expand_lessAPRI WIDGET

I segreti del cervello che ride: dalle basi neuronali alla clownterapia

Clownterapia: la risata si attiva in risposta ad emozioni sia positive che negative, attiva aree cerebrali e presenta diversi effetti benefici sulla salute.

Di Giada Sera, Laura Ranzini

Pubblicato il 24 Nov. 2016

Aggiornato il 01 Ott. 2019 15:40

Clownterapia: La risata spesso viene confusa con l’umorismo, tuttavia se l’umorismo è la capacità di cogliere ed esprimere il lato curioso e incongruente della realtà, la risata è l’espressione sia di emozioni positive di allegria e benessere sia negative quali rabbia o agitazione (risata nervosa). Considerare la risata solo come la risposta a qualcosa di divertente è riduttivo, infatti ci sono notevoli differenze nei modi in cui si esprime la risata e nel messaggio che veicola e, come per l’umorismo, la risata non è facilmente definibile in quanto può essere di tipi diversi: genuina, sarcastica, fittizia.

Giada Sera, Laura Ranzini, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

[blockquote style=”1″]Il senso dell’umorismo in sè non guarisce tutti i problemi emotivi, ma imparare a non prendere troppo sul serio ogni avvenimento spiacevole della vita rappresenta un ottimo passo in questa direzione.[/blockquote] Albert Ellis

Umorismo, risata e sorriso

L’umorismo è un processo mentale complesso considerato esclusivo dell’uomo, al contrario del sorriso e della risata che sono invece risposte fisiologico-comportamentali condivise, nei loro aspetti basilari, con altri animali. In particolare, è possibile affermare che l’umorismo è di dominio esclusivo della mente umana poiché esso dipende dalla Teoria della Mente, ovvero dalla capacità che gli uomini hanno di comprendere gli stati mentali altrui. Inoltre, bisogna considerare che per comprendere l’umorismo è necessario un certo sforzo cognitivo: esso infatti nasce quando, entro uno schema narrativo, si inserisce un elemento incongruente; la scoperta di tale incongruenza richiede un certo sforzo che solo chi fa parte della specie umana riesce a compiere.

L’umorismo è fondamentale e pervasivo nella vita dell’uomo e pertanto viene considerato in stretta relazione con la salute fisica e il benessere psicologico (Martin & Lefcourt, 2004). Lo studio dell’umorismo, e, di conseguenza, la sua definizione, ha inizio in Gran Bretagna e in Germania in ambito filosofico fino ad essere oggetto di molti studi negli Stati Uniti negli anni ’60: è proprio a questi anni che risale il saggio sulla Psicologia dello Humor di Paul Mc Ghree, fondamentale per la definizione del concetto.

Lo studio dell’umorismo è stato affrontato in diversi ambiti quali quello linguistico, cognitivo o sociale e sono state elaborate diverse teorie che spiegano quando uno stimolo può essere definito umoristico.
In un primo momento, l’umorismo viene considerato solo nella sua concezione positiva, tuttavia è necessario tener presente che esiste anche un umorismo non benevolo, quale il sarcasmo o l’ironia (Ruch, 2008).
Dopo questa prima ed essenziale considerazione può essere fatta un’ulteriore distinzione che considera la finalità dell’umorismo: esso può avere infatti finalità affiliative (ridere con qualcuno con lo scopo di creare delle relazioni), autorinforzative (ridere di se stessi e di ciò che succede), aggressive (far battute sugli altri con lo scopo di deriderli), autosvalutative (commenti svalutanti su se stessi per ottenere l’appoggio e l’approvazione degli altri) (Martin et al., 20013).

In definitiva, possiamo affermare che l’umorismo si configura come un costrutto che può presentarsi in diverse modalità linguistiche (quali barzellette o indovinelli), può comparire in diverse forme (per esempio ironia o sarcasmo) e può avere diverse finalità (tra cui il divertimento o la presa in giro). In letteratura si fa riferimento al termine humor per identificare l’insieme di questi aspetti.

La risata spesso viene confusa con l’umorismo, tuttavia se l’umorismo è la capacità di cogliere ed esprimere il lato curioso e incongruente della realtà, la risata è l’espressione sia di emozioni positive di allegria e benessere sia negative quali rabbia o agitazione (risata nervosa). Considerare la risata solo come la risposta a qualcosa di divertente è riduttivo, infatti ci sono notevoli differenze nei modi in cui si esprime la risata e nel messaggio che veicola e, come per l’umorismo, la risata non è facilmente definibile in quanto può essere di tipi diversi: genuina, sarcastica, fittizia.

