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La malattia oncologica e l’impatto sulla famiglia: effetti ed interventi

La malattia oncologica implica cambiamenti significativi che coinvolgono non solo il malato, ma anche tutto il sistema familiare che si muove attorno a lui.

Di Laura Pizzacani

Pubblicato il 13 Dic. 2016

Aggiornato il 21 Gen. 2020 14:04

Quella della malattia oncologica rappresenta un’esperienza di vita dolorosa e traumatica, che implica cambiamenti significativi che coinvolgono non solo il singolo malato, ma anche tutto il sistema familiare che si muove attorno a lui. Infatti, eventi che creano ostacoli e difficoltà per la famiglia, e per questo considerabili come vere e proprie crisi, si verificano durante tutto il suo ciclo di vita, tuttavia quella della malattia oncologica rappresenta un’esperienza estremamente complessa da affrontare, che crea sfide nuove e spesso inaspettate.

Laura Pizzacani, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

Malattia oncologica: l’impatto sulla famiglia

È alla luce di questi mutamenti che si evince l’importanza dell’ambiente familiare, che fornisce il contesto di adattamento in cui la persona reagisce alla diagnosi e valuta l’evento e le proprie capacità di farvi fronte, il tutto in relazione ai significati di cui quella famiglia è portatrice, significati che vengono appresi e trasmessi per via trans-generazionale. In queste condizioni, la storia della patologia e della sofferenza ad essa connessa diventano così prorompenti da interrompere il normale ciclo di vita di tutti i membri del nucleo, imponendo la necessità di preservare sia la propria identità a fronte di tale stravolgimento, come singoli e come membri del gruppo, nonché di adattarsi alle conseguenze più o meno catastrofiche che emergono.

Un approccio corretto al percorso che la patologia inevitabilmente implica, perciò, dovrebbe considerare come essenziali sia i cambiamenti esperiti dal paziente, che quelli che vedono coinvolta la sua famiglia, in un’ ottica multidimensionale che integri l’attenzione al piano fisico con quella per gli aspetti psicologici e pratici.

Numerose ricerche (Rolland, 2005; Valera, Mauri, 2008; Biondi et al., 2014) dimostrano come nel percorso di malattia oncologica si possano identificare tre macro-fasi, ciascuna caratterizzata da specifici bisogni e compiti di sviluppo per tutti coloro che fanno parte della famiglia. Esse possono essere così distinte:
1) fase seguente alla diagnosi, definibile anche come fase di “crisi”: riguarda il periodo iniziale, in cui si viene a conoscenza della diagnosi e si rende necessaria la prima forma di adattamento all’evento inaspettato. È caratterizzata da livelli molto alti di stress, associati ad ansia e depressione sia per il malato, che per i familiari, che iniziano a percepire la difficoltà della gestione emotiva e pratica della situazione stressante, risultando così vulnerabili su più fronti.
2) fase di progressione della malattia oncologica, caratterizzata dal peggioramento dei sintomi, nonché da un decadimento più o meno grave delle funzioni del paziente e un conseguente aumento della sua dipendenza. In questo stadio la famiglia si sforza di mantenere, non senza difficoltà, l’apparenza di una vita normale. Sarebbe perciò utile incoraggiare l’autonomia di ogni suo membro e l’elaborazione dei sentimenti di rabbia e perdita esperiti in relazione al cambiamento, prevenendo circoli viziosi caratterizzati da vergogna e senso di colpa per le emozioni provate, e favorendo lo sviluppo di modalità relazionali più funzionali tra i membri della famiglia.
3) fase terminale della malattia oncologica, in cui, in caso di guarigione, si può elaborare il vissuto connesso all’esperienza e favorire l’inizio di un nuovo “capitolo” di vita slegato dall’ansia e dalla preoccupazione costante, mentre nel caso in cui sia la famiglia che il malato debbano accettare l’idea della fine e della separazione, l’aiuto degli esperti può permettere di far vivere questa fase come un’opportunità di condivisione finale e di riorganizzazione globale del proprio percorso, preparandoli ad affrontare il lutto.

