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Resistenza non violenta e nuova autorità: un nuovo modello per gestire i comportamenti violenti e conflittuali nelle relazioni

A Tel Aviv è stato ideato un nuovo modello di gestire le relazioni tra adulti e bambini, basato sulla resistenza non violenta e su una nuova autorità.

Di Giuseppe Murelli

Pubblicato il 27 Dic. 2016

Aggiornato il 01 Lug. 2019 14:28

Il concetto di Resistenza non violenta implica uno stravolgimento del modo di rispondere e affrontare le situazioni problematiche: l’intento diventa resistere, affrontare e vincere la violenza senza esserne travolti o adottarla a propria volta ma utilizzando la determinazione della non violenza e della presenza per interrompere l’escalation e comunicare il proprio desiderio di esserci e aiutare. L’elemento centrale su cui si concentra l’intervento non sono quindi i figli o i ragazzi problematici ma i genitori e gli educatori: in altre parole per cambiare i “piccoli” bisogna cambiare i “grandi”, o meglio il loro modo di relazionarsi con coloro che devono aiutare a crescere.

Giuseppe Murelli, OPEN SCHOOL PTCR MILANO

Perchè è stato ideato il modello della Resistenza non violenta?

In un momento in cui certi valori morali e certi modelli educativi stanno vivendo una profonda crisi che mette pesantemente in discussione concetti cardine di una società civile come l’autorità, la genitorialità e il senso di appartenenza a una comunità, lasciando spazio a fenomeni sempre più preoccupanti come bullismo, assenza di rispetto, comportamenti arroganti o prevaricatori e autoaffermazione sfrenata di sé, é più che mai necessario fermarsi e riflettere su ciò che sta avvenendo per capire quale sia il problema e trovare il modo migliore, tra quelli attuabili, per risolverlo. Di questa necessità sono ben consapevoli genitori, insegnanti e educatori.

Il modello di Haim Omer, basato sui concetti di resistenza non violenta, nuova autorità, presenza, àncora e cura vigile, potrebbe rappresentare un’opzione degna di attenzione. A prima vista potrebbe sembrare un modo troppo ambizioso e ideale di intendere l’educazione e l’approccio ai figli, alle famiglie, ai pazienti e, più in generale, alle persone. Dopo aver preso confidenza coi pilastri che lo sorreggono, però, sono certo che concorderete con me nel ritenerlo un insieme di buone pratiche, adatto ad ogni tipo di interazione sociale e, diversamente da come può apparire a prima vista, non così difficile da realizzare con un po’ di impegno, di costanza e di aiuto reciproco.

 

L’autore del modello della Resistenza non violenta

Haim Omer, nato in Brasile da genitori ebrei polacchi (entrambi sopravvissuti dei campi di concentramento), è attualmente docente di Psicologia all’Università di Tel-Aviv. Nel corso dei suoi quarant’anni di carriera come Psicoterapeuta, ricercatore accademico e insegnante ha pubblicato oltre settanta lavori riferiti alla psicologia della demonizzazione, alla “presenza” genitoriale, alla Resistenza Non Violenta (Non Violent Resistance, NVR) in famiglia, nella scuola e nella comunità, alla Nuova Autorità (New Authority, NA) e alla funzione di “àncora” in quanto ponte tra i concetti di autorità e attaccamento.

La sua storia familiare ha suscitato in lui un profondo interesse per le strategie non violente come risposta contro la forza bruta della violenza. L’approfondimento delle dottrine della resistenza non violenta (a partire da figure cardine come Gandhi e Martin Luther King) e la sua formazione in psicoterapia sistemica gli hanno permesso di costruire l’approccio psicologico, psicoterapeutico e relazionale della Nuova Autorità per il quale è conosciuto in campo internazionale.

Infatti, nel 2011 a Tel Aviv insieme a Irit Schorr-Sapir, psicologa clinica e direttrice della clinica Resistenza non violenta per ragazzi con ADHD, ha fondato la Scuola di Resistenza Non Violenta, considerata il luogo ufficiale di insegnamento, supervisione e promozione dell’approccio della Resistenza non violenta e della Nuova autorità per tutti i professionisti che lavorano nel campo della salute mentale (l’enfasi é posta sulla necessità di un contesto multidisciplinare).