In letteratura vi sono numerosi studi che si prefiggono lo scopo di indagare i motivi che possono scatenare la risata e i contesti in cui si manifesta.
Ridere è considerata un’attività tipica soprattutto (ma non solo) dell’essere umano e si ritiene che si sia sviluppata, come il pianto e il gemito, prima del linguaggio. La risata ha base innata, compare verso la decima settimana di vita, rappresenta uno dei primi segnali dell’interazione umana (McGhee, 2010) ed è universale, ovvero presente in ogni cultura.

La risata può però anche presentarsi, quale reazione incontrollata, irrefrenabile, improvvisa e non congruente agli stimoli ambientali, in alcune malattie neurologiche (per esempio, lesioni cerebrovascolari, traumi cranici, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, demenza di Alzheimer o tumori cerebrali); tale condizione, comune a diversi disturbi neurologici, si definisce come sindrome pseudobulbare.

Con il termine sorriso, infine, si indica un’espressione del volto che coinvolge la bocca, le labbra e gli occhi. Il sorriso può diventare risata ma si differenzia da questa perché meno impulsivo e più duraturo.
Il sorriso non è però solo associato al riso ma possiede diverse funzioni: potrebbe, per esempio, essere la risposta a qualcosa di delicato e problematico (Ekman & Friesen, 1982; Ruck & Ekman, 2001).

 

Le basi neurali

Definire che cosa succede nel cervello che ride non è cosa semplice.
La risata e il sorriso coinvolgono principalmente le aree mimico-motorie mentre con l’umorismo vero e proprio quasi tutto il cervello “si accende” poiché si tratta di un processo di alto livello che coinvolge componenti affettive, relazionali, emotive, espressive, motorie.

Partiamo dalle basi neurali della risata: essa è rappresentata nella parte rostrale dell’area motoria supplementare (Fried et al., 1998).

Interessante a questo proposito è lo studio condotto da Wildgruber e coll. (2013) in cui i soggetti sperimentali ascoltavano e dovevano classificare tre differenti tipi di risata (risata provocata dal solletico, risata di scherno e risata di gioia), mentre veniva registrata la loro attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale.
Nel caso della risata da solletico si è osservata un’attivazione delle aree prefrontali e della corteccia associativa uditiva, probabilmente dovuta alla maggiore complessità acustica del suono di questo tipo di risata.
La risata sociale (sia essa di scherno o di gioia) attiva invece una serie più articolata di connessioni fra la corteccia associativa uditiva, la regione dorsolaterale prefrontale e diverse aree della corteccia legate ai processi di mentalizzazione e all’immaginazione visiva.
Queste attivazioni indicherebbero che vi è un’analisi automatica delle caratteristiche acustiche della risata sociale, e le capacità attentive di working memory sarebbero dirette verso gli aspetti informativi della risata per poterne valutare il significato. Questi processi possono essere associati con l’immaginazione visiva che sostiene la formazione delle inferenze sulle intenzioni dei nostri interlocutori sociali.

Vediamo ora quali sono le basi neurali dell’umorismo.
A tale scopo sono stati condotti studi molto diversi tra loro, utilizzando stimoli vari quali stimoli verbali o visivi che spaziavano dall’umorismo nonsense al sarcasmo. Quello che è stato osservato è che, pur variando, gli stimoli venivano sempre analizzati, a livello neurale, da due distinti ma connessi processi: uno cognitivo e uno emotivo (Vrticka et al., 2013).

La componente cognitiva è coinvolta poiché l’umorismo scaturisce proprio quando riusciamo a risolvere una situazione che presenta elementi incongruenti e incompatibili. Naturalmente, durante un compito del genere non possiamo pensare di trovare il coinvolgimento di una sola area cerebrale: a seconda del tipo di stimolo può esserci un coinvolgimento della corteccia visiva o uditiva, delle aree del linguaggio, della memoria semantica, e delle aree che normalmente si attivano nella Teoria della Mente (se bisogna considerare i pensieri e le emozioni degli altri). Secondo Reiss tutti questi meccanismi convergono essenzialmente su un’area preposta al rilevamento e alla risoluzione di ciò che è incongruo, ovvero la giunzione temporo-parietale e temporo-occipito-parietale.

