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Gli effetti psicologi della disoccupazione: quando perdere il lavoro non porta solo problemi finanziari

La disoccupazione tocca nel vivo le persone: sono riportati fallimento e frustrazione che possono combinarsi con vissuti di sconfitta e di rassegnazione

Di Cecilia Tardini

Pubblicato il 10 Gen. 2017

Aggiornato il 30 Set. 2019 15:47

I disturbi psichici più spesso associati alla disoccupazione sono risultati essere l’ansia e gli attacchi di panico, i disturbi del sonno, gravi forme di somatizzazione, disturbi del funzionamento sociale, stress e, soprattutto, la depressione. 

Cecilia Tardini – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena 

 

Negli ultimi anni stiamo attraversando una crisi economico-finanziaria a livello mondiale, che inevitabilmente ha colpito anche l’Italia determinando un aumento del tasso di disoccupazione che continua ancora oggi. In particolare per quanto riguarda il nostro Paese, gli ultimi dati disponibili, riferiti al mese di aprile 2016, evidenziano un tasso di disoccupazione pari all’11,7%, in aumento di 0,1 punti percentuali su marzo (fonte ISTAT periodo di riferimento aprile 2016).

Questa condizione determina prevedibili effetti economici negativi, ma già da qualche anno si sta dando sempre più spazio all’analisi degli effetti della disoccupazione sugli individui dal punto di vista professionale, personale e sociale dimostrando come questo problema agisca in modo profondo sulla vita delle persone, assumendo una connotazione anche esistenziale. Migliore (2007) ha definito in modo dettagliato le conseguenze su queste dimensioni:

  • Professionale: l’uscita dal mercato del lavoro determina una progressiva riduzione delle conoscenze e delle competenze, svalutando il lavoratore, pregiudicando, di conseguenza, la possibilità di trovare altri lavori;
  • Personale: perdita dell’autostima e senso di colpa con conseguente disagio psicologico e perdita della motivazione, che può rendere più passivi gli individui e rendere ancora più problematico il reinserimento nel mondo del lavoro;
  • Sociale: esclusione sociale, riduzione dei rapporti interpersonali, perdita dell’identità e del ruolo sociale.

Da questi dati è possibile affermare come la perdita del lavoro incida sul benessere generale degli individui modificandolo, con ripercussioni sulla salute sia fisica, che psicologica, confermando quanto già evidenziato da molti studi presenti in letteratura (Kessler et al., 1987; Ferrie et al, 2002).

 

In che modo la disoccupazione agisce sulla salute

È da notare come la relazione tra disoccupazione e salute non sia lineare, ma complessa e modulata da alcuni fattori quali la durata della disoccupazione, le caratteristiche personali del disoccupato, i contesti socioculturali in cui il fenomeno si genera e le modalità con cui una società affronta la questione. Non è quindi facile stabilire in modo chiaro un nesso causale e la direzione che assume, ma sembrano essere tre i principali meccanismi attraverso cui la disoccupazione agisce sulla salute (Costa et al., 2004):

  • La povertà, per cui gli effetti sulla salute, in termini di aumento del rischio di depressione e di deterioramento della salute fisica, sarebbero direttamente determinati dai problemi finanziari.
  • La perdita del lavoro come evento di vita stressante e, in quanto tale, vissuto e percepito come un lutto per la perdita di alcuni benefici non economici connessi al lavoro, quali la strutturazione del tempo, l’autostima, il rispetto da parte degli altri, l’uso delle proprie capacità, lo status sociale, i contatti interpersonali e alcune motivazioni esistenziali. Tale stress risulterebbe in un incremento cronico dei livelli di ansia.
  • L’insorgenza di comportamenti dannosi per la salute, soprattutto l’abitudine al fumo e il consumo eccessivo di alcolici o sostanze stupefacenti. Repentine riduzioni del reddito potrebbero inoltre esporre a condotte più francamente rischiose e autodistruttive, esponendo ad un maggiore rischio di suicidio e tentati suicidi (Reeves et al., 2014).

Da quanto riportato emerge come il dramma della disoccupazione tocchi nel vivo l’esistenza delle persone: sono, infatti, frequenti disagio psicologico e insoddisfazione per le condizioni di vita. Molti studi presenti in letteratura hanno indagato gli effetti psicologici e vissuti emotivi caratteristici degli individui che vivono questa condizione. Sono riportati in particolare fallimento e frustrazione, sentimenti di vuoto, di inadeguatezza, di insicurezza e di inutilità che possono combinarsi con vissuti di sconfitta e di rassegnazione, con conseguente peggioramento dell’autostima e aumento del senso di inferiorità, di impotenza e della fiducia in sé stessi, negli altri, nella società e nel futuro (Costa et al., 2004).