Da anni tra le sue attività rientra anche il tenere lezioni e conferenze in tutta Europa sulla Resistenza non violenta e la Nuova autorità (e se vi capitasse l’occasione di poterlo sentire coglietela al volo perché é un ottimo oratore e tra l’altro parla un perfetto italiano!). Il suo modello, oltre a fornire strumenti importanti per intervenire nelle situazioni problematiche, si rivela essere, a mio parere, utile per sviluppare e coltivare delle “buone norme” di comportamento e relazione, utili in tutti i tipi di contesti.
I concetti e i metodi di trattamento sono stati implementati da dei team terapeutici e da centri di trattamento con sede in Israele, Germania, Svizzera, Francia, Austria, Paesi Bassi, Belgio, Inghilterra, Danimarca e Svezia e i risultati degli studi controllati condotti sono stati pubblicati su diverse riviste specializzate.

Tra i suoi otto libri, molti dei quali tradotti in 8 lingue [inglese, tedesco, giapponese, ebreo, francese, portoghese, olandese e, ora finalmente, italiano], é importante ricordare “The new authority: family, school, and community” (2010) [di questo volume è ora disponibile la versione italiana “La nuova autorità: famiglia, scuola e comunità”], “The psychology of demonization: reducing conflict and promoting acceptance”, scritto con Nahi Alon e con una premessa del Dalai Lama, (2006), “Non-Violent Resistance: a new approach for violent and self-destructive children” (2004) e “Parental presence: reclaiming a leadership role in bringing up our children” (2000).

Per citare uno dei tanti esempi di strutture che stanno facendo propri i metodi della Resistenza non violenta si può guardare al lavoro del centro ospedaliero regionale universitario di Saint-Eloi a Montpellier in Francia. Del lavoro innovativo di questo centro (che si occupa di curare non i “bambini tiranni” ma le loro vittime, i genitori [cit.]) ha recentemente scritto anche il Corriere della Sera, costringendoci a prendere atto dell’attualità di questo “nuovo” approccio e di come si stia diffondendo sempre di più anche tra i nostri “vicini di casa”.

 

La Resistenza Non Violenta

La Resistenza Non Violenta è un concetto preso in prestito dal contesto socio-politico.
Nell’ambito della salute mentale, la Resistenza non violenta identifica l’approccio che lo psicologo Haim Omer ha sviluppato in Israele durante il suo lavoro con le famiglie e che riguarda la cura interpersonale a tutti i livelli (genitoriale, psicologica, medica e educativa): si rivolge quindi a chiunque svolga una funzione di caregiver.

L’approccio nasce come un sistema innovativo di terapia volto al superamento della crisi dell’autorità genitoriale e delle difficoltà che i genitori del XXI secolo incontrano quando devono confrontarsi coi comportamenti ribelli o addirittura aggressivi e violenti dei figli. Col tempo, però, si é esteso sempre di più e oggi può essere applicato a un ambito sempre più vasto e vario, fino a comprendere la salute mentale (tra cui ad esempio il trattamento di disturbi d’ansia, ADHD, dipendenza da internet, sindrome di Asperger, disturbi esternalizzanti, abuso di alcol) e alcune aree della società (come la scuola in tutti i suoi componenti, le famiglie adottive e affidatarie e le diverse realtà educative e sociali), agendo sia sulle crisi che, soprattutto, sulla prevenzione.

Il concetto di Resistenza non violenta implica uno stravolgimento del modo di rispondere e affrontare le situazioni problematiche: l’intento diventa resistere, affrontare e vincere la violenza senza esserne travolti o adottarla a propria volta ma utilizzando la determinazione della non violenza e della presenza per interrompere l’escalation e comunicare il proprio desiderio di esserci e aiutare. L’elemento centrale su cui si concentra l’intervento non sono quindi i figli o i ragazzi problematici ma i genitori e gli educatori: in altre parole per cambiare i “piccoli” bisogna cambiare i “grandi”, o meglio il loro modo di relazionarsi con coloro che devono aiutare a crescere.