Per quanto riguarda la componente emotiva, dagli studi emerge il coinvolgimento del sistema dopaminergico mesocorticolimbico, ovvero di aree che si attivano normalmente nelle situazioni gratificanti in generale. Nel caso dell’umorismo la gratificazione sembra derivare dall’aver risolto gli elementi incompatibili di una certa scena.
Inoltre, vi è un coinvolgimento dell’amigdala. L’amigdala ha infatti il ruolo di selezionare le informazioni importanti per i nostri obiettivi e poiché il valore evolutivo degli stimoli è anche dato dall’ambiguità e dall’imprevedibilità, ecco che l’amigdala si attiva nel cercare un nesso tra gli stimoli che fanno ridere. In particolare, se l’amigdala si attiva prima della rivelazione finale allora significa che l’associazione di idee è banale e non fa ridere.

Interessante è anche ciò che i ricercatori hanno trovato relativamente all’umorismo e alle differenze di genere (Vrticka et al., 2013; Azim et al., 2005). L’umorismo fungerebbe da elemento che le donne utilizzano per una valutazione degli uomini: un buon senso dell’umorismo sembrerebbe essere un indicatore generale di intelligenza, creatività, resilienza e abilità sociali, elementi che non possono essere direttamente desunti dall’aspetto fisico. Di conseguenza, gli uomini investono più impegno nella produzione di umorismo per fare una buona impressione sulle donne.

 

La psicologia dell’umorismo

[blockquote style=”1″]..Se si può ridere di un problema, esso può essere superato.[/blockquote] (Borcherdt, 2002)

Come accennato in precedenza non esiste una sola definizione di “sense of humour” e, infatti, solo in alcuni casi esso risulta correlato con la salute fisica.
Risulta quindi necessario per i ricercatori definire l’accezione di umorismo alla quale faranno riferimento: una volta fatto questo sarà possibile implementare interventi terapeutici esecutivi.

Sono stati proposti quattro potenziali meccanismi, ciascuno dei quali coinvolge un aspetto differente dell’umorismo, un diverso approccio alla ricerca e, di conseguenza, differenti suggerimenti riguardo gli interventi di assistenza sanitaria (Martin, 2001).
Innanzitutto, i benefici per la salute possono derivare da numerosi cambiamenti fisiologici del corpo che accompagnano il riso, quali i cambiamenti muscolo-scheletrici, cardiovascolari, endocrini, immunitari e del sistema neurale. Secondo questo modello teorico, la risata è la componente fondamentale della connessione tra umorismo e benessere e, di conseguenza, l’ umorismo e il divertimento senza risate non porterebbero a eventuali benefici per la salute. In effetti la risata dovrebbe avere effetti positivi anche senza humor (ad esempio una risata finta o una risata forzata), come sostenuto dal leader del movimento del Club della Risata (ad esempio, Kataria 2002). Da questo punto di vista, la persona con un ”sano” senso dell’umorismo è colui che ride fragorosamente il più spesso possibile, più che colui che gode di un umorismo “contenuto” accompagnato solo dalla risatina occasionale o da un sorriso. Secondo questo modello, gli interventi di umorismo dovrebbero consistere nell’incoraggiare le persone a impegnarsi in risate frequenti e intense.

Il secondo meccanismo attraverso il quale l’umorismo potrebbe potenzialmente influenzare la salute riguarda, invece, gli stati emotivi positivi che accompagnano umorismo e risate. Infatti le emozioni positive, indipendentemente da come vengono generate, possono avere effetti benefici sulla salute, come ad esempio aumentare la tolleranza del dolore (Bruehl et al., 1993), migliorare la risposta del sistema immunitario (Stone et al., 1987), o annullare le conseguenze cardiovascolari di emozioni negative (Fredrickson,1998).

Questo secondo modello non riconosce la necessità della risata per ottenere benefici poichè l’umorismo e il divertimento possono indurre stati d’animo positivi anche in assenza della risata. Inoltre, questo modello conferisce un ruolo meno esclusivo all’umorismo e alla risata nel miglioramento della salute, in quanto ci sono particolari mezzi per aumentare le emozioni positive, insieme alla felicità, all’amore, alla gioia e all’ottimismo.

Quindi, un ”sano” senso dell’umorismo comporterebbe un temperamento allegro caratterizzato da felicità, ottimismo e un approccio ludico alla vita (Ruch,1993). Sulla base di questo modello, gli interventi terapeutici dovrebbero mirare ad accrescere le emozioni positive delle persone con diverse modalità, tra cui il ricorso dell’umorismo, e quindi la promozione della risata non sarebbe necessaria.

