expand_lessAPRI WIDGET

Il ruolo della famiglia nel disturbo ossessivo compulsivo nei bambini: evoluzione, mantenimento dei sintomi ed opzioni terapeutiche

Diverse variabili legate all’ambiente familiare sono implicate nello sviluppo e nel mantenimento del disturbo ossessivo compulsivo nei bambini

Di Elisabetta Momo

Pubblicato il 13 Gen. 2017

Aggiornato il 03 Set. 2019 15:15

Il coinvolgimento dei familiari nelle ossessioni e nelle compulsioni in in casi di disturbo ossessivo compulsivo nei bambini viene definito in letteratura come “family accomodation”: esso fa riferimento al modo in cui i i genitori, aiutano i figli nei rituali compulsivi, fornendo rassicurazione o modificando le loro abitudini.

Elisabetta Momo – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, Milano

 

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è un disturbo d’ansia caratterizzato da ossessioni, ossia pensieri intrusivi, ripetitivi e non desiderati e comportamenti o rituali mentali che hanno lo scopo di controllare l’ansia, definiti compulsioni. A differenza delle preoccupazioni ordinarie, le ossessioni e le compulsioni, occupano un tempo consistente nella vita del soggetto (più di un’ora al giorno) e interferiscono con le routine quotidiane, causando una compromissione della qualità di vita. Il disturbo ossessivo compulsivo ha una prevalenza del 2-3% nei bambini, con implicazioni in numerosi ambiti (Mullick et al. 2005; Valleni-Basile et al. 1995).

 

Il disturbo ossessivo compulsivo nei bambini

La diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo nei bambini può risultare difficoltosa in questa fascia d’età in quanto i sintomi possono non essere riconosciuti come tali dalla famiglia, dagli insegnanti e dai pari.

Spesso le ossessioni e compulsioni possono venire interpretate come oppositività, inosservanza delle regole o preoccupazioni prive di senso. Inoltre i bambini tendono a nascondere i loro sintomi, soprattutto a scuola. I genitori a casa, invece, possono osservare solo il risultato del disturbo: ore trascorse in bagno o soli nella propria camera, capricci per azioni che non possono attuare a modo loro.

La sintomatologia ossessiva nel disturbo ossessivo compulsivo nei bambini si manifesta con tematiche che riguardano la contaminazione, le aggressioni sia lesive che mortali, la simmetria e l’esattezza. Durante l’adolescenza le ossessioni posso evolversi e riguardare prevalentemente tematiche religiose o sessuali (Geller et al. 2001). Le compulsioni più frequenti invece, riscontrate nell’età evolutiva includono il lavarsi e pulirsi le mani, contare, pregare e controllare (Deacon et al. 2004).

 

Il ruolo della famiglia nello sviluppo e nel mantenimento del disturbo

In letteratura molte ricerche hanno indagato quali siano i fattori legati allo sviluppo e al mantenimento del disturbo ossessivo compulsivo. Tra i fattori individuati sembrano avere un ruolo importante quelli legati alla famiglia (Waters e Barrett 2000). Dato che bambini e adolescenti trascorrono numerose ore al giorno a contatto con la famiglia spesso questa viene attivamente coinvolta nei sintomi. La costante ricerca di rassicurazioni alle loro indecisioni e ai loro dubbi e l’evitamento di situazioni ansiogene portano i bambini affetti da Disturbo Ossessivo Compulsivo a diventare estremamente dipendenti dai familiari, i quali sono spesso portati a sostituirsi nei compiti e nelle responsabilità ai propri figli (Laidlaw et al. 1999).

Il coinvolgimento dei familiari nelle ossessioni e nelle compulsioni in in casi di disturbo ossessivo compulsivo nei bambini viene definito in letteratura come “family accomodation” (Lebowitz e Bloch, 2012). Un concetto che fa riferimento al modo in cui i familiari, solitamente i genitori, aiutano i figli nei rituali compulsivi, fornendo rassicurazione o modificando le loro abitudini allo scopo di allievare o di permettergli di evitare l’ansia. La famiglia può intervenire nel disturbo sia direttamente, inserendosi nei rituali, che indirettamente, modellando ad esempio la routine quotidiana attorno al sintomo. Si è visto che alti livelli di family accomodation sono associati ad una compromissione funzionale più grave nei bambini e a maggiori sintomi internalizzati ed esternalizzati (Storch et al. 2007).