I principi su cui si basa la Resistenza non violenta elaborata dal gruppo di Omer sono:
– Totale astensione da qualsiasi forma di violenza (fisica, emotiva, psicologica)
– Utilizzare strategie per prevenire o interrompere le escalation, comunicando così la propria presenza: la presenza é la componente più importante del caregiving e le azioni volte a innescare o accrescere l’escalation di fronte alla violenza, ai comportamenti autodistruttivi o all’ansia dei figli vanno nella direzione esattamente opposta
– Autocontrollo: l’unica cosa che possiamo sperare di controllare, forse e solo in parte, siamo noi stessi, perciò il modo che abbiamo per cambiare certe dinamiche é partire dal cambiamento di sé
– Rimandare la reazione: posticipare permette di non farsi guidare dagli impulsi e dal comportamento emotivo, in modo che tutti i partecipanti possano agire lucidamente (come Haim Omer dice saggiamente nel libro “La nuova autorità: famiglia, scuola e comunità” la cosa migliore da fare è “battere il ferro quando è freddo”!)
– Persistere: l’obiettivo non é vincere ma mostrare presenza, comunicare in modo chiaro il proprio proposito e il proprio desiderio di rimanere e continuare!
– Cercare supporto: così come il singolo individuo non può contrastare a lungo la violenza, allo stesso modo, da sola, una famiglia non può riuscire a gestire una situazione difficile. É necessario costruire una rete di supporto fatta dal maggior numero possibile di membri della famiglia, di amici e di conoscenti (“si passa dall’individualismo e dall’isolamento al supporto e all’unione della comunità”)
– Trasparenza: non si dovrebbe mai intraprendere un’azione alle spalle della persona coinvolta (incluso in figlio violento) ma comunicare apertamente cosa si farà e in che modo
– Fine del segreto: bisogna rompere il vincolo di omertà su cui si basa ogni forma di prevaricazione e violenza (incluso il bullismo!). Questi comportamenti si nutrono della vergogna e del concetto di privacy come di un diritto assoluto e inalienabile ma, e questo è uno dei punti fondamentali del modello di Omer, “le regole della privacy non valgono mai in caso di violenza, poiché essa fiorisce proprio nel segreto”.

Oggi la Resistenza non violenta è ben conosciuta e praticata in molti Paesi, soprattutto Europei.
Gli studi condotti (ad esempio Lavi-Levavi, Shachar, & Omer, 2013 e Weinblatt & Omer, 2008 in Israele; Oleffs, von Schlippe, Omer, & Kritz, 2009 in Germania; Newman, Fagan, & Webb, 2014 in Inghilterra; van Holen, Vanderfaeillie, & Omer, 2015 in Belgio) mostrano buoni risultati di efficacia in contesti sociali e culturali diversi, a fronte di un tasso di drop-out variabile tra il 5 e il 25%. In particolare si rileva la riduzione della violenza, di altri comportamenti esternalizzanti e delle escalation, la riduzione del senso di impotenza, l’aumento della capacità di esercitare la presenza e la cura vigile (anche in contesti in cui tali comportamenti sembravano ormai irrealizzabili a causa della continua presenza di conflitti e del loro autoperpetuarsi) e il miglioramento dello stato emotivo di tutti i partecipanti coinvolti.
Sulla Resistenza non violenta sono inoltre state organizzate dozzine di conferenze locali e quattro conferenze internazionali a cui hanno partecipato migliaia di persone.

 

La Nuova Autorità

Il concetto di Nuova Autorità nasce dalla constatazione che i genitori e gli insegnanti di oggi faticano ad affrontare il proprio ruolo e vivono uno stato di impotenza e, a volte, perfino di disperazione nei confronti dei figli e degli studenti, sempre più tiranni e senza regole, nei confronti dei quali non sanno come comportarsi. Questa nuova realtà pone una domanda, sia etica che pratica, su come si è arrivati a questo punto e su come sia possibile aiutare queste figure che hanno perso ogni forma di autorità/autorevolezza.
Haim Omer e il suo Team dello Schneider Children’s Medical Centre di Israele, capitanato da Idan Amiel, rispondono a questo bisogno creando il concetto di “Nuova Autorità” (NA). Essa, basandosi sui principi della Resistenza non violenta, permette a genitori e insegnanti (ma si rivolge in realtà a tutta la società) di superare in modo efficace i comportamenti distruttivi e autodistruttivi dei ragazzi e vincere il senso di impotenza.

Per elaborare il concetto di Nuova autorità bisogna innanzitutto riflettere su quanto successo in passato: questo nuovo modello inizia, infatti, a definirsi guardando i passati fallimenti dei modelli di autorità.

Negli anni ‘60-‘70 l’autorità rigida e controllante era stata riconosciuta come il problema (la causa di gran parte dei problemi emotivi e comportamentali dei bambini): si è quindi tentato di costruire un modello educativo basato sull’idea che i bambini dovessero crescere con amore, comprensione e incoraggiamento per sviluppare la propria autostima e che il seme del proprio sé avrebbe potuto crescere e svilupparsi in modo ottimale solo attraverso libertà e assenza di costrizioni (modello dell’educazione aperta). In questo modo si pensava che i nuovi adulti avrebbero mantenuto questi valori e creato una società affettiva, prosociale e libera. A questo proposito non è possibile non ricordare i contributi di Benjamin Spock (1946) e Fronçoise Dolto (1992), i cui consigli riguardo l’importanza del permissivismo e della necessità di trattare (giustamente) i bambini come persone hanno rappresentato un faro per molti genitori e educatori di quegli anni.