Il terzo potenziale meccanismo sostiene che la salute può indirettamente beneficiare dell’umorismo in quanto questo modererebbe gli effetti negativi dello stress psicosociale. Vi sono numerosi studi che dimostrano che esperienze di vita stressanti, cui consegue la produzione cronica di ormoni legati allo stress (ad esempio le catecolamine e il cortisolo) possono avere effetti negativi su vari aspetti della salute, quali la soppressione del sistema immunitario (Adler & Hillhouse, 1996) e un aumento del rischio di malattie cardiache (Esler,1998). Inoltre da numerose ricerche è emerso che alcune variabili di personalità e certi stili di coping possono moderare il grado di influenza dei fattori di stress sulla salute (ad esempio, Cohen & Edwards, 1989). Quindi, una visione umoristica della vita e la capacità di vedere il lato divertente dei propri problemi permetterebbe di affrontare in modo più efficace le situazioni di stress, migliorando le capacità di affrontare le avversità (Lefcourt & Martin, 1986; Martin et al., 1993; Martin & Lefcourt, 1983).

Secondo questo punto di vista dello stress-moderatore, gli aspetti cognitivo-percettivi dell’umorismo sono più rilevanti della semplice risata e risulta particolarmente importante la capacità di mantenere una visione umoristica durante i periodi di stress: l’umorismo e la risata sembrerebbero avere minor rilievo durante i periodi poco stressanti.

Gli interventi terapeutici proposti, sulla base di questa visione, dovrebbero comprendere una formazione incentrata sulla gestione dello stress, con attenzione all’uso dell’umorismo per far fronte allo stress nella loro vita quotidiana.
Infine, l’umorismo può indirettamente portare ad effetti positivi sulla salute aumentando la propria rete di supporto sociale. Coloro che sono in grado di usare l’umorismo in maniera efficace per ridurre i conflitti interpersonali e le tensioni con gli altri possono di conseguenza godere di più numerose e soddisfacenti relazioni sociali. A loro volta, il maggior sostegno sociale che deriva da queste relazioni porta a effetti positivi sulla salute (Cohen & Wills, 1985).

Quindi, secondo questo modello, l’attenzione va posta agli aspetti interpersonali di umorismo e alla competenza sociale dell’uso dell’umorismo nelle relazioni sociali, piuttosto che alla frequenza della risata; un “sano” senso dell’umorismo comporterebbe l’uso dello stesso per migliorare le relazioni con gli altri, rendendole meno ostili. Sulla base di questa visione, gli interventi terapeutici proposti dovrebbero riguardare le competenze sociali, in particolare, insegnare alle persone a usare l’umorismo per facilitare le relazioni sociali.

Per riassumere, riportiamo le principali funzioni che può assumere l’umorismo, sulla base delle numerose ricerche effettuate.

  • Strategia di coping: l’umorismo offre una visione alternativa nell’affrontare stati mentali dolorosi. La maggior parte delle situazioni ha un aspetto umoristico che però non viene sempre percepito a causa delle emozioni negative ad esso associate (McGhee, 2010); spesso, infatti, solo con il tempo si riesce a cogliere il lato divertente dell’evento in quanto è diminuito l’aspetto dolente e l’intensità delle emozioni negative. Questo sostiene quanto affermato da Ellis (1977) riguardo all’utilizzo dell’umorismo da parte dei pazienti per trasformare emozioni e sentimenti negativi. In particolare, il terapeuta, grazie a un intervento umoristico, può sottolineare gli aspetti ironici di un evento con lo scopo di modificare la sua visione rigida, favorendo così una ristrutturazione cognitiva, aiutandolo a vivere l’evento con maggior distacco e a gestire meglio le emozioni negative;
  • Capacità di cambiare prospettiva e maggior capacità di problem solving (Gelkopf & Kreitler, 1996;
  • Sperimentazione di emozioni positive come gioia, ottimismo e fiducia (Gelkopf & Kreitler, 1996);
  • Comunicare in modo protetto ed esprimere emozioni e sentimenti che solitamente vengono bloccati dal paziente per una mancanza di presa di coscienza e per imbarazzo (Winick, 1976);
  • Favorire l’alleanza terapeutica (Jeffrey, 2009) grazie all’incremento del comportamento affiliativo (Nelson, 2008): studi di Meyer (2000) dimostrano come l’umorismo riduca il silenzio nelle sedute e favorisca conversazioni aperte e maggiormente rilassate;
  • Aumentare l’autostima: la capacità di ridere di se stessi favorisce l’accettazione. Studi sostengono che l’umorismo favorisca lo sviluppo del benessere personale: la capacità di ridere di se stessi aumenta la tolleranza per le emozioni negative e riduce la possibilità di sviluppare sintomi depressivi (Martin et al., 2003);
  • Abbassare le difese del paziente favorendo la comunicazione di pensieri, sentimenti e comportamenti che altrimenti non sarebbero emersi. L’umorismo permette di portare i propri difetti e mancanze in maniera non minacciosa così da affronatre in maniera positiva le relazioni (Borcherdt, 2002).

