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Il senso di alienazione nella schizofrenia

La sensazione di alienazione nella schizofrenia si ha quando la realtà attorno al proprio sé assume forme e significati che solo il paziente riconosce

Di Silvia Vitaloni, Eleonora Girani

Pubblicato il 27 Gen. 2017

Aggiornato il 30 Set. 2019 15:25

La sensazione di alienazione nella schizofrenia si ha quando la realtà attorno al proprio sé assume una forma, una dimensione e un significato che solo il paziente vede e riconosce; questa sensazione di alienazione nella schizofrenia spesso spinge il paziente stesso ad allontanarsi e a ritirarsi dal contesto sociale.

Silvia Vitaloni, Eleonora Girani – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi

 

La schizofrenia è considerata ad oggi la malattia mentale maggiormente invalidante per l’uomo e si caratterizza principalmente per il disturbo del pensiero. I sintomi della schizofrenia vengono suddivisi in sintomi positivi, che includono i deliri e le allucinazioni, ed in sintomi negativi, quali l’apatia, la carenza d’iniziativa, la povertà dell’eloquio, il ritiro sociale e la trascuratezza.

Secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono circa 24 milioni le persone che nel mondo soffrono di schizofrenia a un qualunque livello e dal punto di vista epidemiologico i dati raccolti evidenziano come l’età media di insorgenza sia di 22-23 anni con un ritardo medio nelle donne di ¾ anni, e che le forme ad esordio tardivo (oltre i 40 anni) risultano quasi esclusivamente femminili (Rajiv T. et all, 2008).

 

Cinque forme di schizofrenia

La diagnosi di schizofrenia è molto delicata soprattutto per le implicazioni che un’etichetta di questo tipo ha per la persona interessata sul piano medico, familiare, professionale e sociale. Con la chiusura dei manicomi, grazie alla legge Basaglia del 1978 e il ridimensionamento degli ospedali psichiatrici, ad oggi, affianco alla dimensione farmacologica necessaria per questa tipologia di pazienti viene spesso associata una psicoterapia individuale e famigliare (Benedetti, 1988). Ad oggi si distinguono cinque forme di schizofrenia in base al corollario sintomatologico (Kay, Stanley R, et all 1997):

  1. Paranoide, ad esordio più tardivo e con prognosi maggiormente favorevole si configura per un disturbo del comportamento e del pensiero caratterizzati principalmente da deliri e allucinazioni strutturati a contenuto persecutorio; l’affettività e le funzioni cognitive risultano tendenzialmente preservate.
  2. Disorganizzato, ha un esordio precoce e una prognosi negativa, si caratterizza per un deterioramento in tutte le aree (comportamento, pensiero e affettività); la presenza dei deliri e allucinazioni risulta disorganizzata nel contenuto e piuttosto mutevole.
  3. Catatonico, agitazione e posture di tipo catatonico.
  4. Indifferenziato, ovvero comprende tutte le forme di schizofrenia non classificabili nelle categorie precedenti.
  5. Residuo, sono presenti sintomi residui, in assenza di deliri, allucinazioni, incoerenza e comportamento disorganizzato (Kay, Stanley R, et all 1997).

 

La schizofrenia e il rapporto con mondo esterno: i meccanismi di rispecchiamento e simulazione

È necessario considerare la lente con la quale i pazienti con diagnosi di schizofrenia accedono e si approcciano al mondo e come a volte si verifichi una sensazione di alienazione nella schizofrenia: in condizioni normali non siamo alienati dal significato delle azioni, emozioni, o sensazioni esperite dai nostri simili, in quanto godiamo di quella che definisco una “consonanza intenzionale” col mondo degli altri (Gallese 2003, 2006a, 2007).

Ciò è reso possibile non solo dal fatto che con gli altri condividiamo le modalità di azioni, sensazioni o emozioni, ma anche condividiamo alcuni dei meccanismi nervosi che presiedono a quelle stesse azioni, emozioni e sensazioni. Quando ci troviamo di fronte all’altro ne esperiamo direttamente i caratteri di umanità. Assegniamo in modo implicito all’altro lo status di soggetto diverso da noi che guardando a sé da dietro le spalle condivide con noi l’essenza di essere umano.

Grazie ai meccanismi di rispecchiamento e di simulazione, l’altro viene vissuto come un “altro sé”. Circa quindici anni fa abbiamo scoperto neuroni nella corteccia premotoria del macaco che si attivano ogni volta che l’animale esegue con la mano la bocca atti motori finalizzati al raggiungimento di uno scopo, come afferrare, prendere del cibo, manipolarlo, romperlo, spezzarlo, ed anche quando l’animale è lo spettatore passivo di azioni analoghe eseguite da un essere umano o da un’altra scimmia. Abbiamo denominato questi neuroni “neuroni specchio” (Gallese et al 1996; Rizzolatti et al. 1996; Rizzolatti e Craighero 2004).