Gli studi successivi, però, hanno evidenziato il naufragio di queste speranze e risultati del tutto diversi: la sola crescita spontanea con assenza di limiti e di presenza genitoriale porta a una soglia più bassa di frustrazione (con conseguente stima di sé minore), più alto abbandono scolastico e di gruppo (poiché i ragazzi non hanno mai dovuto imparare ad adattarsi), maggiore aggressività e maggior rischio di dipendenza da sostanze. Per sviluppare l’autostima non è infatti sufficiente ricevere un rispecchiamento positivo dagli altri ma è anche necessario fare l’esperienza di superare delle difficoltà (che nell’educazione aperta vengono invece eliminate di default) per potersi dire “Ce l’ho fatta! Sono capace!”. La questione da risolvere diventa quindi come esporre il bambino alle esperienze di necessità in modo costruttivo e non distruttivo. Inoltre, la distruzione della vecchia autorità in favore di una nuova più amorevole e permissiva ha in sostanza privato le figure di autorità anche di qualunque autorevolezza. L’altro obbiettivo da raggiungere è, di conseguenza, riuscire a costruire un nuovo modello di autorità che recuperi l’autorevolezza senza includere l’autoritarismo.

La Nuova autorità si sviluppa dalla consapevolezza di questi fallimenti e dalla delusione che ne é conseguita e ne prende le distanze ergendosi sui pilastri che derivano dalle seguenti distinzioni:

– Vecchia autorità VS Nuova Autorità
La vecchia autorità si rivela essere un sorvegliante costante a cui ci si rivolge (o meglio che incombe su di noi) quando si è già commesso un errore e di cui bisogna avere paura perché ci punirà. La Nuova autorità rappresenta invece una presenza continua e rassicurante che al tempo stesso educa, aiuta a crescere e supervisiona in un clima di vicinanza, supporto e comprensione.

– Figura dell’autorità distante dalla nuova generazione VS Presenza decisa, vicinanza ai ragazzi e cura vigile
La vecchia autorità si basa sul mantenimento della distanza e verrebbe persa se questa diminuisse, quindi la figura dell’autorità deve stare sopra, osservare dall’alto ed essere irraggiungibile. La Nuova autorità si realizza invece con la presenza e la vicinanza, interessandosi con rispetto e senza invadenza di ciò che succede fino a quando non ci sono segni di problemi su cui intervenire (vedi in seguito).

– Controllo e cieca obbedienza VS Autonomia, cura vigile e àncora (vedi in seguito)
La vecchia autorità mira a crescere bambini obbedienti che possono essere controllati e forzati a comportarsi in un certo modo. La Nuova autorità aspira a rendere i bambini autonomi senza farli sentire abbandonati e ad insegnare loro a collaborare; per far questo il genitore non deve essere una figura “che controlla” ma una presenza che supervisiona attentamente quello che succede.

– Controllo VS Autocontrollo
La vecchia autorità mira ad avere il controllo sull’altro. La Nuova autorità si basa invece sulla consapevolezza che il controllo dell’altro sia qualcosa di irrealizzabile e che l’unico modo per cambiare le cose sia cambiare se stessi: il controllo diventa quindi un autocontrollo nel decidere come reagire e come non innescare l’escalation.

– Conflitto come gara da vincere per arrivare alla sconfitta dell’altro e affermare la propria superiorità VS Superare i conflitti fuori da una logica competitivo/agonistica
Nella vecchia autorità il conflitto è visto sempre e solo come un litigio, uno scontro tra due persone che può concludersi solo con la vittoria di uno e la sconfitta dell’altro; in tal senso vincere il conflitto significa dimostrare di avere potere. La Nuova autorità, invece, vede il conflitto come una situazione comune in cui due persone hanno obiettivi o strategie diverse: per risolvere un conflitto è quindi necessario mettersi d’accordo e trovare, quando possibile, un punto in comune. In tal senso non solo è inutile (se non addirittura dannoso) scontrarsi e arrivare a litigare, ma il conflitto può perfino diventare una risorsa, in quanto occasione per collaborare, scambiare opinioni, trovare nuove soluzioni insieme e comprendere meglio il punto di vista dell’altro. Lo scopo è risolvere il problema, non vincere una gara o affermare la propria superiorità.