In letteratura sono presenti numerosi studi su questo argomento, sia ricerche sperimentali che correlazionali, dalle quali tuttavia emergono dubbi sulla semplice relazione tra umorismo e salute; tuttavia tali risultati potrebbero derivare anche da errori metodologici (definizione di costrutti e variabili, metodi di misurazione) (Martin (2010). Martin (2010) suggerisce di proseguire con gli studi in questo ambito, data l’importanza di tali constatazioni, con più attente formulazioni teoriche e più sofisticati e rigorosi metodi di indagine.

Tuttavia, negli ultimi anni, sulla base di questi studi e dell’idea che l’umorismo può essere un elemento per promuovere emozioni positive e aumentare il benessere personale, anche la medicina e la psicologia hanno cominciato ad interessarsi all’argomento.
Martin (2010) sottolinea un crescente interesse nell’inserire l’umorismo nelle sedute psicoterapeutiche come tecnica terapeutica, anche se l’inserimento effettivo non è ancora cosi diffuso: gli psicoterapeuti ne limitano ancora l’uso per paura di essere fraintesi o di svalutare la loro figura professionale (Franzini, 2001). Questo potrebbe essere dovuto anche alla natura multiforme dell’umorismo: ciò che può essere percepito in maniera umoristica da qualcuno può assumere un significato diverso da un altro soggetto.

 

La clownterapia

Come sottolineato finora, la popolazione scientifica ha mostrato un interesse sempre maggiore verso il tema dell’umorismo. La figura del Clown, sempre presente in più contesti, è divenuta sia uno strumento di formazione psicopedagogica che una figura di supporto psicologico.

La figura del clown ha un’origine molto antica e in moltissime culture era legata a pratiche magico-religiose. Nei secoli la figura del clown è cambiata e all’interno del mondo sociale si è avvicinata all’espressione della polemica sociale e del sarcasmo: il clown, attraverso l’amplificazione grottesca ed esagerata, esprime disapprovazione, risentimento e critica popolare. Un elemento comune alle diverse culture è vedere questa figura come depositario di una sapienza “altra”, nonostante sia apparentemente sciocco, con il compito di mettere in evidenza le contraddizioni delle leggi, delle parole dei potenti, delle consuetudini (Fioravanti & Spina, 1999); questa caratteristica è ancora presente nell’immaginario attuale.

Nei corsi di formazione di arte clownesca vengono studiati i meccanismi che innescano la risata, che non è legata a cadute o smorfie del clown ma, al contrario, scatta nel momento del fallimento: non fa ridere il personaggio ma l’uomo mostratosi cosi come è, “a nudo”.

L’aspetto di strumento pedagogico del clown sta proprio nel concetto di fallimento, di inadeguatezza di ogni uomo nei confronti della realtà.
La “piccola” maschera del clown, un semplice naso rosso, in realtà ha un grande significato e funge da strumento pedagogico. Quando questo viene indossato permette di scoprire i lati più nascosti della propria personalità, le proprie debolezze e fragilità; si annulla la differenza tra attore e clown, ed è in questo momento che il soggetto accetta i proprio difetti e le proprie insicurezze, ride di se stesso per poter far ridere gli altri.

Il clown diventa il portatore di una filosofia di vita alternativa, una filosofia in cui non esistono convinzioni sociali, in cui ci si libera da schemi mentali e sociali arrivando a un’emancipazione totale; solo così può emergere l’unicità della persona e la sua forza personale.

Dato il maggior interesse per i vantaggi dell’umorismo negli ultimi anni, il clown è stato usato come strumento di intervento per l’emancipazione dal disagio personale e collettivo ed è sempre più presente in strutture come scuole, ospedali, carceri minorili, case di riposo. Numerose associazioni ONLUS promuovono l’utilizzo della clownterapia, cioè l’attuazione di tecniche clownesche in contesti di disagio con il fine di migliorare l’umore delle persone (Dionigi).

