expand_lessAPRI WIDGET

Risolvere o accettare – Ciottoli di Psicopatologia Generale

L'obiettivo della psicoterapia da raggiungere è quello di smussare gli aspetti problematici accettando e rendendo tollerabile ciò che risulta intollerabile.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 13 Dic. 2016

Quello che possiamo ragionevolmente promettere ai pazienti è lo smussamento degli angoli, un migliore adattamento esistenziale ma il miracolo inverso alla quadratura del cerchio che non ho mai sentito dire ma potrebbe chiamarsi la cerchiatura del quadrato, non è affatto detto che avvenga dipendendo anche da molteplici fattori esterni alla psicoterapia.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – Risolvere o accettare (Nr. 14)

Risolvere o accettare se stessi?

A volte già per telefono al momento di prendere l’appuntamento o nella prima seduta o, al più tardi, dopo i primi incontri di assessment arriva la fatidica domanda “lei, dottore, pensa che riuscirò a risolvere questi problemi, potrò davvero guarire?” L’angoscia e l’urgenza che la accompagna è proporzionale sia alla durata del disturbo che ai tentativi di terapia già tentati.

Traspare spesso scoraggiamento e rassegnazione che il terapeuta può sentire come sfiducia nei suoi confronti e pessima premessa per il lavoro da iniziare. Per questo rischia di mostrarsi esageratamente fiducioso e ottimista promettendo facili successi che il paziente peraltro ha già verificato su internet essere poco probabili.

In primo luogo va evitato di criticare i precedenti curanti ( cosa che mi capita di ascoltare frequentemente come paziente) definendoli incapaci e in malafede e ponendosi come il salvatore della patria. Sarete i primi della lista quando riferirà di voi al prossimo terapeuta. Utile è rimandare la risposta al momento della restituzione dell’assessment in sede contrattuale quando sarà più chiaro il problema e l’adesione del paziente al metodo di lavoro illustrato.

La stessa domanda si ripresenterà più avanti in momenti di bilancio del lavoro svolto magari associata al riconoscimento di quanto raggiunto “indubbiamente, dottore, sto molto meglio ma ho proprio l’impressione che certe cose non cambieranno mai, non credo dottore che chi nasce quadrato possa morire tondo”. La risposta stizzita che una volta mi scappò di getto di fronte a questa geometrica metafora della nostra impotenza fu “ Il problema è perchè a chi nasce quadrato non sta bene di avere 4 lati e 4 angoli retti” che poi articolai dicendogli “credo che gli spigoli potremo smussarli ma certamente anche io non credo che sarà mai un cerchio di Giotto, ma il problema è vederne i vantaggi e le opportunità e non accanirsi in un rifiuto della propria natura che, in parte genetica, in parte appresa è comunque un modo di stare al mondo che le ha garantito finora la sopravvivenza.

Accettazione: rendere tollerabile ciò che risulta intollerabile

Introduco così al paziente il tema del problema secondario che, ricordo, i vecchi maestri che mi hanno insegnato la RET dicevano fosse la prima cosa da affrontare e che, mi perdonino per la semplificazione gli amici teorici di questo approccio, rappresenta il focus di intervento della recente “terapia metacognitiva”. Ricordo con vividezza il grande Cesare De Silvestri raccomandarci di esplorare in prima seduta come il paziente si rappresentava la sua vita futura se il sintomo non fosse stato risolto. Qualora il paziente avesse risposto che non voleva neppure pensarci, che lo riteneva intollerabile, il primo lavoro da fare era proprio quella di rendere più articolata, costruita, pensabile e dunque meno spaventosa questa prospettiva.

Rifacendoci alla precedente distinzione tra psicoterapia normale e rivoluzionaria, quello che possiamo ragionevolmente promettere è lo smussamento degli angoli, un migliore adattamento esistenziale ma il miracolo inverso alla quadratura del cerchio che non ho mai sentito dire ma potrebbe chiamarsi la cerchiatura del quadrato, non è affatto detto che avvenga dipendendo anche da molteplici fattori esterni alla psicoterapia.