La risposta familiare può essere descritta su un continuum che va dal genitore accomodante (eccessivamente premuroso) a quello antagonista (eccessivamente critico). Naturalmente si possono riscontrare famiglie nelle quali un genitore reagisce più sul versante accomodante e uno all’opposto, su quello antagonista. La risposta accomodante è caratterizzata solitamente da coinvolgimento e supporto dato al rituale dal caregiver, al fine di aiutare il bambino riducendo lo stress. Il genitore antagonista, invece, reagisce in maniera critica e ostile ai sintomi e si rifiuta di partecipare ai rituali. Può arrivare a forzare il bambino a esposizioni traumatiche allo stimolo ansiogeno, pur di interrompere i comportamenti compulsivi. In ogni caso si è dimostrato come entrambe le risposte genitoriali tendano a rinforzare il sintomo, aumentandone la frequenza e l’intensità (Calvocoressi et al. 1995; Lebowitz et al. 2012).

Oltre alla specifica risposta comportamentale che i caregiver forniscono ai figli durante i rituali, altre variabili, più legate all’ambiente familiare, sono implicate nello sviluppo del disturbo ossessivo compulsivo nei bambini. Queste possono essere delle caratteristiche dello stile genitoriale. L’espressione manifesta di emozioni connotate da criticismo e ostilità è più frequentemente associata a famiglie con bambini che hanno sviluppato un disturbo ossessivo compulsivo, inoltre è anche correlata alla gravità della sintomatologia (Renshaw et al. 2003; Van Noppen et al. 2009). Altre caratteristiche genitoriali associate possono essere un’eccessiva protezione o controllo, una scarsa fiducia nelle capacità del bambino, la mancanza di rinforzi e di stimolazione all’autonomia, basse abilità di problem solving e un atteggiamento connotato da senso di colpa. Queste caratteristiche favoriscono lo sviluppo nel bambino di comportamenti evitanti, preoccupazione e timore verso il mondo. Inoltre anche eventuali psicopatologie genitoriali, in particolare i disturbi d’ansia, possono esacerbare la sintomatologia del bambino (Kohlmann et al. 1988).

Studi condotti su adulti affetti da DOC e le loro famiglie, hanno dimostrato una scarsa correlazione tra la gravità dei sintomi e il livello di coinvolgimento dei familiari nella messa in atto di rituali. La relazione tra le due variabili appare quindi più forte solamente in casi di disturbo ossessivo compulsivo nei bambini, dove il tempo trascorso a casa e la dipendenza dai genitori sono maggiori (Amir et al. 2000; Albert et al. 2010).

Le famiglie entrano pertanto in un circolo vizioso che si autoalimenta in questo modo: il disturbo genera un carico di stress considerevole per i parenti del giovane paziente che, per alleggerirlo, si intromettono nel sintomo, cercando così di alleviare l’ansia. Ma come si è visto l’intervento diretto o indiretto nei rituali non fa che mantenerli, se non aggravarli in intensità e frequenza. Così facendo il carico di stress per la famiglia aumenta ulteriormente.

 

Il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo nei bambini

Visti i numerosi studi che dimostrano l’importanza che il ruolo della famiglia ha nel disturbo ossessivo compulsivo nei bambini, i trattamenti per tale disturbo devono tenere conto di questa importante variabile. Il trattamento di prima linea per il DOC è la terapia cognitiva comportamentale (CBT) in abbinamento a psicofarmaci (King et al. 1998). Tuttavia una parte di pazienti non mostrano miglioramenti significativi ai follow up (Garcia et al. 2010). Questo dato può indicare che ci siano alcune variabili che pregiudicano l’efficacia del trattamento.