La funzione terapeutica del clown è la capacità di capovolgere gli schemi standard e abituali, questo significa avere maggior flessibilità mentale riuscendo a trovare un maggior numero di soluzioni ai problemi e ad affrontare in maniera più funzionale lo stress.
Quindi la clownterapia aiuta le persone ad acquisire un nuovo punto di vista sulle situazioni problematiche e ad affrontare la vita in maniera più ottimistica, grazie ad esercizi sistemici di autoironia che permettono di distaccarsi dal problema, percependolo ridimensionato e spesso possibile oggetto di cambiamento (Dionigi & Gremigni, 2010).

Per suscitare la risata, il clown sovverte gli schemi standard mostrando le sue debolezze, e, pertanto, la clownterapia diventa una terapia della vergogna in cui anche lo spettatore ride delle sue debolezze, nonostante la sua posizione superiore e distante dal clown (Farneti, 2004).

Il clown dottore è colui che, a prescindere dal titolo di studio, opera nei contesti di disagio unendo l’arte clownesca e le conoscenze psico-socio-sanitarie al fine di agire sulle emozioni: è una figura di sostegno e aiuto ai pazienti ospedalizzati che collabora con l’equipe ospedaliera, ha un camice colorato che serve per ironizzare sulla figura medica e sovvertire la sua immagine, rendendola più umana. Il bambino e i genitori decidono liberamente se accettare l’intervento del clown dottore, poichè talvolta il dolore è troppo forte per permettere il gioco in serenità.

I clown dottori si basano sull’improvvisazione, si lasciano ispirare dal momento facendo riferimento a conoscenze sulla giocoleria, sull’arte clownesca e sull’espressività teatrale con particolare attenzione alle reazioni dei bambini. I bambini vengono coinvolti negli sketch o nei giochi in modo da aumentare la loro sensazione di essere artefici di qualcosa di speciale, sentondosi importanti per il clown. Questo rinforza la fiducia e la stima in se stessi e la loro disponibilità verso gli altri.

In letteratura ci sono numerosi studi che vanno ad indagare l’effetto dell’intervento dei clown dottori sui bambini ospedalizzati.
Per esempio, Vagnoli e collaboratori (2005) mostrano che la presenza dei dottori clown, insieme ai genitori, durante l’induzione dell’anestesia ha effetto sulla gestione dell’ansia durante il periodo pre-operatorio. Gli autori promuovono questa “procedura di distrazione” nel trattamento dei bambini che richiedono intervento, tuttavia la resistenza del personale medico può rendere difficile inserire questo programma nelle attività della sala operatoria.

Lo studio di Agostini e collaboratori (2013) mostra che l’intervento dei clown dottori ha inoltre un effetto significativo anche sull’ansia pre-operatoria delle madri: infatti questa era minore nelle madri del gruppo dei bambini in compagnia dei clown rispetto a quelle del gruppo di controllo senza l’intervento dei clown.

