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Anziani alla guida: e se avessi l’Alzheimer?

Per guidare bisogna possedere buone capacità di memoria e apprendimento; per questo per gli anziani alla guida è opportuno prevedere test di valutazione

Di Roberta Sciore

Pubblicato il 06 Feb. 2017

Aggiornato il 28 Mar. 2019 13:47

Dato l’espandersi dell’uso delle autovetture come mezzi di trasporto e data una società come quella italiana con la presenza di 13,4 milioni di ultra sessantacinquenni, risulta necessario domandarsi quali provvedimenti sia necessario intraprendere con un così alto numero di anziani alla guida.

Sciore Roberta – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

Nella nostra società, guidare è un’attività caratterizzante dell’autonomia e della dinamicità di ciascun cittadino adulto. Tale rilevanza è dimostrata dall’importante numero di patenti di guida richieste ogni anno in Italia e dalla presenza, sempre maggiore, di autoveicoli a due o a quattro ruote, circolanti  nel nostro territorio.

L’espansione di tale comune modalità di trasporto alimenta un dibattito affine a più discipline sul giudizio di idoneità dei profili dei conducenti degli autoveicoli. In particolare, in una società come quella italiana che in linea con le altre nazioni europee, vede la propria popolazione invecchiare progressivamente, data la presenza di 13,4 milioni di ultra sessantacinquenni pari al 22% dell’intera popolazione (DATI ISTAT 2014), risulta necessario domandarsi quali provvedimenti sia necessario intraprendere con un così alto numero di anziani alla guida.

In tal senso, i temi chiave di preoccupazione non dovrebbero essere circoscritti allo stabilire un’età limite indifferenziata per tutti ma dovrebbe procedere verso una valutazione multidimensionale delle abilità fisiche e cognitive di ciascun driver.

 

Anziani alla guida: quali rischi per la capacità di guida?

La capacità di guida viene definita infatti come una “competenza di alto livello” che richiede la simultaneità di attivazione di più funzioni intellettive quali: l’attenzione selettiva nel direzionarsi verso stimoli rilevanti, la reattività nel rispondere ai mutevoli cambiamenti provenienti dall’ambiente e la capacità di prevedere i pericoli (Adler et al., 2006).

Sono numerosi i fattori e le patologie conclamate presenti in misura predominante nelle persone anziane che possono minare tale competenza di alto livello, con rischio aumentato di sinistrosità stradale superiore a 1,5 per le persone malate rispetto alla popolazione sana.

Tra le più frequenti si possono trovare: le patologie neurologiche, le patologie psichiatriche, le apnee del sonno, i problemi di abuso di alcol o droghe ed il diabete mellito, così come anche i più generici deficit visivi, i disturbi del movimento o i problemi cardiovascolari che possono rappresentare un possibile rischio di compromissione dell’idoneità degli anziani alla guida (Charlthon et al., 2004).

Tra queste patologie, quelle neurologiche di tipo dementigeno risultano particolarmente predisponenti ad un rischio incrementale di incorrere in un incidente stradale, poiché determinano, nelle persone affette in misura variabile ma ingravescente e deterministica, una diminuzione nella risposta motoria e nella velocità di elaborazione (Duchek et al., 2003, Brown et al., 2005, Perkinson et al., 2005).

Avere una guida sicura significa poter svolgere movimenti abituali, divenuti con il tempo automatici (come ad esempio cambiare le marce o armeggiare con i pedali dell’acceleratore o della frizione), ma anche avere la prontezza di rispondere ai mutevoli cambiamenti che l’ambiente propone, aggiornando le informazioni in corso di elaborazione in tempi brevi e con una complessità variabile.

Guidare bene richiede pertanto buone capacità cognitive di memoria e di apprendimento le quali sono soggette a diminuzione di potenzialità nelle persone con demenza. Si è stimato quindi che gli anziani alla guida, con una diagnosi di deterioramento cognitivo, hanno una probabilità di essere coinvolti in un incidente stradale di  2-2,5 volte superiore ai propri coetanei sani (Hogan et al., 2008).

 

Alzheimer e guida: quando avviene il ritiro della patente?

Tuttavia, una diagnosi di Alzheimer non può e non deve essere subito considerata un marker discriminatorio per il ritiro immediato della patente. Come dimostrato dalla ricerca un po’ datata ma significativa  di Cox et al., del 1998, in cui è stata comparata la capacità di guida degli anziani tra popolazione sana e con Alzheimer, le persone con deterioramento cognitivo alla guida possono avere performance molto diversificate seppur globalmente peggiori rispetto alle persone sane.

