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Post-Truth: la bufala pseudoscientifica del Blue Monday, il giorno più triste dell’anno

L’occhio del lettore ed il linguaggio della scienza: della bufala del Blue Monday e di altri (immeritati) successi pseudoscientifici...

Di Bruno Loiacono

Pubblicato il 23 Gen. 2017

Aggiornato il 03 Apr. 2017 12:42

La bufala del Blue Monday (il giorno più triste dell’anno) e la lunga vita di una finta ricerca scientifica costruita ad hoc come strumento pubblicitario. Le ragioni per cui, nell’epoca della post-truth, le credenze sul Blue Monday e su altre bufale pseudoscientifiche sono ancora vive e in ottima salute a distanza di anni dalle loro smentite.

 

Imperversano sui social le discussioni sul Blue Monday, quella che pare essersi consolidata come credenza britannica relativa al giorno più triste dell’anno: il terzo lunedì di gennaio. La scelta della data non sembrerebbe casuale ma frutto di una ricerca scientifica condotta dallo psicologo britannico Cliff Arnall, dell’Università di Cardiff, che avrebbe compiuto complessi e diversificati calcoli matematici tenendo in considerazione molteplici variabili, tra le quali: i propositi falliti per il nuovo anno, le spese sostenute per il Natale, il meteo, ecc. Peccato che si tratti di una bufala, nata come campagna pubblicitaria promossa da un’agenzia di viaggi che ha intrapreso un’interessante strategia di marketing: non solo si propone l’acquisto di un prodotto ma la risoluzione di uno stato emotivo generalmente percepito come disturbante.

Lo psicologo Cliff Arnall avrebbe soltanto firmato questo finto studio, con tanto di conclusioni già scritte, prestando il suo nome ed il volto della sua professione alla ricerca. Perché per incentivare un’attività commerciale si decide di ricorrere ad uno studio scientifico costruito ad hoc? Il linguaggio scientifico è percepito come il linguaggio del reale, nell’immaginario comune l’Autorità Garante della legittimità di un sapere. E ciò è certamente un bene, considerando le difficoltà storiche che la psicologia ha fronteggiato prima di affermarsi come disciplina autonoma dotata di un metodo empirico differente dalla speculazione teoretica.

Eppure si dovrebbe sicuramente prestare maggiore attenzione a non lasciarsi abbindolare dalla parvenza scientifica di un oggetto di studio in ogni modo privo di scientificità, basti pensare alla pressoché impossibilità di operazionalizzare le variabili e di generalizzare i risultati ottenibili dallo studio di Arnall. L’attributo “scientifico” non va inteso come un Re Mida che, una volta affisso, trasforma ogni oggetto in sapere dimostrabile e veritiero.

Potrebbero esservi diverse ragioni per pensare che il Blue Monday, qualunque sia la sua origine, continuerà a godere di ottima salute negli anni a venire, offrendo un duplice vantaggio a commercianti e comuni cittadini. I primi potrebbero sperare di trarne un profitto analogo a quello proveniente dal Black Friday, incentivando l’acquisto come terapia ad una condizione emotiva percepita come dannosa. Per tutti, invece, diventa questa l’occasione per rivalutare un’emozione troppe volte bistrattata e ritenuta “negativa”, da cancellare o nascondere, e riflettere dunque su quanto la tristezza rivesta un ruolo significativo nella vita di tutti i giorni, seguendo la strada già percorsa dalla Pixar con il film d’animazione Inside Out che ha invitato a riconoscere ed attribuire un significato differente a questa emozione primaria.

 

Post-Truth: oltre lo smascheramento della bufala del Blue Monday

Ma oltre al senso del Blue Monday può essere utile riflettere su come sia possibile che una ricerca falsata, smascherata, continui a rappresentare un riferimento comune in Gran Bretagna. Non è forse rassicurante sapere che almeno per un giorno all’anno il malessere che possiamo vivere sia scientificamente lecito? È confortante per una volta dover star male per sentirsi a posto, un’occasione in cui la tristezza vissuta e non confessata può addolcirsi cullata da un’etichetta pronta all’uso, vera o falsa che sia.

Il gran beneficio del Blue Monday risiede proprio nella possibilità di concedersi una deflessione del tono dell’umore in un modo (apparentemente) scientificamente legittimo, dunque normalizzato, e condiviso dalla collettività. Non è un caso forse che sia proprio la Gran Bretagna a restare fedele al mito del Blue Monday, la stessa Gran Bretagna che conta un numero significativamente alto di suicidi, in media 13 al giorno secondo le stime riportate di recente dal Corriere della Sera.

Tristezza non vuol dire depressione, un’emozione non è patologia, ma prendendo a prestito il concetto di rappresentazione sociale (Moscovici) potremmo suggerire che il tema depressivo venga tradotto nella quotidianità fin troppo spesso come esacerbazione di un vissuto di tristezza, una semplificazione estrema che traduce la psicopatologia nel linguaggio della psicologia del senso comune, spicciolo ma comprensibile. Una ricerca inventata, e con uno scopo pubblicitario, potrebbe essersi radicata nel sentire comune per rappresentare l’opportunità di manifestare una preoccupazione che interroga ed avvicina un mondo altro, una realtà clinica a volte astrusa che spinge per esprimersi e farsi ascoltare.

 

La popolarità di studi pseudoscientifici o clamorosamente falsi

Spesso il successo e la popolarità di uno studio risultano assolutamente indipendenti dalla sua veridicità o dalla correttezza metodologica, ma a pesare in modo significativo sono le attese del lettore, che possono trovare conferma in uno scritto scientificamente inammissibile. La letteratura è tristemente ricca di “falsi d’autore”, di pseduo-studi talvolta premeditati e con un chiaro fine politico che rimangono in vita nonostante le smentite.