La riduzione dell’ansia nei bambini e nei genitori in seguito alla presenza dei clown dottori è stato confermato anche nello studio di Dionigi e collaboratori (2014) su un campione di 77 bambini e 119 genitori.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Adler C. M. & J. J. Hillhouse (1996). Stress, health, and immunity: A review of the literature. In Miller T. W. (ed.), Theory and Assessment of Stressful Life Events. Madison, CT:International Universities Press, 109–138.
  • Agostini F., Monti F., Neri E., Dellabartola S., De Pascalis L. & Bozicevic L. (2013). Parental anxiety and stress before pediatric anesthesia: A pilot study on the effectiveness of preoperative clown intervention. Journal of Health Psychology 0(0) 1–15.
  • Azim, E., Mobbs, D., Jo, B., Menon, V., Reiss, A.L. (2005). Sex differences in brain activation elicited by humor. Proc Natl Acad Sci U S A, 102(45): 16496-501.
  • Borcherdt B. (2002). Humor and its contributions to mental health. Journal of rational-emotive and cognitive-behavior therapy, 20(3-4), 247-257.
  • Borcherdt, B. (2002). Humor and its contributions to mental health. Journal of rational-emotive and cognitive-behavior therapy, 20(3-4), 247-257.
  • Bruehl, Steven, Charles R. Carlson, and James A. McCubbin (1993), Two brief interventions for acute pain. Pain 54 (1), 29–36.
  • Cohen S. & Edwards J. R. (1989). Personality characteristics as moderators of the relationship between stress and disorder. In Neufeld R. W. J. (ed.), Advances in the Investigation of Psychological Stress. New York: Wiley, 235–283.
  • Cohen S. & Wills T. A., (1985). Stress, social support, and the bu¤ering hypothesis. Psychological Bulletin 98(2), 310–357.
  • Dionigi A. & Gremigni P. (2010), Psicologia dell’umorismo.
  • Dionigi A., Sangiorgi D. & Flangini R (2014). Clown intervention to reduce.
  • Dionigi A., La comicoterapia.
  • Dionigi A., La funzione psicopedagogica e terapeutica del clown.
  • Dionigi A., Ruch W. & Platt T. (2013). Components and determinants of the shift between the own persona and the clown persona: A hierarchical analysis, European Journal of Humour Research 1(4) 58-80.
  • Ekman, P., & Friesen, W. V. (1982). Felt, false, and miserable smiles. Journal of nonverbal behavior, 6(4), 238-252.
  • Ellis A. (1977). Fun as psychotherapy. New York: Albert Ellis Institute.
  • Ellis, A. (1977). Fun as psychotherapy. New York: Albert Ellis Institute.
  • Esler M. D. (1998). Mental stress, panic disorder and the heart. Stress Medicine 14 (4), 237–243.
  • Farneti A. (2004), La maschera più piccola del mondo. Aspetti psicologici della clowneria.
  • Fioravanti S. & Spina L. (1999). La terapia del ridere. Guarire con il buon umore, Red. Edizioni Como.
  • Franzini L. R. (2001). Humor in therapy: The case for training therapists in its uses and risks. The Journal of general psychology, 128(2), 170-193.
  • Franzini, L. R. (2001). Humor in therapy: The case for training therapists in its uses and risks. The Journal of general psychology, 128(2), 170-193.
  • Fredrickson B. L. (1998) What good are positive emotions? Review of General Psychology 2 (3), 300–319.
  • Fried, I., Wilson, C.L., MacDonald, K.A & Behnke, E.J. (1998) Electric current stimulates laughter. Nature 391, 650.
  • Gelkopf, M., & Kreitler, S. (1996). Is humor only fun, an alternative cure or magic? The cognitive therapeutic potential of humor. Journal of Cognitive Psychotherapy, 10(4), 235-254.
  • Gelkopf, M., & Kreitler, S. (1996). Is humor only fun, an alternative cure or magic? The cognitive therapeutic potential of humor. Journal of Cognitive Psychotherapy, 10(4), 235-254.
  • Jeffrey, S. (2009). Questioning the importance of being earnest: A conversation analysis of the use and function of humour in the serious business of therapy (Unpublished Dissertation). Hatfield, UK: University of Hertfordshire.
  • Jeffrey, S. (2009). Questioning the importance of being earnest: A conversation analysis of the use and function of humour in the serious business of therapy (Unpublished Dissertation). Hatfield, UK: University of Hertfordshire.
  • Kataria, Madan, Laugh For No Reason (2 ed.), 2002, Madhuri International, Mumbai, India. ISBN 978-81-87529-01-9.
  • Kataria, Madan, Laugh For No Reason (2 ed.), 2002, Madhuri International, Mumbai, India. ISBN 978-81-87529-01-9.
  • Lefcourt H. M. & Martin R. A. (1986). Humor and Life Stress: Antidote to Adversity. New York: Springer-Verlag.
  • Martin R. A. & Lefcourt M. H. (1983) Sense of humor as a moderator of the relation between stressors and moods. Journal of Personality and Social Psychology 45 (6), 1313–1324.
  • Martin R. A., Kuiper N. A., Olinger L. J. & Dance K. (1993). Humor, coping with stress, self-concept, and psychological well-being.Humor: International Journal of Humor Research 6 (1), 89–104.
  • Martin, R. A. (2007). The psychology of humor: An integrative approach. London, England:Elsevier.