Immagino la delusione nei vostri occhi che rispecchiano la stessa emozione nello sguardo del paziente che aggiungerà “allora mi devo rassegnare?” Cercherò ora di argomentare che non di rassegnazione si tratta ma di accettazione e che essa rappresenta una forma di guarigione ben più profonda e solida.

Parto da un esempio clinico “i disturbi d’ansia” nei quali l’accettazione prende il nome più specifico di “accettazione del rischio”. In tutti, c’è il timore del verificarsi di un evento ritenuto molto probabile e assolutamente catastrofico ed intollerabile. Un intervento magari rapido ma certamente di basso livello e scarsamente risolutivo si muove nell’ordine della rassicurazione che già parenti e amici hanno inutilmente tentato. Si tratta in sostanza con l’autorevolezza che il ruolo ci conferisce e la competenza che ci consente di evidenziare i bias cognitivi all’opera di dimostrare al paziente che sovrastima enormemente la possibilità che l’evento temuto si verifichi realmente. Detto in parole povere “tranquillo non accadrà”, evidente bugia a meno che non abbiate capacità divinatorie e perigliosa illusione che può spingere il paziente ancora di più sulla scivolosa strada della ricerca della certezza assoluta.

Nessuno può garantire che un certo evento non accada. Un intervento più profondo che un tempo chiamavamo con parola impronunciabile “decatastrofizzazione” sostituibile con la più foneticamente semplice “accettazione” consiste invece nel considerare l’ipotesi negativa e renderla meno impensabile. Si tratta di costruire gli scenari del presunto “day after” per renderlo meno catastrofico per quanto sgradevole. Lo si può fare partendo dall’osservazione di altri che stanno vivendo la stessa situazione. Da ricordi personali in cui si è vissuto qualcosa di analogo per arrivare poi a sperimentarlo con compiti prima immaginativi e poi in vivo. Si può far ossevare anche il fatto che tutti gli esseri umani quando si trovano davvero in una situazione che ritenevano intollerabile ( sia essa una grave malattia, una invalidità o un lutto) sanno cavarsela trovando risorse insperate e scoprendo che “il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge”).

Persino i lamentosi ipocondriaci quando arriva la loro ora mostrano freddezza e dignità insospettabili. Ora tra due bambini che hanno paura del buio direste che è guarito di più quello che si è convinto che la luce non se ne andrà mai, o quello che si è fatto persuaso che nel buio non c’è niente di pericoloso ma solo molte scomodità? Per dirla in termini più teorici mentre la rassicurazione si muove a livello delle strategie previsionali e di fuga per evitare di finire nell’antiscopo ( l’evento temuto), l’accettazione tende a non renderlo più tale declassificandolo a stato non preferito. Ogni antiscopo o come altro lo si voglia chiamare (stato doloroso, punto di fuga, area taboo, ombra) viene eliminato rendendo inutili le strategie coatte ( spesso appunto i sintomi) che si attuavano per starne alla larga e si aumentano i gradi di libertà della persona di decidere la propria vita e questo è il massimo successo della psicoterapia.

RUBRICA CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE

Si parla di:
Categorie
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Psicopatologia Generale - Ciottoli , Psicologia - Rubrica di Roberto Lorenzini
Psicoterapia normale e rivoluzionaria – Ciottoli di Psicopatologia Generale

Anche nell'ambito della psicoterapia è possibile parlare di rivoluzione e questo accade quando avviene un cambiamento improvviso nella mente del paziente

ARTICOLI CORRELATI
All I want for Christmas is Truth. Scoprire che Babbo Natale non esiste è traumatico?

Quando i bambini scoprono che Babbo Natale non esiste? Verso gli 8-9 anni (ma vi è un’estrema variabilità). Come avviene questa scoperta? 

La diagnosi di sordità del proprio figlio: un percorso di elaborazione del lutto

In questo articolo vengono presentati i risvolti psicologici di ognuna delle cinque fasi di elaborazione della diagnosi di sordità

WordPress Ads
cancel