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Psicologia del pianto: il valore delle lacrime, quanto spendiamo per versarle e quanto ci guadagniamo?

La psicologia del pianto è ancora agli esordi ma già si nota come il valore delle lacrime sia più importante di quanto gli scienziati credessero una volta

Di Nausicaa Berselli

Pubblicato il 08 Nov. 2016

Aggiornato il 28 Giu. 2019 12:52

Charles Darwin una volta dichiarò che le lacrime emotive sono “senza scopo” e circa 150 anni più tardi, la psicologia del pianto rimane uno dei misteri del corpo umano più contraddittori.

Nausicaa Berselli – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi Modena

 

Mihael Trimble, neurologo comportamentale e professore emerito allo University College di Londra, uno dei massimi esperti al mondo di psicologia del pianto, si stava preparando a rilasciare un’intervista in un programma radiofonico della BBC quando l’intervistatrice gli fece una strana domanda: “Come mai alcune persone non piangono per nulla?” Ella spiegò che un suo collega sosteneva di non aver mai pianto; aveva persino invitato il collega a vedere “I Miserabili”, certa che avrebbe versato una o due lacrime, ma i suoi occhi rimasero asciutti. Trimble rimase senza parole. Lui ed una manciata di altri scienziati che studiano il pianto umano tendono a focalizzare le loro ricerche sugli occhi bagnati, non su quelli asciutti; così, prima che iniziasse la messa in onda, decise di istituire un indirizzo email, [email protected], e una volta in onda chiese agli ascoltatori che non piangono mai di contattarlo. In poche ore, Trimble aveva ricevuto centinaia di messaggi (Oaklander, 2016).

 

Psicologia del pianto: il valore adattivo del pianto emozionale

Abbiamo pochissime informazioni a proposito delle persone che non piangono. Infatti ci sono anche molti scienziati che non sanno, o non sono d’accordo, riguardo al fatto che esistano persone che non piangono.

Charles Darwin una volta dichiarò che le lacrime emotive sono “senza scopo” e circa 150 anni più tardi, il pianto emozionale rimane uno dei misteri del corpo umano più contraddittori. Si ritiene che alcune altre specie versino lacrime riflessivamente, come risultato di dolore o irritazione, ma gli umani sono le sole creature le cui lacrime possono essere provocate dai propri sentimenti.

Nei bambini, le lacrime hanno l’ovvio ruolo cruciale di sollecitare l’attenzione e la cura da parte delle figure d’accudimento (Trimble, 2012). Ma che dire degli adulti? La risposta a questo quesito è meno chiara. Hanno tentato di rispondere in uno studio i due scienziati esperti in psicologia del pianto Rotteberg e Vingerhoets (2012), costruendo una narrazione sulle motivazioni del pianto attraverso le varie età e sulle modalità con cui questo viene ad essere sempre più regolato; questo ha permesso di riunire varie ricerche ma anche di individuare le lacune, come il pianto in età adolescenziale o senile, che è stato fortemente trascurato.

E’ ovvio che le forti emozioni causino le lacrime, ma perché? C’è una sorprendente penuria di fatti certi a proposito di un’esperienza umana così fondamentale. Il dubbio scientifico che il pianto abbia qualche reale beneficio oltre a quello fisiologico di lubrificazione degli occhi è persistito per secoli. Oltre a ciò, i ricercatori hanno generalmente focalizzato la loro attenzione più sulle emozioni che sui processi fisiologici che sembrerebbero i loro sottoprodotti: “Gli scienziati non sono interessati alle farfalle nei nostri stomaci, ma all’amore” scrive Ad Vingerhoets (2013), un professore dell’Università di Tiburg nei Paesi Bassi, maggiore esperto al mondo in psicologia del pianto.

Ma il pianto è più di un sintomo di tristezza, come Vingerhoets ed altri stanno mostrando. Esso è stimolato da una gamma di sentimenti, che vanno dall’empatia e dalla sorpresa alla rabbia e all’afflizione e, diversamente da quelle farfalle che svolazzano invisibilmente quando siamo innamorati, le lacrime sono un segnale che gli altri possono vedere. Questa intuizione è centrale nel nuovo pensiero riguardante la psicologia del pianto.

Darwin non era l’unico con opinioni ferme riguardanti il perché gli uomini piangano. Secondo alcuni studi, le persone hanno fatto congetture sull’origine delle lacrime e sul perché gli uomini le versino sin dal 1500 a.C. circa. Per secoli le persone hanno pensato che le lacrime si originassero dal cuore; l’Antico Testamento descrive le lacrime come il risultato di quando il materiale del cuore si indebolisce e si trasforma in acqua. Più tardi, ai tempi di Ippocrate, si pensava che la mente scatenasse le lacrime. La teoria prevalente nel 1600 sosteneva che le emozioni, in particolar modo l’amore, riscaldassero il cuore, che generava vapore acqueo al fine di raffreddarsi. Il vapore del cuore sarebbe poi risalito alla testa, condensandosi vicino agli occhi ed uscendo sotto forma di lacrime (Vingerhoets, 2001).

