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Adhd negli adulti: aspetti clinici e terapeutici

L' ADHD negli adulti è caratterizzato da disattenzione, impulsività, iperattività e disregolazione emotiva e si associa spesso ad altri disturbi.

Di Elisa Zugno

Pubblicato il 14 Dic. 2016

Aggiornato il 18 Lug. 2019 12:50

ADHD negli adulti: L’ ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) è un disturbo dell’età evolutiva che esordisce nell’infanzia e spesso persiste nell’età adulta. Negli adulti, il tasso di prevalenza mondiale è tra l’1 e il 7% (de Zwaan et al., 2012). Spesso queste persone soffrono anche di altri disturbi in comorbilità come i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, l’abuso di sostanze e i disturbi di personalità (Miller et al., 2007; Sobanski et al., 2007).

Elisa Zugno, Open School STUDI COGNITIVI MILANO

ADHD

L’ADHD si caratterizza per tre sintomi principali, ovvero disattenzione, iperattività e impulsività, ai quali si associano sintomi di disregolazione emotiva (Corbisiero et al., 2013). Questi sintomi, unitamente ai deficit nelle cosiddette soft skills (per esempio nelle abilità di comunicazione), determinano una grave compromissione del funzionamento nella vita di tutti i giorni. Le persone con ADHD riferiscono problemi a lungo termine a scuola, al lavoro, nella vita familiare e sociale, nelle attività ricreative e con l’organizzazione in generale (Mörstedt et al., 2015; Biederman et al., 2006). Il disturbo, quindi, ha delle conseguenze per lo sviluppo sociale del paziente e anche il funzionamento familiare è più basso nelle famiglie con membri che soffrono di ADHD (Harpin, 2005).

 

La diagnosi dell’ ADHD negli adulti

Il processo diagnostico in età adulta pone alcune difficoltà: i sintomi dell’ ADHD sono più eterogenei rispetto all’età evolutiva e possono sovrapporsi con gli eventuali disturbi in comorbilità (Barkley & Brown, 2008; Stieglitz & Rösler, 2006; Wasserstein, 2005). Inoltre, solo negli ultimi anni sono stati sviluppati specifici strumenti diagnostici e linee guida per gli adulti (Wolraich et al., 2011; Kendall et al., 2008). In aggiunta, c’è evidenza che le persone con ADHD abbiano scarse abilità nelle aree dell’autoriflessività e dell’autovalutazione e questo pone dei dubbi sull’attendibilità delle informazioni che riferiscono rispetto alle proprie difficoltà.

Sta crescendo sempre di più un dibattito sul fatto che la tripartizione della sintomatologia in disattenzione/iperattività/impulsività sia adeguata anche per l’ ADHD negli adulti (Gibbins & Weiss, 2007). Infatti, diversi studi hanno mostrato che queste tre dimensioni non sono stabili nel tempo (Faraone et al., 2006). Un altro argomento del dibattito è l’interrogativo su fino a che punto queste problematiche possano essere intese come conseguenze di disfunzioni nell’area dell’affettività (Surman et al., 2013). Queste riflessioni hanno portato gli studiosi a prendere in considerazione il fenomeno della disregolazione emotiva.

 

La disregolazione emotiva

La “regolazione emotiva” può essere definita come la capacità individuale di modificare uno stato emotivo al fine di promuovere comportamenti adattivi e orientati verso i propri scopi (Shaw et al., 2014). Questa capacità comprende i processi che consentono flessibilmente all’individuo di selezionare, partecipare e valutare gli stimoli emotigeni. La disregolazione emotiva insorge quando questi processi adattivi sono compromessi, conducendo a comportamenti che sono in contrasto con gli interessi dell’individuo (es. espressioni emotive ed esperienze che sono eccessive rispetto alle norme sociali e inappropriate rispetto al contesto oppure cambiamenti repentini e poco controllati dello stato emotivo in termini di labilità); l’espressione clinica è in termini di irritabilità, che spesso si associa ad aggressività reattiva e scoppi di collera (Leibenluft, 2011).

La disregolazione emotiva non è inclusa tra i sintomi principali dell’ADHD, in quanto non è ancora considerata come parte della sintomatologia nucleare del disturbo. Nel DSM-5 è stata creata la categoria “disregolazione dell’umore con disforia” all’interno del capitolo dei disturbi dirompenti.

Wender (1995) definisce la disregolazione emotiva attraverso tre dimensioni, ovvero il controllo della rabbia, la labilità affettiva e l’iper-reattività emotiva (equivalente all’intolleranza per lo stress). Nello specifico, il controllo dell’umore si riferisce a sentimenti di irritabilità e frequenti scoppi di rabbia di breve durata. La labilità affettiva si associa a brevi e imprevedibili passaggi da un umore normale a uno stato depressivo o a una moderata eccitazione. Infine, l’iper-reattività emotiva consiste in una diminuzione della capacità di affrontare i fattori di stress della vita quotidiana, che porta a una costante sensazione di essere vessati e sopraffatti.