Una di queste potrebbe essere la family accomodation, che nella CBT centrata prevalentemente sul bambino potrebbe essere sottostimata. Pertanto il coinvolgimento della famiglia è ampiamente consigliato, in modo da fornire un supporto globale al paziente e offrire ai familiari gli strumenti per aiutare il bambino ad applicare il trattamento anche nella quotidianità (POTS, 2004).

Esistono numerosi fattori che rendono il coinvolgimento dei familiari necessario per un buon esito della terapia. Innanzitutto, attraverso una prima fase di psicoeducazione, i familiari possono comprendere la genesi e le problematiche tipiche del disturbo ossessivo compulsivo nei bambini. In secondo luogo è utile intervenire sul coinvolgimento dei familiari nei rituali, in modo da interromperlo. Infine è importante insegnare ai genitori ad essere dei coach per i propri figli a casa, allo scopo di aumentare l’adesione e la motivazione al trattamento.

In una CBT basata sulla famiglia l’obiettivo del trattamento è quello di migliorare le relazioni familiari e ridurre la sintomatologia ossessiva compulsiva (O’Leary et al. 2009; Kircanski et al. 2011). L’intervento può comprendere delle sessioni individuali o di gruppo con i giovani pazienti e con i genitori separatamente, accompagnate da sessioni familiari con genitori e figli insieme. La CBT familiare per il disturbo ossessivo compulsivo nei bambini si compone di alcune fasi:

  • Psicoeducazione: in questa prima fase l’obiettivo è quello di fornire informazioni circa il disturbo. La sua natura, le cause, l’incidenza sulla popolazione, la durata, i fattori che influiscono su di esso e le opzioni terapeutiche vengono discusse con bambini e familiari. È importante per tutta la famiglia esternalizzare il problema, ossia attribuire i sintomi al disturbo e non al modo di essere del figlio, passando quindi da un’attribuzione interna ad una esterna. Inoltre è utile modificare la credenza, errata ma diffusa, che il paziente possa controllare il sintomo. Questo è importante soprattutto al fine di ridurre criticismo e atteggiamenti ostili nei confronti del bambino, che acuiscono sempre di più la sua ansia. Un ultimo scopo di questa fase è quello di far elaborare il fatto che sia il paziente che i familiari hanno un’influenza sul sintomo e che quindi tutti devono essere motivati e orientati allo stesso obiettivo.
  • Fornire strumenti ai genitori: in questa fase vengono descritti ai genitori degli strumenti da poter applicare quotidianamente allo scopo di aumentare la motivazione al cambiamento del proprio figlio e al contempo gestire efficacemente la sintomatologia. Questi strumenti possono comprendere la gestione dell’attenzione come mezzo di rinforzo, negandola al comportamento indesiderato e dandone di positiva al comportamento adeguato. Altra tecnica utile è quella della token economy, ossia un sistema a punti e rinforzi utilizzato per raggiungere un obiettivo prefissato e concordato col bambino. Infine può essere importante fornire metodologie per aiutare il figlio nella regolazione delle proprie emozioni.
  • Esposizione e prevenzione della risposta (EX/RP): questa tecnica prevede un lavoro attivo da parte di genitori e figli insieme. Ha lo scopo di esporre gradualmente il bambino allo stimolo ansiogeno e contemporaneamente di farlo astenere dall’agire la compulsione. Viene quindi preventivamente creata una scaletta gerarchica delle ossessioni e compulsioni, con il relativo grado d’ansia sperimentato in ognuna. Saranno affrontate per prime le ossessioni con intensità minore, fino ad arrivare a quelle che creano maggior disagio.
  • Homework: i compiti a casa sono tipici delle CBT. Vengono assegnati allo scopo di portare il paziente a raggiungere la padronanza sul proprio disturbo e di applicare quotidianamente gli strumenti appresi in seduta. Nel trattamento del disturbo ossessivo compulsivo nei bambini gli homework possono riguardare i vari step dell’esposizione. I genitori in questa fase avranno il compito di spronare i propri i figli a padroneggiare l’ansia durante l’esposizione, incoraggiandoli in maniera non critica. Dovranno inoltre gestire il proprio stress nell’assistere i figli in questa delicata fase e monitorare progressi e difficoltà incontrate, in modo da fornire informazioni essenziali al terapeuta.
  • Training per la gestione dell’ansia: questa tecnica è particolarmente utile per i pazienti con prevalenti sintomi internalizzati. Può prevedere strumenti come il rilassamento muscolare o la respirazione diaframmatica. Anche in questa fase i genitori possono essere coinvolti per apprendere loro stessi le tecniche, in modo da spronare il figlio ad utilizzarle durante le situazioni ansiogene e le compulsioni o per utilizzarle loro stessi.

