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Perché gli zuccheri creano dipendenza?

E' stato dimostrato come attualmente ci sia una sempre maggiore dipendenza da zuccheri e questa è una della cause della crescente obesità.

Di Ilaria Loi

Pubblicato il 12 Gen. 2017

Dipendenza da zuccheri: Attualmente, i cibi in commercio risultano essere a tal punto ricchi di zuccheri da ritenere che proprio questa sia una delle cause principali della vera e propria epidemia di obesità che affligge molti Paesi, soprattutto quelli occidentali. Il sovradosaggio di zuccheri, infatti, non solo porta ad un aumento esponenziale della quantità di calorie ingerite quotidianamente, ma anche ad una vera e propria dipendenza verso questo tipo di nutrienti.

 

La dipendenza da zuccheri

La dipendenza è una condizione medica tale per cui le persone manifestano un desiderio incontrollabile verso l’assunzione di una qualche sostanza o la messa in atto di una qualche attività, anche a fronte della consapevolezza dei rischi e delle possibili conseguenze negative che tali comportamenti possono comportare. Anche l’assunzione di zuccheri può portare, proprio come le classiche droghe, ad una vera e propria dipendenza; molte persone, infatti, non sono in grado di controllare il proprio impulso, definito craving, verso l’assunzione di qualcosa di dolce.

Attualmente, i cibi in commercio risultano essere a tal punto ricchi di zuccheri da ritenere che proprio questa sia una delle cause principali della vera e propria epidemia di obesità che affligge molti paesi, soprattutto quelli occidentali. Il sovradosaggio di zuccheri, infatti, non solo porta ad un aumento esponenziale della quantità di calorie ingerite quotidianamente, ma anche ad una vera e propria dipendenza verso questo tipo di nutrienti, in quanto costituiti da molecole in grado di interagire con diverse sostanze presenti a livello cerebrale, andando ad alterarne i normali livelli. Ad esempio, gli zuccheri possono modificare la concentrazione di dopamina e di altri recettori cerebrali come la serotonina, implicati nella percezione di sentimenti quali felicità e soddisfazione.

La forma più comune di zucchero è il saccarosio che, una volta ingerito, viene scisso in due, glucosio e fruttosio, a livello dell’apparato digerente dell’organismo. Il livello di glucosio nel corpo umano viene regolato da due diversi enzimi, insulina e glucagone, entrambi importanti per il metabolismo di questo zucchero.

In seguito all’ingestione e alla degradazione dello zucchero, le molecole di glucosio vengono poi assorbite e distribuite in tutte le cellule del corpo, principalmente grazie al lavoro di un gruppo di proteine, dette GLUCs, responsabili del trasporto del glucosio all’interno del flusso sanguigno. Il principale trasportatore delle molecole di glucosio fino al cervello viene detto GLUT1.

Il tessuto cerebrale risulta essere il principale tessuto umano a non essere in grado di tollerare bassi livelli di glucosio, da momento che i neuroni non possiedono l’abilità di immagazzinare lo stesso per poi poterlo usare in momenti di carenza di zuccheri, necessitando quindi di continuo apporto energetico. Proprio per questo, il cervello risulta essere il principale consumatore di glucosio, nonché il primo ad essere rifornito di questa sostanza.

Comunemente le persone riportano di mangiare alimenti dolci, per sentirsi più felici e, anatomicamente parlando, non affermano nemmeno il falso. Il consumo di zuccheri, infatti, comporta un maggior rilascio all’interno del sistema del neurotrasmettitore serotonina, responsabile della sensazione di benessere e felicità riportata dalle persone. Gli zuccheri, però, stimolano anche il rilascio di insulina, che, in caso di necessità, normalizza i livelli di glucosio e, quando questi ultimi raggiungono una concentrazione relativamente bassa, l’organismo percepisce nuovamente l’impulso ad assumere zuccheri per ripristinare la sensazione di benessere precedente. Ciò che risulta da questo circolo vizioso di costante consumo di dolci, è, in ultima analisi, la dipendenza da zuccheri, con annessa sovra-alimentazione e, sul lungo periodo, obesità.