Vengono spesso riportati anche vissuti emotivi di vergogna, solitudine, senso di colpa e sentimenti di rivalsa e di vendetta: vergogna in quanto la mancanza di un lavoro è spesso percepita come un difetto che suggerisce inadeguatezza e diversità in relazione alle aspettative del mondo esterno. La vergogna determina un isolamento affettivo, per cui le persone vengono emarginate o si autoescludono per paura di essere giudicate o non capite, una condizione che paralizza e impedisce di mettersi in gioco nuovamente.

Questo accentua ancora di più la solitudine e la possibilità di costruire relazioni d’amicizia, già compromesse a causa della mancanza di un lavoro.

Il senso di colpa scaturisce dalla convinzione di non essere stati capaci di mantenere il proprio posto di lavoro e di non poter così garantire alla propria famiglia e a sé stessi le stesse possibilità economiche e la stessa immagine sociale. Inoltre, a fronte di un sistema che promuove come valori la ricchezza e lo status symbol, chi non ha un lavoro tende a un ripiegamento su di sé e a ritenersi colpevolmente inadatto e senza un posto nella società.

Infine, con il passare del tempo e il prolungamento della condizione di disoccupazione, possono comparire anche sentimenti di rabbia, rivalsa e vendetta nei confronti di un sistema in cui, nel frattempo, gli altri riescono ad integrarsi (Secci, 2015).

 

Disoccupazione ed embitterment

I sentimenti di colpa e di vendetta sono presenti anche nel costrutto dell’embitterment (letteralmente = “amarezza”), definito come uno stato emotivo di lunga durata caratterizzato da una persistente e logorante sensazione di aver subito un torto e di essere vittima di una profonda e grave ingiustizia, a cui seguono sentimenti di umiliazione, impotenza e, appunto, desiderio di vendetta.

È uno stato psicologico che emerge in seguito ad eventi che il soggetto ritiene ingiusti, umilianti e denigratori, i quali vengono continuamente richiamati alla mente, con il rischio di creare nel tempo  un circolo vizioso in cui il soggetto è impegnato a rimuginare intensamente su quanto accaduto, incrementando l’embitterment. Queste persone possono cambiare repentinamente umore e passare dalla disperazione a sorridere al pensiero che possa essere fatta vendetta (Linden et al., 2007).

Sebbene il concetto di embitterment sia stato studiato più approfonditamente in anni successivi, già Zemperl e Frese (1997) hanno individuato per primi questo stato emotivo a seguito della condizione di disoccupazione prolungata. In quest’ultimo caso, come rileva Sensky (2009) il senso di colpa sopra descritto è da intendere non come una colpa verso sé stessi, ma piuttosto come un’attribuzione di colpe ad altri per essere stati trattati ingiustamente.

Più recentemente i dati di Zemperl e Frese sono stati confermati da uno studio di Linden et al. (2008) su un gruppo di disoccupati, rilevando che il 54,9% del campione presentava sintomi di embitterment e che i sintomi di ingiustizia sono frequentemente presenti nelle persone che perdono il lavoro. È stata inoltre confermata una relazione tra la durata della disoccupazione e la presenza di questi sintomi, suggerendo come quest’ultimi tendano ad aggravarsi in relazione alla durata della disoccupazione.

Alcuni autori hanno sistematizzato meglio questi vissuti emotivi in modelli suddivisi in fasi sequenziali, proponendo anche una sorta di adattamento alla condizione di disoccupazione.

Tintori (2007) ha individuato due fasi:

  • La prima è caratterizzata dal sentimento di esclusione e di essere stati rifiutati e dalla percezione di essere stati messi ai margini, non ritenuti più capaci e all’altezza. Da questi vissuti può emergere il dubbio sulle proprie capacità professionali e, per generalizzazione, si sé stessi come individui (autosvalutazione). A questi stati d’animo si può aggiungere anche la delusione che prende le sembianze del sentimento di essere stati traditi. In questa fase possono comparire anche momenti in cui si affaccia la speranza, anche se spesso appare più un atteggiamento, piuttosto che un autentico vissuto interiore: in questi casi l’individuo cerca di rincuorarsi e di intravedere le possibili soluzioni positive arrivando spesso a forzare la realtà. A questo proposito Gagne (1992) parla del ricorso al meccanismo di difesa della negazione: un atteggiamento con il quale il soggetto disconosce involontariamente la realtà, negando l’evidenza e che porta ad interpretare la disoccupazione come un’opportunità e un periodo di crescita personale.
  • La seconda fase è definita di depressione situazionale, legata ad una causa oggettiva che rientra quando il soggetto ne elabora il senso. tale operazione può risolversi in tre effetti psicologici diversi:
    • La ricostruzione di sé, che porta l’individuo a riconsiderare la propria storia e a dare senso all’esperienza negativa collocandosi in una prospettiva futura. In questi casi l’esperienza negativa diventa un punto di partenza e di rinascita, producendo cambiamenti inaspettati anche per chi la vive in prima persona.
    • La sospensione di sé lascia, invece, il soggetto in una condizione di impasse, in cui prevalgono inerzia e fatalità. La prospettiva futura è poco presente, prevale un senso di disillusione e una stato psicologico di malessere e di insoddisfazione.
    • La negazione di sé, in cui l’individuo non riesce a dare alcun senso all’esperienza negativa subita e la depressione situazionale non trova una risoluzione positiva, ma anzi, si consolida in una depressione vera e propria.

 

La disoccupazione come il lutto: le fasi dell’elaborazione

Anche Migliore (2007), concettualizzando la disoccupazione come un evento traumatico e riprendendo le teorizzazioni di Kubler-Ross (1975) relative all’elaborazione del lutto, ha individuato delle fasi che caratterizzano i lavoratori che perdono il posto e ha descritto una curva emotivo-motivazionale definita curva Zeta.

  • La prima fase è caratterizzata, in sequenza, da shock, negazione e liberazione. All’inizio si è sconvolti e si considera il licenziamento come un’aggressione personale verso la quale ci si sente impotenti. Il soggetto si isola per difendersi dalle opinioni degli altri e per evitare altre delusioni. Con la negazione si cerca di interiorizzare ciò che è successo e di affrontarlo. Compare anche rabbia, in quanto si diventa sempre più consapevoli della realtà. Segue poi la liberazione.
  • La seconda fase è, invece, caratterizzata da ottimismo: l’individuo è tranquillo perché può ancora contare su alcune risorse economiche ed è convinto di possedere la necessaria esperienza per trovare un facile ricollocamento nel mondo del lavoro.
  • Con il passare del tempo, però, ci si rende conto che la realtà è molto diversa e che trovare un nuovo lavoro è un’impresa difficile: subentra la terza fase, caratterizzata da pessimismo e paralisi in cui i soggetti perdono la fiducia nelle proprie possibilità e nel futuro. E’ un momento critico perché  subentrano sentimenti di inutilità, inadeguatezza, isolamento e solitudine, con ripercussione sull’umore e la possibile insorgenza di disturbi psicologici conclamati.
  • L’ultima fase è contraddistinta da riflessioni e adattamento: l’individuo soffre per l’assenza di un’occupazione, ma impiega il suo tempo nella ricerca di una nuova attività lavorativa o di impegni che riempiano le giornate, anche se si rimane ancora molto vulnerabili.

Ovviamente queste fasi non si presentano in modo rigido: ognuno, infatti, affronta la disoccupazione secondo le proprie modalità, energie e risorse personali e sociali, e l’impatto di questo evento dipende da come queste vengono messe in atto per far fronte alla perdita. Questo influenzerà in modo diverso l’adattamento a questa condizione (Price et al., 1998).

 

Disturbi psichici associati alla disoccupazione

Gli studi presenti in letteratura evidenziano, infatti, come gli individui disoccupati più vulnerabili e con meno risorse, siano maggiormente predisposti ad una esacerbazione di questi vissuti emotivi negativi, i quali possono facilmente evolvere in disturbi psicopatologici conclamati, soprattutto se non riconosciuti e opportunamente trattati.

I disturbi psichici più spesso riscontrati in questo campione di persone sono risultati essere l’ansia e gli attacchi di panico, i disturbi del sonno, gravi forme di somatizzazione, disturbi del funzionamento sociale, stress e, soprattutto, la depressione, individuato come il problema di salute mentale più diffuso e più sensibile all’impatto della crisi (Linden et al., 2008; Pelzer et al., 2014), portando ad un aumento della domanda di Servizi di Salute Mentale e del consumo di psicofarmaci (Starace et al., 2016).

È stato infine confermato come la disoccupazione giochi un ruolo importante nella maggior incidenza di suicidi (Reeves et al., 2014).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Costa, G., Spadea, T., Cardano, M. (2004). Disuguaglianze di salute in Italia. Epidemiologia e Prevenzione, 28 (3), 51-56.
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