In particolare, comparando prove effettuate mediante l’ausilio di un simulatore di guida, si è riscontrato che rispetto agli anziani sani, gli anziani con demenze andavano con il loro veicolo virtuale più volte fuori strada; guidavano per più tempo più lentamente rispetto ai limiti di velocità; non si fermavano agli stop ed impiegavano di più per stabilire le precedenze nella svolta a sinistra.

Tali errori presenti in pattern differenziali nel gruppo con patologia, confermavano non solo una pervasività della malattia diversa nei partecipanti con demenza, ma anche un’importante disomogeneità nei profili di guida. Questi risultati supportano l’idea che una diagnosi di Alzheimer non necessiti di un immediato ritiro della licenza di guida ma mette in allerta rispetto all’imprescindibile bisogno di approfondimento diagnostico caso per caso.

 

Anziani alla guida: i test di valutazione cognitiva

Inoltre, la demenza è una patologia neurodegenerativa in evoluzione continua per cui tale accertamento delle capacità psicofisiche degli anziani alla guida deve essere stabilito in una timeline definita di monitoraggio continuo. Molto spesso, nell’esplicare questa prassi valutativa degli anziani alla guida, vengono utilizzati test brevi di valutazione cognitiva globale come il Mini Mental State Examination (Folstein et.al., 1975), ma tale procedura rischia di essere poco sensibile nella valutazione dell’idoneità e della sicurezza alla guida (Crizzle et. al., 2012).

Anche le guidelines di altri paesi, come quelle proposte dall’American Medical Association (AMA) e dalla Canadian Medical Association (CMA), suggeriscono che anche altri test di valutazione globale, quali il test dell’orologio (Tuokko et al., 1995) o il Trial Making Test B (Givagnoli et al., 1996), apparentemente più complessi, non risultano essere esaustivi per tale compito.

Tali linee guida, supportate da dati significativi come quelli riportati dallo studio di Roy e Molnar del 2013, indicano che nessuno di questi strumenti ha sufficiente sensibilità e profondità da risultare predittivi delle capacità degli anziani alla guida e dell’abilità di conduzione di un autoveicolo.

Se i test di valutazione globale non risultano essere indicativi di una buona prassi valutativa dell’idoneità alla guida, si potrebbe partire, come è stato fatto in letteratura, dal considerare quelli che sono i maggiori errori commessi durante la guida dalle persone con demenza ed individuare quali sono le funzioni cognitive ad essi collegati.

 

I contributi dalla letteratura scientifica

I due importanti lavori di Uc et al., 2005 e di Rizzo et al.,1993, hanno permesso di confrontare anziani alla guida sani con persone con demenza di tipo Alzheimer ed  hanno identificato per questa attività errori importanti riconducibili ai domini cognitivi delle abilità visuo-spaziali e dell’attenzione nei campioni con patologia. Inoltre, questi studiosi hanno riscontrato nello specifico un deficit nel Useful Field of View (UFOV) (Ball et al., 1988) che è un compito che indaga l’attenzione visuo-spaziale. Tale task risulta essere strettamente correlato non solo ai generici errori su strada, ma ad un rischio incrementale di imbattersi in incidenti stradali.

Dopo aver descritto la natura multifattoriale dell’abilità di guida, definito i domini cognitivi specifici coinvolti e deficitari nei driver con Alzheimer e sottolineato i limiti dell’uso esclusivo di test di valutazione globale in tale contesto, potrebbe risultare chiarificatore indagare la forza dell’associazione tra tali indicatori del comportamento di guida e strumenti neuropsicologici, applicati nei contesti valutativi riferiti alle abilità visuo-spaziali ed attentive.

Tale finalità la troviamo in un recente studio di Yamin, Strinchombe e Gagnon del 2015. In particolare, questi autori hanno voluto esaminare il ruolo dell’attenzione, delle abilità visuo-spaziali e della cognizione globale nel predire il comportamento di anziani alla guida con diagnosi di Alzheimer moderato, mediante l’ausilio di un simulatore di guida. A questo studio, hanno partecipato 41 anziani con più di 65 anni con regolare patente di guida: metà di questi (gruppo sperimentale) avevano una diagnosi di Alzheimer moderato mentre gli altri, con funzionamento cognitivo nella norma, sono stati inseriti nel gruppo di controllo.

Coloro che appartenevano al gruppo sperimentale sono stati sottoposti alla Global Deterioration Rating Scale (Reisberg et al., 1982)  al fine di verificare se si trovassero ad una fase moderata della malattia, mentre per tutti è stato fatto il Mini Mental State Examination (Folstein et al., 1975) come screening d’inclusione. Le sessioni specifiche per la ricerca hanno previsto l’utilizzo della Mattis Dementia Rating Scale (DRS-2) (Jurica et al., 2001)  per il funzionamento globale, il Visual Object and Space Percepetion Test (VOSP) (Warrington et al., 1991) per le abilità visuo-spaziale, il test of Everyday Attention (TEA) (Robertson et al., 1994) e l’Useful Field of View (UFOV) (Ball et al., 1988), per l’attenzione.