– Gerarchia piramidale rigida, chiusura della famiglia al mondo esterno e forte senso del privato VS Apertura, trasparenza, comunicazione e coinvolgimento dell’altro all’interno del mondo intrafamiliare attraverso la ricerca di aiuto e sostegno esterno per eliminare l’isolamento.
La vecchia autorità si caratterizza per il limite rigido posto intorno a tutte le questioni che la riguardano (il messaggio trasmesso è “ciò che succede in casa mia riguarda solo me e nessuno deve immischiarsi”). La Nuova autorità si basa invece sui concetti di apertura, trasparenza e ricerca di sostegno anche al di fuori delle mura domestiche, abbattendo i concetti di vergogna e privacy nelle situazioni connesse alla violenza: il concetto di immunità allo sguardo altrui è pericoloso e può portare agli abusi di autorità.
Mentre la vecchia autorità trova la propria legittimazione nella persona stessa (“io sono il capo e tu un subalterno che deve obbedire”) la Nuova autorità deriva, invece, proprio dalla rete sociale che la sostiene e di cui si è un rappresentante (si abbandona l’“io” in favore del “noi”).
Lo stesso vale in ambito scolastico, dove la supervisione degli insegnanti non è limitata alle aule e alla sala professori ma si estende a tutti gli spazi della scuola, inclusi quelli “off limits” come cortili, bagni e tragitto casa-scuola.

– Reazioni immediate a qualunque provocazione e a qualunque comportamento problematico VS Rimandare le proprie reazioni
La vecchia autorità segue la regola della fisica dell’azione-reazione prevedendo di reagire immediatamente e, spesso, in modo aggressivo e poco ragionato, portando così all’escalation. La Nuova autorità propone invece di posticipare la reazione per evitare reazioni impulsive (sia del genitore che del ragazzo) e fermare l’escalation

– Autorità onnisciente, onnipotente e infallibile VS Autorità fallibile e che può imparare dagli errori
La vecchia autorità prevede una figura dell’autorità infallibile, che non può mai essere messa in discussione (nel cui caso bisognerebbe reagire immediatamente e rigidamente) e che non può mai ammettere di aver sbagliato: deve proseguire sempre per la strada già intrapresa, non scendere a compromessi con i “sottoposti” e non tollerare eventuali critiche o consigli. La Nuova autorità, al contrario, recupera lo “status di essere umano” della figura dell’autorità, che, proprio come ogni essere umano, può sbagliare, ammettere di aver sbagliato, rimediare, imparare dai propri errori e perfino arrivare a chiedere scusa al figlio, cercando insieme a lui una soluzione o un modo diverso per gestire la situazione

– Errore irrimediabile a cui deve seguire una punizione VS Errore rimediabile
Questo punto deriva da quello precedente. La vecchia autorità si focalizza sull’intolleranza dell’errore, a cui deve sempre seguire una punizione rigida e che non può mai essere completamente rimediato. La Nuova autorità, invece, sottolinea a gran voce la possibilità che il ragazzo possa, anche di propria iniziativa, rimediare ai propri errori e riguadagnare la fiducia e il rispetto degli altri. In una visione in cui l’adulto è il primo ad essere consapevole e ad accettare di poter sbagliare e poter rimediare ai propri errori, il ragazzo imparerà di conseguenza di avere a propria volta questa possibilità.

– Identificazione tra soggetto e comportamento VS totale distinzione tra soggetto (mai in discussione e sempre amato e rispettato) e comportamento (da osteggiare in tutti i modi leciti sempre e ad ogni costo)
La vecchia autorità quando agisce non distingue tra soggetto e comportamento: si attiva in modo rigido colpevolizzando la persona e giudicandola nella sua interezza. La Nuova autorità, invece, distingue le due parti e interviene in modo anche molto determinato sul comportamento problematico ma non giudica né mette mai in discussione la persona che lo commette: seguendo il vecchio detto per cui “si dice il peccato ma non il peccatore” si agisce sul comportamento comunicando in modo chiaro (sia a livello verbale che a livello non verbale) come sia quello l’elemento problematico e non la persona che lo sta mettendo in atto. Il ragazzo, in questo modo, ha sempre la consapevolezza di essere amato, accolto e non giudicato, imparando che può rimediare alle sue azioni e che il suo valore di persona non è mai messo in pericolo. Questo atteggiamento non giudicante elimina ogni rischio di cadere nell’errore di umiliare l’altro, evitando così di spingerlo a difendere il suo orgoglio ad ogni costo.

Questo cambiamento di prospettiva permette anche di vedere e concentrarsi su problemi che in passato sono stati in gran parte ignorati, sottovalutati o normalizzati come “cose che accadono, che sono parte del normale essere delle cose, di cui non c’è bisogno di preoccuparsi o contro cui non si può fare niente”.

Esempi importanti sono la violenza familiare tra fratelli, quella dei figli sui genitori e il bullismo (a cui viene dedicato ampio spazio nel libro “La nuova autorità”) che sempre più si stanno riconoscendo come fattori critici per una crescita e uno sviluppo emotivo e psicologico equilibrati.