Queste fasi temporali della malattia oncologica possono essere considerate come periodi che portano con sé richieste di sviluppo supplementari e più specifiche rispetto a quelle comunemente affrontate. In particolare nelle ultime due, sia il carico di lavoro oggettivo, dato dalla riduzione del tempo libero e dall’alterazione della routine familiare, che quello soggettivo, dato dalle conseguenze psicologiche connesse alle modalità con cui si è affrontato “l’evento malattia”, determinano una profonda stanchezza per malato e familiari/caregiver.

 

Effetti della malattia oncologica sul paziente

La malattia rappresenta per ciascuno di noi una minaccia per la propria esistenza fisica, perciò la reazione che solitamente si osserva in seguito ad una qualunque diagnosi grave corrisponde ad un vero e proprio “shock da trauma”, che dà luogo ad una transizione dall’idea di sé come persona, all’idea di sé come malato, con una traiettoria di vita incerta e con un corpo che può “tradire” (Costantini, Leverson, Bersani, 2014). Ansia, depressione o rabbia rappresentano delle risposte comuni degli individui all’esperienza che stanno vivendo, e sono assolutamente normali entro certi livelli, tuttavia quando l’intensità di tali emozioni è eccessiva, le reazioni sono relativamente indipendenti dallo stimolo stesso, e devono essere trattate per evitare di minare ulteriormente la capacità del soggetto di funzionare a livello psicologico, sociale e relazionale.

Il permanere di queste emozioni disfunzionali ad alti livelli di intensità, infatti, non fa altro che ridurre la capacità di affrontare i temi principali connessi alla malattia oncologica, tra cui spiccano l’incertezza dovuta al non sapere quale sarà il proprio destino, che già di per sé rappresenta una delle principali fonti di ansia; la capacità di mantenere un buon livello di autostima e il confronto con la dipendenza dagli altri creata da effetti collaterali e difficoltà fisiche.

È bene evidenziare come tutti gli aspetti sopracitati, connessi alla scoperta e al processo di elaborazione della malattia oncologica, nonché alla modalità con cui vengono affrontati i problemi insorti, debbano essere considerati anche alla luce delle caratteristiche di personalità del paziente, aspetto che influenza fortemente la gestione dell’evento in termini personali, e dei rapporti con i familiari e con gli specialisti. Ad esempio, pazienti con tratti di personalità iper-vigilanti, controllanti e ossessivi, potrebbero non accettare di non avere più la gestione completa di sé e del proprio corpo, oppure soffrire particolarmente la mancanza di risposte precise a tutte le loro domande; i pazienti con tratti dipendenti, invece, potrebbero necessitare di costante supporto, ancor più che in situazioni di normalità, finendo per “aggrapparsi” ai familiari o al personale medico ed infermieristico e provocando una loro reazione negativa o rabbiosa, che li farebbe sprofondare in un senso di solitudine e incapacità estremo (Biondi, Costantini, Wise, 2014).

 

Effetti della malattia oncologica sul caregiver

I familiari che ricoprono funzione di caregiver, ossia coloro che si prendono cura e si occupano più attivamente del malato, rivestono un ruolo cruciale in quanto rispondono ai bisogni del paziente sia sul fronte delle cure di base, che su quello emotivo. Questo implica, per loro, l’esposizione ad una serie di fattori stressanti che determinano l’insorgenza di disturbi di tipo fisico e/o psicologico, soprattutto in quelli che sono meno pronti all’utilizzo di efficaci strategie di coping o che faticano ad affrontare il tema della malattia.