I due gruppi hanno inoltre partecipato ad una sessione di guida simulata in cui veniva chiesto loro di guidare come erano soliti fare nella vita reale, rispettando le regole e i segnali stradali. Come atteso, i risultati hanno mostrato che i drivers con demenza hanno una performance con il simulatore di guida più povera rispetto agli anziani sani. In particolare, le persone con deterioramento cognitivo rispettavano meno i limiti di velocità ed i semafori e mantenevano con maggiore difficoltà il margine della strada.

Tale diversificazione di risultati ovviamente si riscontra anche nelle prove cognitive in cui gli anziani sani hanno ottenuto punteggi significativamente più alti. L’obiettivo fondamentale di questo studio è stato quello di valutare il contributo dei test neuropsicologici nel predire  il comportamento di guida nelle persone con demenza.

Di conseguenza, gli autori hanno calcolato il coefficiente di Pearson  tra i punteggi di ciascun test neuropsicologico e due indicatori presi dalla performance di guida simulata: il numero degli incidenti e il totale degli errori. I risultati non hanno mostrato nessuna relazione significativa tra i test di funzionamento globale (MMSE e DRS) e le misure di guida simulata. Al contrario, correlazioni significative con gli indicatori di guida sono stati trovati per le misure visuo-spaziali (VOSP) ed attentive (TEA ed UFOV).

Gli esiti hanno quindi mostrato come nessuna delle misure di funzionamento globale sono risultate significativamente correlate con la performance di guida negli anziani con demenza. Dati i risultati, il funzionamento cognitivo è legato alla guida anche se questa ricerca riporta come solo alcune delle abilità cognitive risultano essere maggiormente salienti per tale pratica (attenzione e capacità visuo-spaziale). I test di funzionamento globale come il MMSE, spesso molto usato nei servizi pubblici, risultano non essere sufficientemente sensibili ad individuare abilità fondamentali nella guida ed oggetto di deterioramento nelle persone con demenza.

Nel dettaglio, questo importante contributo sottolinea come negli anziani alla guida nonostante l’ Alzheimer, i deficit nelle abilità visuo-spaziali sono correlati con possibili incidenti stradali simulati. Questo può accadere poiché evitare un incidente richiede una rapida percezione degli stimoli, una veloce elaborazione delle informazioni ed un’appropriata risposta motoria: tutto questo spesso in contesti di guida complessi.

A queste complicazioni, a causa della patologia neurodegenerativa, si sommano le difficoltà nel recupero delle eventuali informazioni necessarie e pertinenti alle decisioni di guida, dovute a problemi nella memoria e alla aggiuntiva complessità di implementare le risposte elaborate, a causa dei deficit a carico delle funzioni esecutive.

In questo studio emerge inoltre come l’attenzione sia determinante nell’idoneità di guida. Questa infatti risulta essere strettamente correlata nei partecipanti con demenze al numero di errori totali commessi nella prova di guida simulata. Nel dettaglio proprio il test TEA mostra con quest’ultimi una correlazione importante, a sostegno dell’idea che sia proprio l’attenzione sostenuta ad avere un ruolo chiave nella sicurezza degli anziani alla guida ed è pertanto questo aspetto della cognizione da considerare centrale nei giudizi di idoneità nei drivers con deterioramento cognitivo.

 

Conseguenze psicologiche e sociali del ritiro della patente sugli anziani

Le conclusioni di questo recente studio identificano i deficit attentivi e visuo-spaziali e non i punteggi nei test di funzionamento globali, come marker predittivi degli errori alla guida negli anziani con demenza. Pertanto, un’esaustiva valutazione cognitiva dell’idoneità di guida può passare solo per la costruzione di protocolli neuropsicologici che approfondiscano tali domini cognitivi e non si fermino a punteggi globali non sensibili e poco indicativi della reale sicurezza.

Un iter valutativo così progettato deve essere di tipo multidirezionale poiché deve andare a quantificare sia i deficit presenti, mediante protocolli e test, sia le risorse di rete di supporto al paziente, optando per dei colloqui con i familiari ma sfruttando anche la conoscenza del territorio.

Questo approccio non riduttivo garantirebbe sicurezza per il malato e per gli altri, serenità per la famiglia e qualora fosse possibile, stabilire prima il momento di recesso dalla guida. Tale modus operandi  potrebbe permettere di trovare, in maniera concordata con il malato, modalità di trasporto alternative all’autovettura. Pertanto, l’importanza dell’autonomia e l’inclusione sociale delle persone con demenza devono essere riconosciute come aspetti fondamentali nella concettualizzazione del paziente.

