio ex adiuvantibus, sottolineano che la sintomatologia depressiva nel demente risponde spesso all’uso della terapia antidepressiva suffragando tale ipotesi. Infatti, se i sintomi depressivi appartenessero al quadro demenziale, la risposta tenderebbe ad essere assente e solo un eventuale trattamento del disturbo cognitivo potrebbe risolvere la sindrome affettiva. È stato postulato che la depressione maggiore nella demenza di Alzheimer si associ ad una preesistente vulnerabilità al disturbo dell’umore non espressa in precedenza, slatetizzata dalle modificazioni cerebrali in corso di demenza primaria.

Certamente la depressione, sia che preceda o accompagni la demenza, è fonte di sofferenza e disabilità non solo per il paziente ma anche per il caregiver e necessita pertanto di una terapia appropriata indipendentemente dal suo possibile effetto preventivo.
Differenziare in modo chiaro depressione e demenza, come si è visto, è molto difficile perché le due sindromi presentano alcuni sintomi che si sovrappongono.

Gli elementi che differenziano la depressione dalla demenza sono il suo esordio di solito rapido e individuabile e la consapevolezza del soggetto depresso dei propri sintomi cognitivi e della loro gravità. La demenza di Alzheimer, invece esordisce progressivamente ed il paziente non è consapevole della gravità dei propri disturbi. Il paziente depresso è molto dettagliato nel presentare le proprie difficoltà e incapacità, non fa nessun tentativo per risolvere i problemi mnesici e appare triste quando si confronta con situazioni che lo mettono in difficoltà. La perdita degli interessi e l’anedonia sono globali, il rallentamento riguarda tutte le abilità e l’intensità dei disturbi lamentati non è correlata al disturbo cognitivo effettivo. Nella demenza il soggetto, invece, è poco lamentoso, tende a sminuire le proprie incapacità, cerca in ogni modo di sopperire ai deficit mnesici e rimane indifferente di fronte a situazioni che possono metterlo in difficoltà. Sono assenti i sintomi vegetativi tipici della depressione e vi è un rapporto diretto tra disturbi cognitivi manifesti e comportamento.

Per fare diagnosi differenziale è necessario valutare longitudinalmente sia i sintomi depressivi che le funzioni cognitive. Le scale più utilizzate per valutare il tono dell’umore nell’anziano sono la GDS, la HAM-D e la Cornell Depression Scale.

La diagnosi differenziale della pseudodemenza depressiva dalla demenza primaria è fondamentale in quanto la prima, se opportunamente riconosciuta, curata e trattata, costituisce solitamente un disturbo solitamente reversibile.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anderson, D. (2001). Treating depression in Old Age: The reasons to be positive. Age and Agens, 30, pp. 13-17.
  • Kiloh, L. (1961). Pseudodementia. Acta Psychiatr Scand, 37, pp. 336-351.
  • Madden, J. J., Luhan, J. A., & Kaplan, L. A. (1952). Non dementing psychoses in older persons. Jama, 150, pp. 1567-1570.
  • Post, F. (1962). The significance of affective symptoms in old age. Maudsley Monography n°10 Oxford University Press: London.
  • Roth, M., (1955). The natural history of mental disorders in old age. J Ment Sci, 101, pp. 281-301.
  • Roth, M., Mounjoy, C. Q., & Amrein, R. (1996). Moclobemide in ederly patients with cognitive decline and depression: An International double-blinde, placebo-controlled tride. Br J Psychiatry, 168, pp. 149-157.
  • Salpolsky, R. M., Krey, L. C., & McEwaen, B. (1986). The neuroendocrinology of stress and aging: the glucocorticoid cascade hypothesis. Endocrine Reviews, 7, pp. 284-301.
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