Troppo spesso, però, il ruolo dei caregiver e le loro funzioni sono sottovalutate, trascurando i sintomi di stampo ansioso o depressivo di cui possono soffrire a seguito di questa assunzione di responsabilità, sintomi che possono permanere anche per mesi dopo la fine del compito di assistenza.
Questo rende necessario allargare il concetto di burden o carico di malattia, inteso come l’insieme del contributo dei fattori di rischio per lo stato di salute (World Health Organization, 2000), dal singolo paziente alla figura del caregiver, considerando l’insieme delle incombenze da lui percepite, sia in termini di tempo, che di sforzo fisico e mentale necessario per occuparsi di un’altra persona.

Più specificatamente, per identificare al meglio il livello di burden esperito dal caregiver, se ne possono considerare i diversi aspetti che lo determinano (Zavagli et al., 2012):
– aspetti oggettivi, relativi alla restrizione di tempo per sé;
– aspetti evolutivi, ossia connessi alla sensazione del caregiver di essere escluso dalle opportunità che la maggior parte dei propri coetanei o conoscenti hanno;
– aspetti sociali, relativi al cambiamento di ruolo in ambito intra ed extra familiare ;
– aspetti emotivi, associati ai sentimenti di vergogna e rabbia nei confronti del malato, nonché al conseguente senso di colpa in relazione a queste stesse emozioni esperite.
Proprio questi ultimi elementi, di natura emotiva, sono stati messi in luce solo negli ultimi anni, a fronte della crescente consapevolezza degli effetti che la condizione di vita del caregiver determina sui vissuti di ansia e/o depressione che dipendono prettamente dalla responsabilità data dalla necessità di assistenza e dall’incertezza sul futuro del proprio caro, e che conducono, in coloro che dispongono di strategie di coping meno efficaci, ad alti livelli di rimuginio.

 

Valutazione di bisogni e livello di burden del caregiver

Per far fronte alla possibilità di fornire al caregiver un supporto psicologico più strutturato e finalizzato, è bene effettuare un’ adeguata valutazione delle sue condizioni e dei bisogni di cui è portatore. Ciò è reso possibile sia dall’utilizzo di strumenti di valutazione unidimensionali, finalizzati ad indagare costrutti specifici quali ansia o depressione e i livelli ad essi associati, sia strumenti multidimensionali, che analizzano le reazioni psico-fisiche del familiare a diversi livelli e con maggiore complessità.

Strumenti unidimensionali utilizzabili:
1) STAI-Y State Trait Anxiety Inventory, consente di valutare il livello di intensità di ansia di stato e di tratto;
2) PSWQ Penn State Worry Questionnaire, indaga la tendenza a rimuginare, e può essere utilizzato con il caregiver per verificare se questo fenomeno sia presente e quanto influenzi le sue capacità di coping;
3) BDI-II Beck Depression Inventory, finalizzato a misurare l’intensità della depressione.

Strumenti multidimensionali utilizzabili:
1) CRA Caregiver Reaction Assessment, favorisce la misurazione delle reazioni positive e negative dei caregiver all’assunzione di questo ruolo, attraverso un questionario che valuta entrambe queste dimensioni (impatto positivo sull’autostima personale, ma anche aumento di impegni, difficoltà economiche, mancanza di supporto familiare). Nel complesso, valuta le esperienze dei caregiver in cinque dimensioni: attività quotidiane, situazione finanziaria, rapporti di parentela, percezione della salute, autostima personale;
2) CNA Caregiver Need Assessment, questionario costruito per indagare i bisogni relativi all’assistenza percepiti dai caregiver nel momento di assunzione del ruolo, attraverso l’analisi di bisogni emozionali, fisico-funzionali, cognitivo/comportamentali, relazionali, sociali/organizzativi e spirituali;
3) CBI Caregiver Burden Inventory, strumento di valutazione del carico assistenziale che prende in considerazione i vari aspetti del burden (oggettivo, evolutivo, fisico, sociale ed emotivo).

