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Gli effetti del volo spaziale sulla connettività neuronale e sul comportamento

Uno studio ha dimostrato come il volo spaziale possa produrre negli astronauti degli effetti sulla connettività del cervello.  

Di Claudio Nuzzo

Pubblicato il 02 Nov. 2016

Secondo i risultati di una recente ricerca pubblicata su NeuroImage, trascorrere un lungo periodo nello spazio produrrebbe cambiamenti significativi nella connettività funzionale delle aree motorie, somatosensoriali e vestibolari del cervello degli astronauti.

 

Gli effetti del volo spaziale sul cervello degli astronauti

Questi networks sono coinvolti nell’orientamento e nella cognizione spaziale, nel controllo sensomotorio e somatosensoriale, nella pianificazione, coordinazione ed esecuzione di movimenti volontari. Tali cambiamenti, sarebbero associati a performance alterate nella memoria di lavoro e nel funzionamento cognitivo e sensomotorio. Tali risultati suggerirebbero che i meccanismi di neuroplasticità potrebbero facilitare l’adattamento all’ambiente in microgravità.

Nel dettaglio, i cambiamenti sensomotori dovuti alla permanenza nello spazio (i.e., difficoltà nella locomozione e nella stabilità posturale al rientro sulla terra) sembrerebbero dovuti ad una reinterpretazione da parte del cervello dei segnali vestibolari. Tuttavia, sebbene gli effetti della microgravità siano ben documentati, i meccanismi neurali che li sottendono sono relativamente sconosciuti.

 

Lo studio

In questo esperimento, quindi, per simulare la microgravità gli sperimentatori per 70 giorni hanno mantenuto i partecipanti dello studio (n = 17, gruppo di controllo n = 14) a letto in posizione di riposo, inclinati, con i piedi leggermente più in alto rispetto alla testa – posizione definita head-down tilt (HDT), che crea un angolo di circa 6° rispetto all’asse testa-piedi – producendo così una riduzione degli input sensoriali ai piedi, al corpo (direzione assiale) e una maggiore irrorazione sanguigna a livello cerebrale, effetti pressoché identici a quelli prodotti dalla microgravità sugli astronauti. La tecnica di neuroimaging impiegata è stata la risonanza magnetica funzionale in stato di riposo (RS-fMRI). Invece, i dati relativi al comportamento dei partecipanti sono stati rilevati in 7 diversi momenti: 12 e 8 giorni prima dell’esperimento, al giorno 7°, 50°, 70° e 8 e 12 giorni dopo il termine dell’esperimento.

 

I risultati

I dati ottenuti tramite la RS-fMRI mostravano un incremento nella connettività della corteccia motoria e somatosensoriale durante la registrazione in posizione inclinata (HDT) e riduzioni nella connettività delle stesse aree nel periodo immediatamente successivo. Al contrario, nelle aree temporoparietali si registrava una riduzione della connettività. I partecipanti che evidenziavano i maggiori incrementi nella connettività erano gli stessi che soffrivano maggiormente degli effetti negativi dell’esperimento – e quindi della microgravità – sull’equilibrio e la postura.

Secondo gli sperimentatori la maggiore connettività tra le cortecce motorie e somatosensoriali potrebbe riflettere una risposta adattiva del cervello alle modificazioni dell’ambiente; infatti, solitamente alla ripetizione di atti motori complessi segue una riorganizzazione funzionale della corteccia ad essi associata.

I precedenti studi riguardo la relazione tra HDT e connettività cerebrale, si sono limitati a considerare solo due momenti di rilevazione, il pre-HDT e il post-HDT, tralasciando la dinamica temporale dei cambiamenti nella connettività cerebrale. Anche per questo motivo i risultati del presente studio si caratterizzano come pionieristici nel sottolineare i meccanismi neurali coinvolti nei cambiamenti delle performance sensomotorie degli astronauti.

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