Inoltre, è ben noto quanto i bambini amino in particolar modo i cibi dolci, preferendoli ad altri tipi di alimenti fin dalla più tenera età. Recentemente, i ricercatori hanno messo in evidenza come questa preferenza sembri essere data da fattori neurobiologici e non sia la conseguenza di un apprendimento di tipo culturale. La concentrazione dei neurotrasmettitori e dei recettori in infanzia, infatti, risulta essere differente da quella tipica dell’età adulta, differenza che poi si riduce gradualmente nel corso della crescita. La dipendenza da zuccheri si può instaurare già in infanzia e permanere poi per tutta la vita.

Un altro problema, legato alla dipendenza da zuccheri, riguarda anche il tipo di zuccheri consumati, ai quali il cervello tende a rispondere in modi diversi. Ad esempio, il corpo umano necessita di minori livelli di glucosio per poter stare bene e inviare quei segnali di sazietà che spingono l’organismo a smettere di mangiare. Al contrario, il corpo necessita di fruttosio in dosi maggiori per poter inviare gli stessi segnali per sopprimere la sensazione di fame.

Lo studio: come risponde il cervello all’assunzione degli zuccheri

Sono stati i ricercatori della Scuola di Medicina di Yale a scoprire, grazie all’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI), questo fenomeno. Lo studio, svolto su un campione di soggetti sani non obesi, aveva infatti proprio lo scopo di indagare le differenze insite nella modalità di risposta del cervello ai diversi tipi di zuccheri. Ciò che è emerso è che, in seguito all’assunzione di glucosio, veniva registrata una riduzione di flusso sanguigno in quelle aree cerebrali responsabili della sensazione di appetito (ad es. ipotalamo), del sistema della ricompensa e della motivazione, portando anche ad una sensazione immediata di soddisfazione. Al contrario, in seguito all’assunzione di fruttosio, non è stato rilevato un cambiamento analogo a livello del flusso sanguigno.

Se si pensa al fatto che attualmente il fruttosio risulta essere largamente utilizzato nell’industria alimentare per la produzione di cibi e bevande, si può facilmente immaginare come questo aspetto, alla luce delle scoperte recenti, possa rappresentare un serio problema. Infatti, dal momento che il cervello non sembra essere in grado di controllare in modo adeguato l’assunzione di fruttosio, risulta essere molto più facile la messa in atto di comportamenti di ricerca compulsiva di cibi dolci e di sovra-alimentazione, rendendo così più facile l’emergere di patologie quali l’obesità.

Infine, i ricercatori dell’Università Tecnica di Monaco hanno recentemente messo in luce come gli astrociti, un tipo di cellula gliale, giochino un ruolo estremamente importante per quanto riguarda il consumo di glucosio. Le cellule gliali sono cellule che circondano i neuroni e li sostengono e, in particolar modo, gli astrociti giocano un ruolo cruciale nella creazione di una barriera atta a separare il cervello dal sangue (barriera ematoencefalica). Questo tipo di barriera, più nello specifico, è fondamentale per rendere altamente selettivi i vasi sanguigni che irrorano le diverse regioni del sistema nervoso centrale, controllando così l’interscambio di sostanze, e quindi anche del glucosio, che avviene tra il tessuto cerebrale e il sangue, in entrambe le direzioni.

A tal proposito, Garcìa-Càceres e collaboratori (2016) hanno evidenziato come la funzionalità degli astrociti possa essere controllata proprio da enzimi quali insulina e leptina. Infatti, gli astrociti presentano sulla propria superficie recettori per l’insulina in grado di reagire in base ai livelli di glucosio presenti nel sangue. Da scansioni PET (Tomografia ad Emissione di Positroni) gli autori hanno rilevato la tendenza dell’insulina ad interagire con gli astrociti al fine di regolarne la permeabilità al glucosio, andando così in generale a modificarne la quantità presente a livello cerebrale. Ad esempio, quando gli astrociti presenti nelle aree cerebrali deputate alla regolazione della sensazione di appetito si attivano, al corpo vengono inviati segnali di soddisfazione. Al contrario, quando gli astrociti non entrano in contatto con il glucosio non si attivano, e ciò comporta per la persona un continuo desiderio e ricerca di glucosio.

Nonostante con le recenti scoperte siano stati fatti passi avanti, la dipendenza da zuccheri, e soprattutto come essa si configuri a livello cerebrale, rimane ad oggi un tema ancora scarsamente studiato. Una migliore comprensione del fenomeno, invece, potrebbe facilitare la messa a punto di interventi terapeutici più efficaci, anche in un’ottica di prevenzione all’interno della lotta all’ormai dilagante epidemia di obesità.

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