I soggetti adulti con ADHD riportano spesso sbalzi d’umore, che cambia in modo significativamente più veloce rispetto a quello che accade nei disturbi dell’umore; quindi, possono esserci forti oscillazioni dell’umore anche nel corso della stessa giornata. Questi pazienti hanno molti problemi ad affrontare le situazioni stressanti e sono frequentemente e rapidamente irritati da piccole cose della vita quotidiana. Questo è coerente con i riscontri teorici sul disturbo: si potrebbe dimostrare che i classici sintomi dell’ADHD si associano non solo con deficit cognitivi e alterazioni del substrato neuroanatomico, ma anche con la variabilità nel tono dell’umore (Skirrow et al., 2009). La disregolazione emotiva nell’ADHD, quindi, dipende da deficit a livelli multipli. Le difficoltà variano da un anormale orientamento precoce verso gli stimoli emotivi, soprattutto quelli negativi, a deficit nei processi cognitivi quali la memoria di lavoro e la capacità di inibizione della risposta. L’eziologia della disregolazione può anche dipendere dal fallimento nella regolazione emotiva da parte dei genitori, che si riflette in un’elevata ostilità espressa che contribuisce allo sviluppo di disregolazione emotiva nel bambino (Surman et al., 2011; Biederman et al., 2012).

 

Il profilo neuropsicologico

I deficit neuropsicologici associati all’ ADHD negli adulti sono sostanzialmente gli stessi che si rilevano nell’età evolutiva. Questi deficit riguardano l’attenzione, l’inibizione del comportamento e la memoria (Hervey et al., 2004). I test più utilizzati per l’assessment neuropsicologico sono quelli che valutano le funzioni esecutive, come il Continuous Performance Test (CPT), il test di Stroop, il Trail Making Test, le fluenze verbali soprattutto fonemiche, il Wisconsin Card Sorting Test; inoltre, viene utilizzata anche la WAIS-R per un inquadramento del funzionamento cognitivo globale. Tuttavia, l’assessment neuropsicologico presenta due limitazioni: 1) non esistono ancora test cognitivi specifici per l’ADHD; 2) la performance ai test potrebbe essere condizionata non solo dall’ADHD ma anche da eventuali disturbi psichiatrici in comorbilità (es. disturbi dell’umore).

 

Il trattamento dell’ ADHD negli adulti

Sebbene il 25-50% degli adulti trattati con i farmaci mostri dei miglioramenti nei sintomi nucleari della patologia, tuttavia presentano delle difficoltà residuali in diversi ambiti di funzionamento, cioè scolastico, lavorativo, alcune abilità come guidare, relazioni sociali (Safren, 2006; vedi Figura 1). Infatti, il miglioramento nei sintomi nucleari non necessariamente corrisponde con un miglioramento del funzionamento globale della persona.

Le molteplici esperienze di fallimento e l’insuccesso cronico contribuiscono allo sviluppo di credenze negative maladattive che abbassano la motivazione e aumentano i comportamenti di evitamento e i disturbi dell’umore; queste problematiche, però, non possono essere gestite solo attraverso la terapia farmacologica (Knouse & Safren, 2010). Inoltre, l’ ADHD negli adulti ha un alto grado di comorbilità con altri disturbi psichiatrici quali l’ansia, i disturbi dell’umore, il controllo degli impulsi e l’abuso di sostanze.

 

Terapia Cognitivo-Comportamentale

La psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) è stata presa in considerazione di recente come trattamento aggiuntivo per l’ ADHD negli adulti ed è stato dimostrato che sia più efficace se inserita all’interno di un pacchetto di trattamento multimodale che includa interventi comportamentali finalizzati all’apprendimento e alla pratica di abilità compensatorie, unitamente a interventi cognitivi per trattare le distorsioni del pensiero e le conseguenti emozioni negative che contribuiscono all’evitamento e alla procrastinazione (Knouse & Safren, 2010); oltre a questi interventi, bisogna sempre valutare l’associazione di una terapia farmacologica. Infatti, mentre la CBT ha un impatto limitato sui sintomi nucleari dell’ ADHD, c’è un’evidenza preliminare che invece possa essere efficace sulla disregolazione emotiva (Mongia & Hechtman, 2012). Questo approccio può funzionare per gli adulti in quanto la maggior parte non è in grado di affrontare efficacemente le proprie difficoltà e di conseguenza non riescono a soddisfare le esigenze della vita. La frustrazione che ne deriva favorisce l’insorgenza di ansia e depressione, nonché una bassa autostima e autoefficacia (Newark & Stieglitz, 2010; Weiss et al., 2012).