Nei trattamenti CBT per il disturbo ossessivo compulsivo particolare attenzione va posta su quelle caratteristiche che possono pregiudicare il buon esito della terapia e favorire il dropout. In letteratura i principali fattori identificati sono: la family accomodation, l’atteggiamento antagonista o al contrario accomodante dei genitori, il criticismo ostile ed un eccessivo coinvolgimento emotivo parentale (Chambless et al.1999). Questi fattori di rischio andrebbero integrati nella terapia ed affrontati con homework specifici per questi aspetti.

In conclusione numerosi studi, come quello recente di Freeman e colleghi del 2014, hanno mostrato come la CBT familiare possa essere un trattamento molto efficace per il disturbo ossessivo compulsivo nei bambini, non solo per gli adolescenti e i pre-adolescenti, ma anche per i bambini più piccoli, dai 5 agli 8 anni. Per aumentare ulteriormente l’efficacia della terapia potrebbe essere preso in considerazione in ricerche future il coinvolgimento, in alcune fasi del trattamento, dei fratelli del giovane paziente (Smorti, 2012). Questa variabile, se trascurata, condurrebbe ad una sottostima di un’importante fattore quale la relazione fraterna, che potrebbe essere sia un ostacolo al trattamento o al contrario un’importante risorsa da sfruttare. Integrandola, invece, si potrebbe avere una visione globale del problema, aumentando quindi le probabilità di un buon esito e riducendo le recidive.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Albert, U., Bogetto, F., Maina, G., Saracco, P., Brunatto, C., Mataix-Cols, D. (2010). Family accommodation in obsessive-compulsive disorder: Relation to symptom dimensions, clinical and family characteristics. Psychiatry Research, 179(2), 204–211.
  • Amir, N., Freshman, M., Foa, E. B. (2000). Family distress and involvement in relatives of obsessive compulsive disorder patients. Journal of Anxiety Disorders, 14(3), 209–217.
  • Calvocoressi, L., et al. (1995). Family accommodation in obsessive compulsive disorder, American Journal of Psychiatry, 152(3), 441–443.
  • Chambless, D. L. & Steketee, G. (1999). Expressed emotion and behaviour therapy outcome: A prospective study with obsessive-compulsive and agoraphobic outpatients. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 67(5), 658–665.
  • Deacon, B. J. & Abramowitz, J. S. (2004). Cognitive and behavioural treatments for anxiety disorders: a review of meta-analytic findings. Journal of Clinical Psychology, 60(4), 429–41.
  • Freeman, J., Sapyta, J., Garcia, A., Compton, S., Khanna, M., Flessner, C., FitzGerald, D., Mauro, C., Dingfelder, R., Benito, K., Harrison, J., Curry, J., Foa, E., March, J, Moore, P., Franklin, M. (2014). Family-Based Treatment of Early Childhood Obsessive- Compulsive Disorder. JAMA Psychiatry, 71(6), 689-98.
  • Garcia, A., Sapyta, J., Moore, P., et al. (2010). Predictors and moderators of treatment outcome in the Pediatric Obsessive Compulsive Treatment Study (POTS I). Journal of the American Academy of Child Adolescent Psychiatry, 49(10), 1024–1033.
  • Geller, D. et al. (2001). Developmental aspects of obsessive–compulsive disorder: Findings in children, adolescents, and adults. The Journal of Nervous and Mental Disease, 189, 471−477.
  • King, R. A., Leonard, H., March, J. (1998). Practice parameters for the assessment and treatment of children and adolescents with obsessive-compulsive disorder. Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, 37(10), 27S–45S.
  • Kircanski, K., Peris T. S., Piacentini, J. C. (2011). Cognitive-behavioural therapy for obsessive-compulsive disorder in children and adolescents. Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America, 20(2), 239-54.