In una serie di studi successivi è stato approfondita la conoscenza di questo meccanismo di risonanza motoria, scoprendo che i neuroni specchio si attivano anche quando l’osservazione dell’interazione tra la mano dell’attore e l’oggetto non è pienamente visibile, ma può solo essere “inferita” (Umiltà et al. 2001). In questo caso non parliamo di un’inferenza logica, bensì del risultato di una simulazione motoria.

L’attivazione nell’osservatore del programma motorio corrispondente all’azione solo parzialmente vista, ne consente la comprensione. Abbiamo anche scoperto che se l’azione si accompagna ad un suono caratteristico, come quando si rompe una nocciolina, il solo suono dell’azione è sufficiente ad attivare i neuroni specchio (Kohler et al 2002). Quindi, lo stesso contenuto semantico, “rompere la nocciolina”, attiva i neuroni specchio indipendentemente dalla modalità sensoriale che lo veicola. E’ un meccanismo che incarna a suo modo una rappresentazione astratta dell’azione, che però è tutto fuorché astratta perché incarnata all’interno del nostro sistema motorio.

Una serie di studi hanno dimostrato che un meccanismo analogo di rispecchiamento è presente anche nel cervello umano, ed è organizzato in modo grossolanamente somatotopico. Quando osserviamo un azione si attivano le aree fronto-parietale corrispondenti a quelle che entrano in gioco quando noi stessi eseguiamo azioni simili a quelle che stiamo osservando. Non ci limitiamo a vedere con la parte visiva del nostro cervello, ma utilizzando anche il nostro sistema motorio (Gallese, Keysers e Rizzolatti 2004; Rizzolatti e Craighero 2004).

Cosa succede nel nostro cervello quando osserviamo i gesti comunicativi di una persona che parla, di una scimmia che comunica con il lipsmaking (ritmica apertura delle labbra, un gesto affiliativo che sta ad indicare ai conspecifici l’assenza di intenzioni aggressive), e di un cane che abbaia? La risposta ci viene da un studio fMRI condotto da Buccino et al. (2004).  I risultati sono molto interessanti: quando vediamo l’uomo parlare si osserva un’attivazione bilaterale del sistema pre-motorio che include l’area di Broca; quando vediamo la scimmia si osserva un’attivazione premotoria bilaterale di intensità ridotta; infine, quando vediamo il cane abbaiare si ha un’assenza completa di attivazione motoria.

I risultati di questo esperimento ci conducono a due osservazioni: in prima istanza che non è necessaria una risonanza motoria per comprendere ciò che vediamo: io so benissimo che c’è un cane che abbaia, ma in questo caso la qualità della mia comprensione dell’azione del cane è qualitativamente diversa in quanto relativa a un sistema linguistico modulare chiuso, indipendente e disincarnato, che manipola rappresentazioni simboliche amodali.

L’azione ed il linguaggio tuttavia non esauriscono il ricco bagaglio di esperienze coinvolte nelle relazioni interpersonali. Ogni relazione interpersonale implica, infatti, la condivisione di una molteplicità di stati quali ad esempio l’esperienza di emozioni e sensazioni. Recenti evidenze empiriche suggeriscono che le stesse strutture nervose coinvolte nell’analisi delle sensazioni ed emozioni esperite in prima persona sono attive anche quando tali emozioni e sensazioni vengono riconosciute negli altri (Gallese, Keysers e Rizzolatti 2004; Gallese 2006a).

Il meccanismo di simulazione non è quindi confinato al dominio dell’azione ma appare essere una modalità di funzionamento di base del nostro cervello quando siamo impegnati in una qualsiasi relazione interpersonale.

 

I meccanismi neurofisiologici della cognizione sociale

La scoperta dei neuroni specchio nella corteccia premotoria e parietale di scimmia, e la successiva scoperta dell’esistenza di un sistema specchio anche nell’uomo, ha permesso per la prima volta di chiarire i meccanismi neurofisiologici alla base di numerosi aspetti della cognizione sociale. Secondo l’ipotesi di Gallese (Gallese e Goldman 1998; Gallese 2001, 2003, 2006a, 2007) questi meccanismi generano molte delle certezze implicite che noi automaticamente attiviamo ogni volta che ci rapportiamo con l’altro. Sono importanti nel generare il senso d’identità e reciprocità con gli altri di cui normalmente facciamo esperienza.

Questi meccanismi di simulazione sono fortemente coinvolti nell’imitazione. Sia nell’imitazione di gesti che sono già parte del nostro repertorio comportamentale, che durante l’apprendimento imitativo di nuovi compiti motori a noi sconosciuti, come dimostrato dallo studio di Buccino et al. (2004b) in cui soggetti che non sapevano suonare la chitarra dovevano imparare ad eseguire degli accordi dopo averne osservato l’esecuzione da parte di un chitarrista esperto.

Durante l’apprendimento imitativo si è osservata l’attivazione del sistema dei neuroni specchio. Il mimetismo caratterizza in modo pervasivo la dimensione sociale dell’esistenza umana, e lo fa a più livelli. Ad esempio, la psicologia sociale ha descritto e studiato il cosiddetto “effetto camaleonte” per cui imitare i movimenti della persona con cui stiamo dialogando ci rende sicuramente più gradevole ai lori occhi.