 

Trattamento psicologico per la “famiglia oncologica”

Coloro che si occupano dei servizi sanitari dovrebbero essere consapevoli della complessa interazione tra malattia biologica e stato psicologico del malato, nonché degli effetti che la patologia crea a livello psicologico e relazionale. La conoscenza approfondita di questi fenomeni consentirebbe di programmare interventi di sostegno idonei, finalizzati a migliorare la collaborazione tra i membri della famiglia stessa nonché tra la famiglia e i curanti, e a favorire una migliore elaborazione degli eventi o delle fasi più critiche che questi si trovano ad affrontare.

Infatti, è bene considerare come, nello sviluppo della malattia, i comportamenti individuali e gli stili relazionali di ciascuno si influenzino in modo reciproco secondo una serie di feedback, i quali fanno sì che valori, credenze, comportamenti e stili di pensiero dei membri della famiglia si connettano tra loro secondo una logica complessa di interazioni reciproche, determinando la costruzione di schemi di risposta adattiva, comportamentale ed emotiva modulati dalla storia di ciascuno (Rolland, 2005).

Per meglio comprendere come procedere nel lavoro con i malati oncologici e i loro parenti, è necessario prima di tutto cogliere una serie di aspetti fondamentali: chi prendere in carico, considerando di quale paziente o famiglia si tratti; in quale fase di malattia ci si trova; chi ha diagnosticato lo stato di disagio e perché ci ha inviato i pazienti (Cianfarini, 2010).

Il primo aspetto ci consente di coinvolgere nel lavoro di supporto e/o terapeutico tutti coloro che sono attivamente coinvolti in quel terremoto emotivo costituito dalla malattia oncologica, che modifica progetti e aspettative future di ciascuno.

Successivamente, sarebbe bene chiedersi in quale fase della sua evoluzione si trovi la famiglia e se vi sia la presenza di disturbi pregressi a livello individuale o comunicativo-relazionale nel gruppo, perché ciò condizionerebbe la decisione di chi prendere in carico e di come procedere nel lavoro.
In ultima istanza, sarebbe bene cogliere in che fase della malattia ci si trovi per identificare quali possano essere le priorità che richiedono un intervento immediato: se i pazienti sono in fase di diagnosi, momento in cui maggiormente si attivano le reazioni emotive più forti, con sensazioni di smarrimento, perdita di controllo, impotenza, paura e dolore, l’intervento psicologico contribuirà ad aiutare ad abbassare il livello di arousal emozionale, che essendo molto alto per tutti, può alterare la capacità di recepire e valutare l’emozione in modo adeguato. Qualora, invece, ci si trovasse già in fase di gestione della malattia, l’intervento potrebbe essere più approfondito e focalizzato sull’accettazione ed elaborazione dell’esperienza.

Gli interventi a finalità supportiva o terapeutica da proporre successivamente possono diversificarsi a seconda del setting e dell’orientamento seguito, e sono da selezionare sulla base delle caratteristiche di personalità e delle esigenze del singolo e del nucleo d’appartenenza:
– terapia di gruppo per il paziente o gruppi di auto mutuo aiuto per i caregiver: ha l’obiettivo di facilitare la capacità di affrontare il dolore e incoraggiare la rivisitazione delle priorità per il futuro attraverso la condivisione di esperienze e vissuti in un ambiente supportivo e non giudicante.