  • Martin, R. A. (2007). The psychology of humor: An integrative approach. London, England:Elsevier.
  • Martin, R. A., & Lefcourt, H. M. (2004). Sense of humor and physical health: Theoretical issues, recent findings, and future directions. Humor, 17(1/2), 1-20.
  • Martin, R. A., & Lefcourt, H. M. (2004). Sense of humor and physical health: Theoretical issues, recent findings, and future directions. Humor, 17(1/2), 1-20.
  • Martin, R. A., Puhlik-Doris, P., Larsen, G., Gray, J., & Weir, K. (2003). Individual differences in uses of humor and their relation to psychological well-being: Development of the Humor Styles Questionnaire. Journal of Research in Personality, 37(1), 48-75.
  • Martin, R. A., Puhlik-Doris, P., Larsen, G., Gray, J., & Weir, K. (2003). Individual differences in uses of humor and their relation to psychological well-being: Development of the Humor Styles Questionnaire. Journal of Research in Personality, 37(1), 48-75.
  • McGhee, P. E. (2010). Humor: The lighter path to resilience and health. Bloomington, IN:AuthorHouse.
  • McGhee, P. E. (2010). Humor: The lighter path to resilience and health. Bloomington, IN:AuthorHouse.
  • Meyer, J. C. (2000). Humor as a double‐edged sword: Four functions of humor in communication. Communication theory, 10(3), 310-331.
  • Meyer, J. C. (2000). Humor as a double‐edged sword: Four functions of humor in communication. Communication theory, 10(3), 310-331.
  • Nelson, J. K. (2008). Laugh and the world laughs with you: An attachment perspective on the meaning of laughter in psychotherapy. Clinical Social Work Journal, 36(1), 41-49.
  • Nelson, J. K. (2008). Laugh and the world laughs with you: An attachment perspective on the meaning of laughter in psychotherapy. Clinical Social Work Journal, 36(1), 41-49.
  • Peterson, C., & Seligman, M. E. (2004). Character strengths and virtues: A handbook and classification. Oxford: Oxford University Press.
  • Peterson, C., & Seligman, M. E. (2004). Character strengths and virtues: A handbook and classification. Oxford: Oxford University Press.
  • Preoperative anxiety in children and parents: A randomized controlled trial. Journal of Health Psychology Vol. 19(3) 369–380
  • Ruch W. (1993). Exhilaration and humor. In Lewis, Michael, and Jeanette M. Haviland (eds.), Handbook of Emotions. New York: Guilford Press, 605–616.
  • Ruch, W. (2008). Psychology of humor. In V. Raskin (Ed.), A Primer of humor research (pp. 17- 100). Berlin, Germany: Mouton de Gruyter.
  • Ruch, W. (2008). Psychology of humor. In V. Raskin (Ed.), A Primer of humor research (pp. 17- 100). Berlin, Germany: Mouton de Gruyter.
  • Ruch, W., & Ekman, P. (2001). The expressive pattern of laughter. Emotion, qualia, and consciousness, 426-443.
  • Stone, Arthur A., Donald S. Cox, Heiddis Valdimarsdottir, Lina Jandorf, and John M. Neale (1987) Evidence that secretory IgA antibody is associated with daily mood. Journal of Personality and Social Psychology 52 (5), 988–993.
  • Sultanoff, S. (2003). Integrating humor into psychotherapy. In C. E. Schaefer (Ed.). Play therapy with adults (107-143). Hoboken, NJ: John Wiley & Sons.
  • Sultanoff, S. (2003). Integrating humor into psychotherapy. In C. E. Schaefer (Ed.). Play therapy with adults (107-143). Hoboken, NJ: John Wiley & Sons.
  • Vagnoli L., Caprilli S., Robiglio C. & Messeri A. (2005). Clown Doctors as a Treatment for Preoperative Anxiety in Children: A Randomized, Prospective Study, Pediatrics 116;563-567, DOI: 10.1542/peds.2005-0466.
  • Vrticka, P., Neely, M., Walter Shelly E., Black, J.M., Reiss, A.L. (2013). Sex differences during humor appreciation in child-sibling pairs. Soc Neurosci, 8(4), 291-304.
  • Wildgruber, D., Szameitat, D.P., Ethofer, T., Brück, C., Alter, K., et al. (2013). Different Types of Laughter Modulate Connectivity within Distinct Parts of the Laughter Perception Network 2013. Plod-One
  • Winick, C. (1976). The social contexts of humor. Journal of Communication, 26(3), 124-128.
  • Winick, C. (1976). The social contexts of humor. Journal of Communication, 26(3), 124-128.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
La clownterapia & gli effetti benefici dell’umorismo in ambito ospedaliero (2014) – Recensione

Nel libro viene approfondita l'importanza della figura del clowndottore in ambito ospedaliero e come l'umorismo e il sorriso possano risultare terapeutici

ARTICOLI CORRELATI
Pet loss: come affrontiamo la perdita dei nostri animali domestici

La pet loss, la perdita del proprio animale domestico, è riconosciuta come fattore stressante e potenziale rischio per disturbi psicologici

Sindrome di Wernicke-Korsakoff: sintomi, diagnosi e decorso
Il “marinaio perduto”: la sindrome di Wernicke-Korsakoff

La sindrome di Wernicke-Korsakoff è una malattia neurodegenerativa del Sistema Nervoso caratterizzata dalla contemporanea presenza di due disturbi correlati

WordPress Ads
cancel