 

Il caso di Mark Regnerus e dello studio sui figli di coppie omosessuali, finanziato da organizzazioni cattoliche

Alcuni di questi sono stati anche pubblicati su riviste scientifiche, come nel caso dello studio di Mark Regnerus, sociologo dell’Università del Texas di Austin, promosso come autore della più grande ricerca sullo sviluppo dei figli di genitori omosessuali che ha sorpreso l’intera comunità scientifica riportando dati in netto contrasto con tutti gli studi precedentemente condotti sul tema. Le conclusioni di Regnerus appaiono drammatiche: i figli di genitori omosessuali apparirebbero più inclini al suicidio ed al tradimento, propensi a sviluppare disturbi mentali ed a riscontrare difficoltà lavorative. Lo studio, oltre ad essere stato finanziato da organizzazioni cattoliche con una netta posizione in merito all’argomento, ha riportato risultati clamorosi grazie ad un’accurata selezione di un campione non rappresentativo della comunità LGBT in grado di falsarne i risultati; lo stesso Regnerus ha riferito, in seguito alle numerose critiche sollevate da accademici successivamente alla pubblicazione dello studio: “Ho parlato di madri lesbiche e padri gay quando in effetti non sapevo niente sul loro orientamento sessuale”(per approfondire: http://27esimaora.corriere.it/articolo/genitori-gay-se-la-scienza-sceglie-di-alimentare-il-pregiudizio/).

Gli errori metodologici commessi hanno invalidato ogni possibile attendibilità dello studio, eppure lo studio di Regnerus continua ad essere menzionato da chi si oppone all’omogenitorialità ogniqualvolta si accende il dibattito. Vi è un’attitudine a considerare la ricerca qualitativa, in ambito clinico e sociale, più facilmente esposta al rischio di ingerenze da parte dello sperimentatore rispetto alla ricerca neuroscientifica, apparentemente protetta dall’inespugnabile difesa del neuroimaging che illusoriamente elimina il ricercatore dalla scena sperimentale.

 

Le neuroscienze come fonte di legittimazione inconfutabile

Le neuroimmagini hanno conseguito lo scettro del sapere attendibile, certo e oggettivo, costituendosi come la più autorevole fonte del sapere da cui si vorrebbe veder validata ogni tesi. Non vi deve essere il rischio di restare travolti dalle potenzialità di queste tecniche dimenticando che si tratta di strumenti sensibili che restituiscono un dato su cui lo sperimentatore interviene direttamente, con il setup sperimentale, il controllo delle variabili di disturbo, l’acquisizione dei dati e soprattutto, in ultima istanza, con l’analisi dei dati, dove spesso l’applicazione inesatta di metodi di inferenza statistica conduce a risultati troppe volte non replicabili (Legrenzi, Umiltà 2009). L’atteggiamento pregiudiziale del lettore influenza notevolmente la lettura del dato riferito, a tal punto che alcuni studi godono del vantaggio di essere ritenuti attendibili a priori in virtù degli strumenti adoperati (TAC, MEG, PET, fMRI). Uno studio (McCabe e Castel, 2008) ha rilevato come la sola presenza di immagini cerebrali sia sufficiente a trasformare un contenuto fittizio in un’informazione credibile.

(a questo proposito si veda: Neurolatinorum e neurodotti: chi utilizza il linguaggio delle neuroscienze per ottenere autorità scientifica, NdR)

Gli autori hanno indagato il giudizio espresso da studenti universitari nel valutare la credibilità logica di articoli di neuroscienze cognitive totalmente inventati che potevano presentare soltanto testo privo di illustrazioni, testo con istogrammi a barre oppure testo corredato da immagini cerebrali a colori. I risultati mostrano una significativa tendenza a considerare più attendibile e veritiero un testo corredato da immagini rappresentanti aree cerebrali piuttosto che un articolo che ne sia privo, a parità di contenuto. La rappresentazione di un cervello diventa dunque la firma di una garanzia di autenticità dell’informazione, accrescendo la qualità del prodotto.

 

Credere al blue monday nonostante tutto: la necessità di confermare una propria teoria sul mondo

Bisogna approcciarsi alla lettura con senso critico, smascherando le attese e l’atteggiamento pregiudiziale che potrebbe influenzare il diverso peso attribuito agli elementi del testo e la conseguente interpretazione. Esaminare le fonti, comparare un articolo con studi analoghi presenti in letteratura, sono passaggi necessari tanto per chi scrive e divulga quanto per colui che si informa. Il seguito delle pseudoscienze, dell’astrologia o dei tarocchi potrebbe essere motivato dalla stessa ragione del successo del Blue Monday, ricco di anomalie metodologiche che annullano ogni pretesa di scientificità; intercettano e soddisfano un bisogno più forte della ricerca di una verità empirica: la necessità di confermare una propria teoria sul mondo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Belloni, C. (2017) Gran Bretagna, 13 suicidi al giorno. In campo un «esercito» di psicologi. Corriere della Sera.
  • Aglioti, S.M, Berlucchi, G. (2013) Neurofobia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Moscovici, S. (2005) Le rappresentazioni sociali. Bologna: Il mulino.
  • McCabe, D.P., Castel, A.D. (2008) Seeing is believing: The effect of brain images on judgments of scientific reasoning, in Cognition, 107 (1), 343-352.
  • Legrenzi, P., Umiltà, C. (2009) Neuro-mania. Bologna: il Mulino.
  • Regnerus, M. (2012) How different are the adult children of parents who have same-sex relationship? Findings from the New Family Structures Study. Social Science Research, 41, 752-770.
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