Allo stesso tempo il modello si è rivelato efficace anche nel contesto psichiatrico e in quello manageriale. Per quanto riguarda la psichiatria segnalo in particolare il progetto SPACE, che unendo lo stile e i contenuti della CBT ai principi della Resistenza non violenta e della Nuova autorità si rivolge ai genitori di ragazzi con disturbi d’ansia: il programma si pone l’obbiettivo di modificare il comportamento dei genitori e il loro modo di relazionarsi all’ansia e ai comportamenti dei figli, anziché di cambiare direttamente i modelli comportamentali, cognitivi ed emotivi dei ragazzi. Buoni risultati sono stati ottenuti, tra gli altri, anche nel trattamento dell’ADHD, dell’abuso di sostanze e dei disturbi esternalizzanti.

Il modello di Haim Omer, che all’apparenza può sembrare limitato al solo ambito pedagogico, si rivela invece essere una forma mentis, un modo di relazionarsi in modo efficace, funzionale e utile: può così essere esteso a tutto ciò che riguarda le relazioni sociali.

 

La presenza e il concetto di àncora

La Nuova autorità si basa sui principi della Resistenza non violenta e trova i suoi caposaldi nei concetti di presenza e di àncora. Come Haim Omer ricorda sempre nei suoi libri e nelle sue conferenze, “nelle situazioni quotidiane di impulsività, violenza e conflitto i genitori non sono in grado di riflettere sui complessi fattori psicologici in gioco ma hanno bisogno di strategie semplici, rapide e pratiche per gestire quello che succede”. Su questo principio ha elaborato i suoi modelli e le strategie da mettere in atto.

La presenza genitoriale é forse il più potente e il più naturale messaggio che un genitore può offrire a un figlio, e agisce in modo bidirezionale sia sul figlio (“io sono qua e qua rimango, sono il tuo genitore, tu sei mio figlio e non puoi cancellarmi o divorziare da me perché ti voglio bene e non posso smettere di volertene”) che sul genitore stesso (che in questo modo sente di essere presente e di avere un ruolo e un impatto sul figlio).
Nel modello elaborato da Omer vengono individuate e insegnate varie strategie (ad esempio il sit-in o la ronda telefonica) per imparare a ritrovare, aumentare e comunicare la propria presenza resistendo alle escalation (che sono il segnale della diminuzione di presenza e, se non gestite, possono ridurla sempre di più) e separando le parti positive del ragazzo da quelle negative, riconoscendole entrambe e permettendo a quelle positive di essere viste, avvalorate e, così, di espandersi sempre di più.

Il concetto di àncora trova le sue basi nella teoria dell’attaccamento e scaturisce naturalmente da questo nuovo modo di intendere l’autorità.
L’obiettivo del genitore nel tempo é cambiato sempre di più: da far crescere un bambino ben educato a far crescere un bambino sereno offrendogli una struttura stabile e positiva con cui rapportarsi a lui e agli altri per poter crescere libero e responsabile.

Questo cambiamento fa sorgere la domanda “come posso creare un rapporto positivo col bambino in modo che possa crescere bene?”. La risposta a questa domanda trova le basi nella teoria dell’attaccamento con le funzioni genitoriali di:
– riparo sicuro, ovvero accettazione incondizionata da parte dei genitori, in cui il bambino può sempre trovare riparo sicuro e braccia che lo stringono per ricaricarsi quando ne sente il bisogno;
– base sicura, ovvero la percezione di sentirsi già al sicuro col genitore e la certezza che lui c’è e ci sarà sempre, perciò si può andare ad esplorare il mondo sapendo che si potrà sempre tornare indietro se si vorrà farlo (“vai ad esplorare che io resto qui se avrai bisogno di me”).
Queste due funzioni insieme rappresentano l’immagine del porto sicuro, a cui il ragazzo sa di poter sempre tornare perché il porto protegge e ripara ma è anche sempre aperto al mare per ricevere le navi.

Tuttavia questo non é sufficiente a rendere un porto sicuro!
Per diventarlo è necessario introdurre all’interno della teoria dell’attaccamento anche l’autorità, fino ad ora non considerata nell’equazione. L’autorità, rappresentata da un’àncora con catena regolabile, permette al genitore di garantire le altre funzioni necessarie al figlio:
– fare in modo che le piccole navi che stanno pian piano imparando a navigare possano esplorare con una certa libertà ma con un aiuto che eviti eventuali scontri l’una contro l’altra
– fornire il sostegno necessario durante le piccole tempeste
– dare un limite oltre il quale esplorare diventa troppo pericoloso
– lasciare un’adeguata libertà di esplorazione aumentando, quando ragionevolmente possibile, la lunghezza della catena
– mantenere sempre la presenza, ma in un modo che il bambino non percepisce come intrusivo (la piccola nave non percepisce la tensione della catena dell’àncora, ma l’àncora rimane lì per tutto il tempo)
– rimanere saldi, senza farsi trascinare dai comportamenti del figlio, in modo da comunicare la propria presenza determinata e non dare il via a un’escalation (non solo per quanto riguarda la rabbia ma, ad esempio, per l’ansia: se un genitore va in ansia quando vede il proprio figlio in ansia, quest’ultimo vedendo la reazione del genitore potrebbe spaventarsi e quindi aggiungere altra ansia a quella che già sta provando) e, come un mitologico filo di Arianna, lasciare una guida che possa permettere di “ritrovare la strada di casa”.