Attraverso il lavoro in gruppo si intende favorire anche il miglioramento della relazione di cura con il personale medico e prevenire l’evoluzione in senso depressivo delle emozioni negative iniziali.
– terapia familiare: ha come obiettivo l’ottimizzazione del funzionamento relazionale della famiglia attraverso la promozione di una comunicazione efficace, di una maggiore coesione e di una soluzione adattiva dei conflitti. La capacità della famiglia di fare fronte ad alcune difficoltà specifiche di ciascuna fase è influenzata da aspetti del suo funzionamento: apertura della comunicazione, flessibilità della struttura familiare, adattabilità e capacità di riorganizzazione dei significati personali connessi alla malattia oncologica, risposta a temi esistenziali e di mortalità. (Biondi et al., 2014)
terapia cognitiva-comportamentale: la CBT può essere utilizzata efficacemente per trattare disturbi depressivi e/o ansiosi nei pazienti affetti da un tumore o nei loro parenti più prossimi. L’efficacia della CBT è data dal fatto che dà la possibilità di lavorare per passi risolvendo di volta in volta i problemi di natura emotiva che possono insorgere, focalizzandosi sul problem solving e sull’azione mirata sui pensieri negativi e disfunzionali, riducendo ruminazione o rimuginio.
– tecniche di rilassamento e mindfulness: sono utili soprattutto per la gestione di tutte quelle fasi di attesa che difficilmente possono essere modificate, come quella degli esiti di un esame o dei risultati di un intervento o trattamento, eventi che aumentano esponenzialmente i livelli di ansia e distress psicologico. Le tecniche di rilassamento, da praticare inizialmente con una guida esperta, e successivamente anche in autonomia, consentono di ridurre i sintomi fisiologici connessi all’ansia e l’oppressione emozionale, aumentando la qualità della vita dei pazienti. La mindfulness, invece, permette di concentrarsi sul momento presente e di liberarsi da pensieri negativi e ansietà circa il futuro.

A prescindere dal tipo di orientamento del lavoro svolto, risulta evidente la presenza di obiettivi comuni, tra cui il bisogno di empowerment e sostegno alla famiglia e al paziente, le cui potenzialità positive sono limitate da dinamiche personali ed interpersonali spesso disfunzionali. L’attività di supporto psicologico, di gruppo o individuale che sia, offre infatti uno spazio protetto in cui riconoscere le difficoltà esistenti ed affrontarle nel migliore dei modi. Per farlo, ci si concentrerà sullo sviluppo di maggiori abilità comunicative e di scambio, sulla facilitazione dell’espressività emotiva e sulla condivisione delle emozioni determinate dall’esperienza vissuta, nonché, nei casi più complessi, di ristrutturazione cognitiva dell’esperienza di malattia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Biondi M., Costantini A., Wise T.N., “Psiconcologia”, Raffaello Cortina Editore, 2014
  • Cianfarini M., “La malattia oncologica nella famiglia”, Carocci Editore, 2010
  • Gritti P., Di Caprio E., Resicato G., “L’approccio alla famiglia in psiconcologia”, in Clinica Psicologica (2011), 2, 115-135.
  • Lucchiari C., Botturi A., Pravettoni G., “Caratteristiche psicometriche della versione italiana della Caregiver Reaction Assessment Scale”, Giornale di Psicologia (2010), 4, 39-48.
  • Moroni L., Sguazzin C., Filipponi L., Bruletti G., Callegari S., Galante E., Giorgi I., Majani G., Bertolotti G., “Caregiver Need Assessment: uno strumento di analisi dei bisogni del caregiver.”, Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia (2008), 30, 84-90.
  • Rolland J.S., “Cancer and the Family: An Integrative Model”, Cancer (2005),104, 2584–95.
  • Torelli S.; “Cancro e fragilità familiare. Un’indagine sull’identificazione delle fragilità familiari di fronte all’insorgenza del cancro.”; Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti.
  • Valera L., Mauri C., “Il contesto familiare del malato terminale è una risorsa da conoscere e supportare: alcune riflessioni”, Giornale italiano di medicina del lavoro ed ergonomia (2008), 30, 37-39.
  • Zavagli V., Varani S., Samolsky-Dekel A.R., Brighetti G., Pannuti F., “Valutazione dello stato di salute psicofisico dei caregiver di pazienti oncologici in assistenza domiciliare”, Rivista italiana di Cure Palliative (2012), 14, 20-27.  DOWNLOAD
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