 

Alienazione nella schizofrenia

In linea rispetto a quanto è stato detto finora risulta più semplice immaginare anche solo per un secondo la sensazione di alienazione nella schizofrenia, quando la realtà attorno al proprio sé assume una forma, una dimensione e un significato che solo il paziente vede e riconosce; questa sensazione di alienazione nella schizofrenia spesso spinge il paziente stesso ad allontanarsi e a ritirarsi dal contesto sociale.

Il delirio ha un nucleo apparentemente incomprensibile per chi lo ascolta, caratterizzato da un significato che appare sottratto a qualsivoglia motivazione razionale o affettiva, che non è modificabile dalla continuità dell’esperienza e che non chiede né ha bisogno di conferme e di comprove per esistere. Appare ovvio quindi quanto parte dell’ alienazione nella schizofrenia possa essere provata anche in senso bidirezionale da chi ascolta e vive all’interno del nucleo famigliare i significati e i ritagli di realtà che il paziente schizofrenico riporta, aumentandone ancora così il senso di estraneità.

Parlando di alienazione nella schizofrenia, non possiamo non accennare al significato del termine alienazione: esso è di antica origine (alienatio), ed è stato utilizzato fino alla prima metà dell’800’ nell’accezione di alienazione mentale (alienatio mentis) come appellativo per indicare chi soffriva di gravi disturbi mentali; successivamente il termine alienazione è stato sostituito da quello di malattia mentale (Benedetti, 1988).

Resta il fatto che pur elevando ad un più alto grado di rispetto umano l’etichetta semantica, nel nostro bagaglio culturale il temine “alieno” è sempre stato utilizzato per indicare ciò che non si conosce, che non si comprende, e non esiste altro termine che meglio possa spiegare il vissuto esperienziale di un paziente affetto da schizofrenia.

I recenti studi pongono l’attenzione sulla carente capacità metacognitiva di pazienti con schizofrenia e rappresentano in senso più cognitivo quanto appena descritto: la scarsa rappresentazione e capacità di riflettere sui propri e sugli altri stati mentali e l’abilità di usare tali informazioni per affrontare in modo efficace situazioni soggettivamente problematiche, sia da un punto di vista emotivo, cognitivo e comportamentale, è ciò che caratterizza il mondo di questi pazienti (Popolo, R. et all,, 2012).

Queste carenze metacognitive sono supportate in parte da fattori ambientali contribuenti nell’eziologia del disturbo, ma soprattutto da cause genetiche che ad oggi sono ancora oggetto di studio da parte dei ricercatori di tutto il mondo.

Ad oggi gli strumenti di indagine più avanzati come TAC, risonanze magnetiche, PET sono state utilizzate al fine di indagare se vi fosse un diverso funzionamento cerebrale dei pazienti affetti da schizofrenia rispetto a gruppi di controlli definiti sani. I risultati ad oggi mostrano un’alterazione delle strutture cerebrali e del metabolismo dei neuroni presenti nei cosiddetti lobi frontali (responsabili di funzioni esecutive, all’organizzazione di attività complesse e alla progettualità), e anomalie nella trasmissione di alcune sostanze quali dopamina e glutammato (Lang, U.E., 2007).

Ma ancora più interessanti rispetto al senso di alienazione nella schizofrenia risultano le recenti ricerche Di Maggio e colleghi, i quali hanno ipotizzato che nella schizofrenia ci sia un malfunzionamento dei processi di simulazione neurali, ovvero dell’attività del sistema dei neuroni mirror e neuroni canonici, che risulterebbero alla base della comprensione dell’intersoggettività e della comprensione intrinseca dell’essenza di un oggetto (Salvatore et al., 2007).

Questi autori hanno approfondito ulteriormente l’ipotesi secondo la quale la “disaderenza” dei pazienti con schizofrenici rispetto alle relazioni e ai contesti, sia causata principalmente da una non comprensione dei contesti comunicativi pragmatici, e che il senso di alienazione nella schizofrenia rispetto agli oggetti possa dipendere dal malfunzionamento di questi sistemi neurali (Salvatore et al., 2007).

Nello specifico si ipotizza che questo mal funzionamento sia alla base della difficoltà del paziente schizofrenico nel selezionare tra i tanti significati associabili all’azione verbale “dell’altro” il significato maggiormente in sintonia con le transazioni intersoggettive (neuroni mirror) e, inoltre, una marcata difficoltà a comprendere implicitamente le azioni finalizzate all’utilizzo di oggetti (neuroni canonici).

La semantica oggettuale (la capacità di riconoscere il corretto uso degli oggetti) e la sintattica gestuale (capacità di riconoscere la corretta sequenza con cui deve essere svolta un’azione con un oggetto) rappresentano quella conoscenza implicita e necessaria per comprendere le affordance oggettuali e il significato delle azioni, due esperienze mediate dal funzionamento integrato dei neuroni mirror e canonici. Se queste ricerche fossero un giorno confermate spiegherebbero almeno in parte il senso di alienazione nella schizofrenia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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