In questo modo la teoria dell’attaccamento viene allargata e viene superato il limite della sola relazione diadica madre-bambino come unica relazione o relazione più importante, prospettando invece un rapporto come minimo triadico e, meglio ancora, n-adico in cui tutta la rete di sostegno possa rappresentare tanti piccoli ganci a cui il bambino può aggrapparsi quando ne sente il bisogno e che al tempo stesso possono frenarne gli sviluppi problematici e porre dei limiti. Una certa dose di limiti è infatti necessaria per uno sviluppo ottimale. Questa nuova visione sottolinea come la teoria dell’attaccamento sia diventata una “teoria sentimentale” poiché ha sottolineato le qualità di amorevolezza, dolcezza e sensibilità ma ha fatto sparire la forza e la saggezza, ovvero l’autorità. Chi protegge, invece, deve essere sì amorevole, sensibile e accudente ma anche forte e saggio, ritrovando la propria autorità.

L’obiettivo proposto a genitori e educatori é quello di imparare ad essere un’àncora sempre più funzionale, in modo che il ragazzo sia consapevole della presenza, della sicurezza e della disponibilità dell’àncora mentre al tempo stesso può sentirsi libero, senza sentire la tensione della catena fino a quando non si spinge troppo oltre. Per riuscire in questo intento lo strumento consigliato é la cura vigile, l’abilità di rimanere in allerta (con un orecchio sempre in ascolto e pronto a captare gli eventuali pericoli) ma in modo graduale, attraverso un equilibrio dinamico che oscilla tra diversi livelli di vigilanza in base ai segnali di pericolo effettivamente rilevati: dall’attenzione a tutto ciò che succede intorno al figlio a quella focalizzata a uno specifico elemento alla protezione vera e propria.
Oltre il caso singolo e la singola famiglia: verso l’infinito e oltre!

Prendo spunto dal motto di Buzz Lightyear, personaggio immaginario dei film di animazione “Toy Story” (realizzati da Pixar Animation Studios e distribuiti da Walt Disney Pictures), per parlare di come idealmente, ma c’é da augurarsi che lo diventi sempre di più anche concretamente, il modello di Haim Omer non miri a risolvere solo lo specifico problema di quella persona, di quella famiglia o di quella comunità, ma abbia come obiettivo un sogno ben più grande, molto ambizioso, quasi visionario e folle: il coinvolgimento dell’intera società in un cambiamento generale che permetta la convivenza pacifica.

In quest’obiettivo, quasi ideale, posto come traguardo da raggiungere coi concetti di Resistenza non violenta e Nuova autorità, mi sembra quasi di ritrovare le parole che il grande Giacomo Leopardi ha scritto in quella che viene considerata la sua opera postuma, “La ginestra o il fiore del deserto”. Così come il deserto rappresenta la solitudine arida e impotente di fronte alla sofferenza e a un destino di fine e morte certa, così il singolo, la famiglia e la comunità, se lasciati da soli, possono ben poco di fronte allo sbando a cui oggigiorno si sta assistendo sempre di più. Eppure, così come la ginestra può ingentilire l’arido deserto resistendogli e inondandolo con il suo profumo, allo stesso modo la società civile può resistere alle spinte deviazioniste, prevaricatrici e destabilizzanti al suo interno preservando i valori democratici e sociali: una sfida che sembra quasi titanica ma che, a conti fatti, sembra invece raggiungibile e “quasi a portata di mano” se si riesce a rinunciare e superare i vecchi concetti di “resistenza” e “autorità”.

[l’umanità] Costei [la natura] chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccom’è il vero, ed ordinata in pria
l’umana compagnia,
tutti fra sé confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune. Ed alle offese
dell’uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino ed inciampo,
stolto crede cosí, qual fora in campo
cinto d’oste contraria, in sul piú vivo
incalzar degli assalti,
gl’inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.