  • Kohlmann, C. W., Schumacher, A., Streit, R. (1988). Trait anxiety and parental child- rearing behavior: Support as a moderator variable. Anxiety Research, 1(1), 53–64.
  • Laidlaw, T. M., Fallon, I. R. H., Barnfather, D., Coverdale, J. D. (1999). The stress of caring for people with obsessive compulsive disorders. Community Mental Health Journal, 35, 443–449.
  • Lebowitz, E. R., Panza, K. E., Su, J., Bloch, J. M. (2012). Family accommodation in pediatric Obsessive–Compulsive Disorder. Expert Review Neurotherapeutic, 12(2), 229-238.
  • Mullick, M. & Goodman, R. (2005). The prevalence of psychiatric disorders in 5–10 year olds in rural, urban and slum areas in Bangladesh. Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology, 40, 663–671.
  • O’Leary, E. M. M. H., Barrett, P., Fjermestad, K. W. (2009). Cognitive-behavioral family treatment for childhood obsessive-compulsive disorder: A 7-year follow-up study. Journal of Anxiety Disorders, 23, 973–978.
  • Pediatric OCD Treatment Study (POTS) randomized controlled trial. (2004). Cognitive-behavior therapy, sertraline, and their combination for children and adolescents with obsessive-compulsive disorder. Journal of the American Medical Association, 292, 1969-1976.
  • Renshaw, K. D., Chambless, D. L., Steketee, G. (2003). Perceived criticism predicts severity of anxiety symptoms after behavioural treatment in patients with obsessive–compulsive disorder and panic disorder with agoraphobia, Journal of Clinical Psychology, 59, 411−421.
  • Smorti, M. (2012). The Impact of Family on Obsessive Compulsive Disorder in Children and Adolescents: Development, Maintenance, and Family Psychological Treatment. International Journal of Advances in Psychology, 1(3), 86-94.
  • Storch, E. A., Geffken, G. R., Merlo, L. J., et al. (2007). Family accommodation in pediatric obsessive-compulsive disorder. Journal of Clinical Child and Adolescent Psychology, 36(2), 207–216.
  • Valleni-Basile, L., Carol, Z., Jackson, K. (1995). Family and psychosocial predictors of obsessive compulsive disorder in a community sample of young adolescents. Journal of Child and Family Studies, 4, 193–206.
  • Van Noppen, B., Steketee, G., Pato, M. (1997). In Obsessive compulsive disorders: Diagnosis, etiology, treatment. New York: E. Hollander and D. J. Stein, Marcel Dekker.
  • Van Noppen, B. & Steketee, G. (2009). Testing a conceptual model of patient and family predictors of obsessive compulsive disorder (OCD) symptoms. Behaviour Research and Therapy, 47, 18–25.
  • Waters, T. L. & Barrett, P. M. (2000). The Role of the Family in Childhood Obsessive–Compulsive Disorder. Clinical Child and Family Psychology Review, 3(3), 173- 184.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Come il cinema fantasy può venirci in aiuto nella costruzione di una solida alleanza nella psicoterapia per giovani (nerd)

Nella psicoterapia per nerd si confina con un'altra dimensione: solo spingendosi oltre, si potrà costruire un linguaggio comune e poi l'alleanza terapeutica

ARTICOLI CORRELATI
All I want for Christmas is Truth. Scoprire che Babbo Natale non esiste è traumatico?

Quando i bambini scoprono che Babbo Natale non esiste? Verso gli 8-9 anni (ma vi è un’estrema variabilità). Come avviene questa scoperta? 

La diagnosi di sordità del proprio figlio: un percorso di elaborazione del lutto

In questo articolo vengono presentati i risvolti psicologici di ognuna delle cinque fasi di elaborazione della diagnosi di sordità

WordPress Ads
cancel