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L’uso di Photovoice nel Disturbo da Stress Post-Traumatico

Photovoice è un utile strumento terapeutico in caso di eventi traumatici: attraverso l'uso delle foto si crea una narrazione personale e la si discute.

Di Ilaria Loi

Pubblicato il 12 Dic. 2016

Aggiornato il 13 Dic. 2016 16:26

Photovoice: la terapia basata sull’utilizzo di fotografie come nuovo approccio per i sopravvissuti a stupro e violenza sessuale.

 

 

Secondo i dati ISTAT nel 2015, circa il 35% delle donne nel mondo, 6 milioni e 788 mila solo in Italia, ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale da parte del proprio partner o di un’altra persona e il 12% di loro non ha avuto la forza di denunciare tale violenza.

Da una serie di ricerche emerge anche che più di un terzo delle donne sopravvissute ad una violenza sessuale sviluppa in seguito sintomi riconducibili al Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), ma che non tutte risultano essere responsive ai tradizionali trattamenti per questo disturbo, con la conseguente ricomparsa di sintomi invalidanti nel corso del tempo.

 

Photovoice e PTSD

Recentemente, Rolbiecki, ricercatrice presso la scuola di medicina dell’Università del Missouri, e collaboratori (2016) hanno evidenziato come affiancare ai classici interventi per il trattamento del PTSD l’utilizzo del Photovoice, una tecnica terapeutica di derivazione comunitaria in cui i partecipanti sono invitati ad esprimere i propri pensieri ed emozioni attraverso fotografie ed immagini, possa portare ad una migliore guarigione dal disturbo, con remissione di sintomi persistente nel tempo.

 

Cos’è il Photovoice?

Il Photovoice è una tecnica sviluppata da una ricercatrice statunitense negli anni ’90 (Wang, 1999) con lo scopo, tramite l’utilizzo di fotografie, di permettere alle persone di identificare e riflettere sui punti di forza e sulle problematiche della propria comunità di appartenenza, di favorire lo scambio di opinioni attraverso la creazione di gruppi di discussione e di favorire così anche il miglioramento della stessa comunità.

Il Photovoice offre così alle popolazioni più svantaggiate e vulnerabili la possibilità di esprimere se stesse attraverso modalità alternative, permettendo potenzialmente anche ai sopravvissuti ad esperienze traumatiche di comunicare i propri pensieri e sentimenti. In altre parole, attraverso una combinazione di fotografia e discussioni di gruppo, Photovoice consente di attivare i membri della comunità, accompagnandoli nell’identificazione dei propri punti di vista, per poi utilizzarli come leve per promuovere il cambiamento sociale. La foto diviene così la voce attraverso cui le persone possono esprimersi e grazie alla quale possono divenire più consapevoli della situazione in cui sono immersi, andando anche ad identificare i fattori che concorrono alla determinazione della stessa.

All’interno dello studio di Rolbiecki e collaboratori, invece, Photovoice è stato utilizzato, più che come catalizzatore di processi di cambiamento sociale, come una vera e propria tecnica terapeutica. I partecipanti venivano invitati a raccogliere foto che raffigurassero le proprie debolezze, i propri punti di forza, i triggers, o stimoli attivanti (che portano alla riattualizzazione della sintomatologia PTSD), e i processi intrapresi per guarire e per ottenere giustizia. In questo modo ai partecipanti veniva data la possibilità di esporsi per gradi e in modo meno dirompente ai propri stimoli attivanti, riuscendo così anche a discutere e mettere in discussione i propri pensieri e sentimenti circa l’esperienza traumatica all’interno di un setting sicuro e supportivo.

 

Effetti del Photovoice nel trattamento del PTSD

Secondo i ricercatori, proprio grazie all’uso di Photovoice, sarebbe quindi possibile incrementare l’efficacia dei tradizionali trattamenti per il PTSD. Questi ultimi infatti sembrerebbero essere prevalentemente focalizzati sull’aspetto della gestione dell’ansia nei confronti degli stimoli attivanti, offrendo però poco supporto per quanto riguarda la gestione dei sentimenti di impotenza frequentemente percepiti dalle vittime. Sarebbe al contrario auspicabile aiutare queste ultime nella ri-attribuzione di questi stessi sentimenti all’esperienza traumatica, più che ad una incapacità a livello personale, in modo da incoraggiarle anche a riscrivere la propria storia e a significare correttamente quanto vissuto e ciò che ne è conseguito, abbandonando l’etichetta di vittima inerme. Proprio in questo senso, infatti, le terapie tradizionali non risultano essere focalizzate in modo specifico sulla promozione di una ripresa ed una crescita in seguito al trauma, in un’ottica di empowerment delle vittime sopravvissute.

 

Photovoice e violenza sessuale: lo studio di Rolbiecki

Lo studio di Rolbiecki et al. (2016), più nello specifico, ha coinvolto 9 donne che nel corso della propria vita hanno subito un qualche tipo di violenza sessuale, riportando poi una sintomatologia ascrivibile al PTSD. Ad ogni donna gli sperimentatori hanno fornito una fotocamera, con l’indicazione di scattare foto che raffigurassero l’essenza della violenza subita, così come l’avevano esperita, e il successivo percorso di recupero. Era stato inoltre previsto un incontro settimanale durante il quale le donne potessero incontrarsi per discutere di quanto emerso dalle foto.

Alla fine degli incontri di gruppo, poi, le partecipanti hanno potuto partecipare all’allestimento di una mostra fotografica, con lo scopo di sensibilizzare e informare la comunità circa la realtà della violenza sessuale, delle politiche vigenti al riguardo e delle conseguenze traumatiche da essa derivanti. Infine, dopo la mostra le partecipanti sono state ulteriormente intervistate per poter discutere in modo più approfondito della loro esperienza con la tecnica del Photovoice come intervento terapeutico.

Per quanto riguarda i risultati, alla fine del progetto è emersa da un lato una considerevole riduzione dei sintomi PTSD e di auto-colpevolizzazione, e dall’altro un aumento a livello degli indici di crescita post-traumatica, in particolar modo per quanto riguarda la percezione di sé come coraggiosa e forte.

 

Conclusioni

In conclusione, Photovoice, andando in una direzione contraria rispetto alla tendenza ad etichettare come vittima inerme chi sopravvive ad una violenza sessuale, permette alle persone di ridefinire se stesse come padrone della propria vita, andando oltre la vittimizzazione. Attraverso l’uso di questo strumento è infatti possibile condividere la propria storia mantenendo il controllo di come viene narrata e dando così la possibilità di ricostruire la storia di quanto accaduto, in modo che questo possa infondere forza e permettere di andare avanti più forti di prima. Proprio in questo senso si può affermare che Photovoice abbia implicazioni a livello terapeutico, soprattutto per quanto riguarda il trattamento di eventi traumatici attraverso la creazione e la discussione critica di narrazioni costruite con supporto fotografico.

In modo analogo all’EMDR, questo approccio potrebbe risultare in particolar modo efficace con quei pazienti con difficoltà nella verbalizzazione dell’evento traumatico vissuto. Infatti, l’utilizzo di tecniche non basate su interventi verbali, che possono quindi fornire al paziente un maggior controllo verso le esperienze di esposizione, permetterebbe un aiuto in modo più efficace ed incisivo a livello della regolazione e della gestione delle emozioni intense che potrebbero scaturire durante la fase di elaborazione dell’esperienza vissuta.

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