(vv. 126-144)

Così come tutti gli uomini sono uniti, schierati, alleati contro la natura matrigna, allo stesso modo non si possono ottenere risultati davvero significativi contro la violenza e le dinamiche innescate dai valori della “vecchia autorità” senza cooperare: serve una collaborazione che comprenda la società in tutti i suoi livelli, in tutte le sue parti, un’armonia unisona che, come la “social catena” Leopardiana, possa permettere di agire in modo sincrono per ottenere, grazie a questa solidarietà, l’obiettivo comune desiderato.

Sebbene quindi i piccoli (in realtà già grandi e, a volte, difficili da realizzare) interventi nelle piccole realtà siano da apprezzare, incentivare e rafforzare (sono le indispensabili micce da cui il processo può cominciare), é solo con l’attivazione generale e la mobilitazione dell’intera società che il traguardo potrà essere raggiunto. Questo é il grande sogno che Haim Omer sembra, a mio parere a ragion veduta, voler trasmettere.

Una “piccola vittoria” in questa direzione è già stata ottenuta con il programma “City Without Violence” attivato in Israele per combattere i comportamenti antisociali, la violenza (soprattutto giovanile), la delinquenza e i crimini.
Risultati come questo dovrebbero incoraggiarci a credere nella possibilità di realizzare questo obiettivo e a risvegliare dentro di noi la volontà, la determinazione e l’impegno per farlo davvero.
Il logo della resistenza non violenta: quando un’immagine dice più di mille parole

Un cerchio fatto di persone che rappresenta l’importanza della comunità e di ogni individuo che la compone

La figura della nuova autorità è parte integrante della comunità ma offre anche un punto di appoggio per chi dovesse averne bisogno

Il cerchio di persone forma anche un occhio attento che rappresenta l’importanza del coinvolgimento degli altri e della cura vigile

Il cerchio blu rappresenta la nostra speranza che questo concetto si diffonda in tutto il mondo.

 

Conclusioni

Mi si permetta a questo punto un commento personale conclusivo.

Il modello di Haim Omer, basato sui principi della Nuova autorità e della Resistenza non violenta, si propone come un approccio rivolto non solo alle famiglie problematiche in cui si manifestano problemi di violenza o problemi legati alla genitorialità ma anche a tutte le famiglie in generale e a tutte quelle persone che si trovano, per lavoro o per diletto (ad esempio psicologi, insegnanti, educatori, babysitter, catechisti, vicini di casa…), a contatto con bambini e ragazzi e che devono confrontarsi con loro, con le loro necessità, coi loro problemi e con le difficoltà che da tutto ciò conseguono.

È sicuramente vero, e questa rappresenta una delle obiezioni più frequenti quando viene presentato questo modello, che metterlo in pratica comporta un certo impegno e può essere percepito come un “qualcosa in più che deve essere imparato e fatto quando già ci si sente stanchi, sfiniti e scoraggiati”.

Effettivamente a prima vista potrebbe sembrare così. Come per ogni atteggiamento e comportamento, però, nulla obbliga a prendere in considerazione e attuare la Resistenza non violenta e la Nuova autorità come se fossero la risposta necessaria e la verità assoluta. Forse, però, sarebbe più saggio chiedersi cosa ci si perda e quale sarebbe l’utilità a non farlo. Con una modalità presa in prestito dal problem solving, ci si può chiedere quale alternativa, tra il continuare mestamente come si sta facendo e il provare con un briciolo di curiosità a cambiare qualcosa, abbia il maggior numero (in termini sia quantitativi che qualitativi e sia oggettivi che soggettivi) di benefici rispetto ai costi. Provando a riflettere un po’ più a fondo sulla questione sembrerebbe sempre di più che l’alternativa di non provare a utilizzare la Resistenza non violenta e la Nuova autorità risulti meno conveniente di quella di, quanto meno, provare a utilizzarla. Si è sempre in tempo a tornare indietro nel caso lo si ritenga necessario.

Per concludere, verrò probabilmente guardato con sospetto tra pochi attimi, quando azzarderò esageratamente (ma forse non così esageratamente) che vista la “semplicità” del metodo, la sua applicabilità, i livelli di provata efficacia e il possibile bacino di utenza a cui può rivolgersi, l’approccio di Haim Omer potrebbe essere considerato come potenzialmente utile e importante, in ambito psicologico, pedagogico e sociale, quanto si é rivelato essere, nell’ambito della salute mentale, il modello Marsha Linehan per il disturbo borderline di personalità. Saremmo quindi sciocchi e poco lungimiranti a lasciarci scappare una tale “pietra filosofale” (o peggio a lasciarla sfruttare, magari impropriamente, ad altri specialisti!).

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