Infine, nel 1662, uno scienziato Danese di nome Niels Stensen scoprì che la ghiandola lacrimale era il corretto punto di origine delle lacrime. Fu il momento in cui gli scienziati iniziarono a scartare l’ipotesi che le lacrime possedessero un possibile beneficio evolutivo. Secondo la teoria di Stensen le lacrime erano semplicemente un modo per tenere l’occhio umido (Vangerhoets, 2001).

 

Perché piangiamo? Diverse teorie a confronto

Pochi scienziati hanno devoluto i propri studi a cercare di scoprire perché gli uomini piangano, ma quelli che lo hanno fatto non sono concordi. Nel suo libro, Vingerhoets (2001) elenca otto teorie in competizione tra loro. Alcune sono assolutamente ridicole, come la visione degli anni ’60 secondo cui gli umani si sono evoluti da scimmie marine e le lacrime ci avrebbero quindi aiutato in passato a vivere nell’acqua salata. Altre teorie persistono nonostante la mancanza di prove, come l’idea divulgata dal biochimico William Frey nel 1985, secondo cui il pianto rimuove le sostanze tossiche che si sviluppano durante i periodi di stress dal sangue.

Sta crescendo l’evidenza a supporto di alcune nuove e più plausibili teorie. Una di queste sostiene che le lacrime inneschino il legame sociale e la connessione umana. Mentre la maggior parte degli animali nasce completamente formata, gli umani vengono al mondo vulnerabili e fisicamente non equipaggiati per affrontare qualcosa da soli. Anche se diveniamo fisicamente ed emotivamente più capaci durante la maturazione, gli adulti non invecchiano mai abbastanza per evitare l’incontro occasionale con l’impotenza. “Il pianto segnala a se stessi o ad altre persone che c’è qualche importante problema che è almeno temporaneamente oltre la propria abilità di affrontarlo” spiega Jonathan Rottenberg (2012), un ricercatore sulle emozioni e professore di psicologia all’Università della Florida del Sud.

I ricercatori nell’ambito della psicologia del pianto hanno anche trovato alcune evidenze del fatto che le lacrime derivate da emozioni sono chimicamente differenti da quelle che le persone versano quando ad esempio tagliano le cipolle (il che può aiutare a spiegare perché il pianto invii un segnale emotivo così forte agli altri). In aggiunta ad enzimi, lipidi, metaboliti ed elettroliti che formano le lacrime, quelle provocate dalle emozioni contengono più proteine (Stuchell, Feldman, Farris, Mandel, 1984). Un’ipotesi è che il contenuto maggiormente proteico renda tali lacrime più viscose, così che esse si appiccichino alla pelle in modo più tenace e scendano sulla faccia più lentamente, rendendole con più probabilità visibili agli altri.

Le lacrime mostrano anche agli altri che siamo vulnerabili, e la vulnerabilità è critica per la connessione umana. Le stesse aree neuronali che sono innescate dal vedere qualcuno emotivamente attivato sono le stesse che si innescano quando ci stiamo a nostra volta attivando emotivamente (Trimble, 2012). Ci deve essere stato qualche momento nella storia, evolutivamente, in cui le lacrime sono diventate qualcosa che automaticamente avviava l’empatia e la compassione negli altri. In effetti essere capaci di pianto emotivo ed essere capaci di rispondere ad esso, sono una parte molto importante dell’essere umano.

Una teoria meno commovente si focalizza sull’utilità del pianto nel manipolare gli altri. Noi impariamo presto che il pianto possiede questo reale potente effetto sulle altre persone. Esso può neutralizzare la rabbia in modo molto potente, e questa è in parte la ragione per cui si ritiene che le lacrime siano così essenziali nelle liti tra gli innamorati, in particolare quando qualcuno si sente in colpa e vuole il perdono da parte dell’altra persona. (Vangerhoets, Bylsma, Rottenberg, 2009).

Un piccolo studio sulla rivista “Science” (Gelstein, Yaara, Liron, Sagit, Idan, Yehudah, Sobel, 2011) suggeriva che le lacrime delle donne contenessero una sostanza che inibiva l’eccitazione sessuale degli uomini.  “Non voglio fingere di essere sorpreso che esso abbia generato titoli scorretti” – riferisce Noam Sobel, uno degli autori dello studio e professore di neurobiologia all’Istituto di Scienze Weizmann in Israele – “Le lacrime potrebbero ridurre l’eccitazione sessuale ma il fatto più importante – lui pensa –è che esse potrebbero ridurre l’aggressività”. Cosa, quest’ultima, che lo studio non ha indagato. Le lacrime degli uomini potrebbero avere lo stesso effetto. Lui ed il suo gruppo stanno attualmente studiando le più di 160 molecole presenti nelle lacrime per vedere se ce n’è una responsabile.

 

Perché alcune persone non piangono?