Tale rilevanza deve investire non solo i professionisti che si occupano degli aspetti valutativi dell’idoneità di guida, ma anche l’opinione pubblica, i familiari e chi non affronta tutti i giorni queste difficoltà. La persona a cui viene tolta la patente si trova ad avere da un giorno all’altro un’indipendenza ridotta, una mobilità limitata che gli rende affannoso svolgere le attività essenziali per se o per la propria famiglia. Le conseguenze di questa decisione possono portare l’anziano a limitare le attività sociali e ricreative. Questi cambiamenti possono condurre a modificare il senso di identità personale, la soddisfazione per la propria vita ed il ruolo che la persona si sentiva di ricoprire all’interno della comunità di riferimento.

Tra le conseguenze psicologiche, a volte invasive, che possono far seguito al ritiro della patente di guida, ci può essere la comparsa di una vera e propria sintomatologia depressiva. In uno studio Ragland et.al, nel 2005,  hanno trovato la presenza di depressione clinicamente significativa in anziani a cui era stata tolta la patente tre anni prima e la pervasività di questa era maggiore in coloro per cui la guida aveva rappresentato un pilastro nella loro vita come ad esempio ex autisti di autobus o piloti. Bisogna inoltre sottolineare come lo studio considerato non era specifico per anziani con demenza.

Pertanto particolare attenzione deve essere data al contributo di questo studio in una popolazione con patologia dementigena, in cui la presenza di depressione è spesso presente ed oggetto di indagine diagnostica. Sicuramente l’autonomia data dall’utilizzo dell’autoveicolo rappresenta un punto di forza supportivo per il mantenimento di un possibile equilibrio psichico ed emozionale degli anziani alla guida.

Quindi un accurato esame neuropsicologico ampliamente argomentato precedentemente deve essere accompagnato da un accertamento motivazionale e valutativo dell’importanza che per quella persona riveste la possibilità di guidare, nei limiti sempre del mantenimento della sicurezza propria e degli altri. Anche la presenza di un coniuge o di  una persona vicina che guida e che propone la propria disponibilità, non sembra attenuare l’impatto emotivo forte causato dal ritiro della patente (Stearns, Sussman, e Skinner, 2004).

Il quadro psicologico già molto labile della persona con demenza viene aggravato dalle diminuite competenze che questi anziani sani hanno di far fronte alla incipiente scarsa autostima e alla crescente dipendenza. La persona con demenza può anche negare la propria difficoltà di guida: può non riconoscere il reale pericolo. Questa forma di negazione può far seguito anche al ritiro della licenza e può essere causa di forti conflitti con il caregiver di riferimento.

Pertanto potrebbe essere una buona prassi che il clinico spieghi al paziente, nel momento della comunicazione del giudizio di idoneità, le motivazioni che hanno portato ad esprimersi negativamente, favorendo in questo modo l’accettazione della decisione e della complessa situazione della malattia. Inoltre, il ritiro della patente di guida può influenzare il caregiver del malato di Alzheimer in altri modi. In primis i familiari si trovano spesso in un vuoto assistenziale per cui devono personalmente organizzare i viaggi, soprattutto quelli frequenti per le necessità sanitarie. Inoltre può accadere che il familiare non abbia lui la patente di guida e che fino a quel momento era il proprio coniuge a garantire il trasporto, per cui è il caregiver stesso, spesso improvvisamente, ad aver perso la mobilità personale se non è presente nel nucleo un altro adulto idoneo.

Quando le persone con deterioramento cognitivo smettono di guidare, per la maggior parte dipendono infatti dai propri parenti, solo una percentuale molto piccola utilizza i mezzi pubblici (Adler et al., 2006). Questo accade soprattutto in contesti, come quello italiano, in cui le città sono complesse, con molto traffico e in cui ancora non c’è una mentalità di pianificazione di una urbanistica protesica per persone con limitate possibilità di movimentazione autonoma, causate da deficit fisici e/o cognitivi.

Questi sono gli aspetti neuropsicologici e psicosociali salienti relativi all’idoneità di guida nella persona anziana con demenza. Tali peculiarità rendono la decisione di ritiro della patente per i professionisti un momento molto delicato e complesso. Solamente un’ adeguata preparazione e competenza da parte dell’equipè di clinici, coinvolta nella gestione di questo momento di transizione,  può rendere quello che apparentemente viene visto come una decisione di  limitazione una possibilità di cambiamento di stile di vita e di gestione diversificata delle risorse di rete presenti per la persona con morbo di Alzheimer, per la famiglia che se ne prende cura e per il contesto sociale più ampio.

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