Nello specifico, i target della terapia sono:
– comprensione e modificazione delle distorsioni cognitive;
– modificazione del comportamento;
– gestione dei problemi dell’umore, dell’ansia e della bassa autostima.

Le strategie terapeutiche utilizzate, invece, sono le seguenti:
– cognitive: ristrutturazione, problem solving, organizzazione, gestione del tempo, gestione della procrastinazione, psicoeducazione, gestione della rabbia, gestione delle relazioni, auto-istruzioni verbali e mindfulness;
– emotive: regolazione e gestione delle emozioni, controllo degli impulsi/autocontrollo/autoregolazione, auto-motivazione, aumento dell’autostima.

Il primo studio che ha valutato l’approccio CBT per il trattamento di persone adulte con ADHD è stato effettuato da McDermott (2000). L’intervento, della durata media di 36 sedute, consisteva nell’insegnare ai pazienti a fermarsi, rivalutare e modificare i pensieri che contribuivano a intensificare le emozioni e i comportamenti disfunzionali. I pazienti imparavano a indentificare gli errori cognitivi e a monitorare e rivalutare sistematicamente i loro pensieri. La terapia, inoltre, includeva la psicoeducazione e strategie di modificazione ambientale (es. organizzazione, programmazione delle attività, problem solving).

Rostain e Ramsay (2006) hanno sviluppato un programma di 16 sedute individuali che prevedevano la psicoeducazione sull’ ADHD, la concettualizzazione delle difficoltà del paziente in un’ottica CBT, un training sulle strategie di coping e il potenziamento dei punti di forza.

 

Dialectical Behavioral Therapy

Il modello della Linehan è stato adattato per poterlo utilizzare per il trattmento dell’ ADHD negli adulti. Hesslinger et al. (2002) hanno deciso di utilizzare questo modello basandosi sulla premessa che l’ADHD e il disturbo borderline di personalità abbiano delle caratteristiche in comune quali le difficoltà nella regolazione affettiva, il controllo degli impulsi, l’autostima e le relazioni interpersonali. L’intervento consisteva in 13 sedute che prevedevano: psicoeducazione sull’ADHD; neurobiologia e training mindlfuness; discussione dei comportamenti disorganizzati seguita da consigli concreti su come pianificare e organizzare la propria vita, analisi del comportamento; regolazione emotiva; psicoeducazione sulla depressione, sul controllo degli impulsi, sullo stress, sulla dipendenza da sostanze; discussione sulle relazioni e il rispetto per se stessi.

 

Terapia Metacognitiva

Solanto et al. (2008) hanno sviluppato un trattamento di gruppo (5-8 persone) mirato per i problemi di gestione del tempo, organizzazione e pianificazione. Hanno definito la terapia metacognitiva come un intervento destinato a “incrementare lo sviluppo di un insieme globale di abilità esecutive di auto-gestione”, enfatizzando la pratica ripetuta delle abilità apprese al fine di renderle più abituali e automatiche. I moduli di trattamento, svolti in 8/12 sedute della durata di due ore, prevedevano la gestione del tempo, l’attivazione comportamentale, la procrastinazione, l’organizzazione e la pianificazione. Ogni incontro iniziava con una discussione dell’applicazione delle abilità a casa durante la settimana, poi i membri del gruppo fornivano i loro feedback e infine venivano insegnate nuove abilità e assegnati gli homework.

 

Meditazione Mindfulness

Zylowska et al. (2008) hanno ipotizzato che il controllo dell’attenzione coltivato nel corso degli esercizi di mindfulness possa migliorare l’attenzione sostenuta e la regolazione delle emozioni e dunque possa essere utile nel trattamento dell’  ADHD negli adulti. Infatti, la meditazione mindfulness è una pratica che implica una certa quota di autoregolazione. Nello specifico dell’ADHD, questo tipo di intervento può avere un impatto sui sintomi comportamentali della disattenzione e dell’impulsività, sui deficit neurocognitivi relativi all’attenzione e alla capacità di inibizione, nonché sugli impairment secondari come lo stress, l’ansia e la depressione. Per quanto riguarda la regolazione delle emozioni, durante il training mindfulness i pazienti imparano a ridurre l’arousal attraverso la respirazione e gli esercizi di rilassamento e ad adottare un atteggiamento aperto e accettante verso le loro esperienze emotive. Sulla base di questo razionale hanno strutturato un intervento di 8 sedute.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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