Cosa tutto ciò significhi per le persone che non piangono è una domanda a cui i ricercatori si stanno ora rivolgendo. Se le lacrime sono così importanti per il legame umano, forse le persone che non piangono mai sono meno socialmente connesse? Questo è quello che la ricerca preliminare sta scoprendo, in accordo con lo psicologo clinico Cord Benecke (2009), un professore dell’Università di Kassel in Germania. Egli ha condotto interviste a 120 individui e si è concentrato nel cercare di scoprire se le persone che non piangono fossero differenti da quelle che lo fanno. Ha così scoperto che le persone che non piangono avevano la tendenza ad isolarsi e descrivevano le loro relazioni come meno connesse. Essi esperivano anche più sentimenti aggressivi negativi, come collera, rabbia e disgusto, rispetto alle persone che piangevano.

Ulteriori ricerche sono necessarie per determinare se le persone che non piangono siano realmente differenti dalle altre, ed alcune si svolgeranno a breve: le persone che hanno ascoltato Trimble alla radio inviandogli un’email quella mattina del 2103 sono ora i soggetti del primo studio scientifico sulle persone con tale tendenza.

Virtualmente non esiste evidenza del fatto che il pianto presupponga qualche effetto positivo sulla salute. Un’analisi ha esaminato gli articoli riguardanti il pianto nei mezzi di comunicazione e ha trovato che il 94% lo descriveva come positivo per la mente ed il corpo e sosteneva che trattenere le lacrime avrebbe avuto l’effetto opposto. “E’ una sorta di favola” dice Rottenberg. “Non c’è realmente nessuna ricerca che supporti ciò” (Oaklander, 2016).

E’ esagerata anche l’idea che il pianto sia sempre seguito da sollievo. “C’è l’aspettativa che ci sentiamo meglio dopo aver pianto“, sostiene Randy Cornelius (2001), professore di psicologia del Vassar College. “Ma il lavoro che è stato fatto riguardo l’argomento indica che, semmai, noi non ci sentiamo bene dopo aver pianto“. Quando i ricercatori mostrano alle persone un filmato triste in un laboratorio e poi misurano il loro umore immediatamente dopo, coloro che piangono possiedono un umore peggiore rispetto a quelli che non lo fanno.

Ma un’altra evidenza riporta la nozione del cosiddetto “pianto catartico” (Bylsma, Vingerhoets, Rottenberg, 2008). Uno dei fattori più importanti che sembra dare effetti positivi al pianto, in particolare un senso di liberazione, è la presenza di un lasso di tempo sufficiente per assimilare l’evento. Quando Vingerhoets e i suoi colleghi (Gracarin, A., Vingerhoets, Kardum, Zupcic, Santek, Simic, 2015) hanno mostrato alle persone un racconto strappalacrime e hanno misurato il loro umore 90 minuti dopo anziché subito dopo il filmato, le persone che avevano pianto erano in uno stato d’animo migliore rispetto a quello che avevano prima del filmato. Una volta che i benefici del pianto si instaurano, spiega, esso può essere una via efficace per riprendersi da un forte attacco emotivo.

La ricerca moderna nell’ambito della psicologia del pianto è ancora agli esordi, ma i misteri delle lacrime, e la recente evidenza che esse sono molto più importanti di quanto gli scienziati credessero una volta, conduce Vingerhoets e la piccola squadra di ricercatori in psicologia del pianto a perseverare. “Le lacrime sono di estrema rilevanza per la natura umana“- dice Vingerhoets – Noi piangiamo perché abbiamo bisogno delle altre persone. Quindi Darwin – afferma con una risata – si sbagliava completamente” (Oaklander, 2016).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Benecke, C. (2009) Lachen, um nicht zu weinen... Psychotherapeut, 54, 120-129
  • Bylsma, L.M., Vingerhoets, A.J.J.M., Rottenberg, J. (2008) When is crying cathartic? An international study. Journal of Social and Clinical Psychology, 27.10, 1165-1187
  • Cornelius, R.R. (2001). Crying and Catharsis. In Vingerhoets, A.J.J.M., Cornelius, R.R., Adult Crying (pp. 199-212) Routledge.
  • Gelstein, S., Yaara, Y., Liron, R., Sagit, S., Idan, F., Yehudah, R., Sobel. (2011), N. Human Tears Contain a Chemosignal. Science, 331, 226-230
  • Gracarin, A., Vingerhoets, A.J.J.M., Kardum, I., Zupcic, M., Santek, M., Simic, M. (2015). Why crying does and sometimes does not seem to alleviate mood: a quasi-experimental study. Motivation and Emotion, 39, 953-960
  • Oaklander M. (2016). The Science of Crying. Time.
  • Rottenberg, J., Vingerhoets, A.J.J.M. (2012). Crying: Call for a Lifespan Approach. Social and Personality Psychology Compass, 6, 217-227
  • Vingerhoets A.J.J.M., Bylsma, L.M., Rottenberg, J. (2009) Crying : A biopsychosocial phenomenon. In Fögen, T., Tears in Graeco-Roman World, (pp. 439-475). De Gruyter
  • Stuchell, R.N., Feldman, J.J., Farris, R.L., Mandel, I.D. (1984) The effect of collection technique on tear composition. Investigative Ophthalmology & Visual Science, 25, 374-377
  • Trimble M. (2012). Why humans like to cry
  • Vingerhoets A.J.J.M. (2001). Why only humans weep, Oxford.
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