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Donne serial Killer: profilo psicologico e differenze di genere

La criminologia ha evidenziato come ci siano delle differenze di genere tra i serial killer legate alla tempistica e alla tipologia di arma e di vittima 

Di Angela Ganci

Pubblicato il 07 Ott. 2016

Aggiornato il 06 Set. 2018 12:19

La criminologia è unanime nel considerare come tratto qualificante per un serial killer maschio il movente sessuale (componente sadica), mentre per ciò che concerne l’universo femminile la questione si fa più complessa. L’aspetto sessuale non appare infatti preminente: il minor grado di aggressività sadica nelle donne deriva sia da una minore predisposizione biologica (livelli più bassi di testosterone) sia dalle influenze culturali che scoraggiano le manifestazioni di aggressività.

Definizione di serial killer

Secondo la definizione ufficiale fornita dall’FBI nel Crime Classification Manual si definisce Serial Killer colui che [blockquote style=”1″]uccide tre o più vittime, in luoghi diversi e con un periodo di intervallo emotivo tra un omicidio e l’altro, coinvolgendo, in ciascun evento delittuoso, più di una vittima[/blockquote] (Douglas & coll. 1997).

In realtà Autori come De Luca (2001) hanno proposto una definizione più ampia ed esaustiva, intendendo l’assassino seriale come un soggetto che mette in atto personalmente due o più azioni omicidiarie separate tra loro, mostrando una chiara volontà di uccidere, anche se poi gli omicidi non si compiono effettivamente (citato in L’altro diritto, 2016).

I due elementi centrali in tale prospettiva sono la “ripetitività dell’azione omicidiaria”, che stabilisce un circuito ripetitivo patologico, e l’importanza dell’intenzione, a prescindere dalla reale commissione del delitto. La ripetitività dei delitti sottende una logica interna, una componente psicologica interna al soggetto che lo spinge alla reiterazione del comportamento omicidiario: ciò implica che l’azione omicida avviene sotto la spinta di schemi che l’assassino si costruisce nella sua mente, derivanti da esperienze traumatiche infantili. Si tratta di azioni eseguite secondo criteri costanti che riguardano aspetti quali la modalità di esecuzione del delitto e le caratteristiche della vittima, secondo un rituale ossessivo che concorre a delineare la “firma” di quel serial killer.

Donne serial killer: il profilo psicologico

Entrare nella mente di un serial killer significa fondamentalmente scandagliare i temi legati al movente del delitto, alle modalità e armi specifiche di aggressione e/o alle vittime che abbiano dei tratti distintivi, collegandoli alle storie infantili alla base della scelta omicidiaria.
Per esempio, la criminologia è unanime nel considerare come tratto qualificante per un serial killer maschio il movente sessuale (componente sadica), mentre per ciò che concerne l’universo femminile la questione si fa più complessa. L’aspetto sessuale non appare infatti preminente: il minor grado di aggressività sadica nelle donne deriva sia da una minore predisposizione biologica (livelli più bassi di testosterone) sia dalle influenze culturali che scoraggiano le manifestazioni di aggressività (L’altro diritto, 2016).

Al di là del movente sessuale svariate possono, però, essere le spinte emotive utili a mettere in atto l’azione criminale: denaro, gelosia, vendetta, potere o dominio. È proprio in questa cerchia di motivazioni che può essere ricondotta la causa scatenante del comportamento omicidiario seriale femminile. Per esempio, la vedova nera uccide al fine di impossessarsi dei beni della vittima, oppure incassare i premi assicurativi previsti, utilizzando il veleno, con lo scopo di indurre sintomi simili a quelli di malattie note. Quali sono le caratteristiche psicologiche ascrivibili a queste donne e quale ruolo hanno le esperienze infantili nell’esito evolutivo criminale?

E’ sbagliato pensare che si tratti di donne eccentriche o dalla cattiva fama presso amici e conoscenti; si tratta piuttosto di donne e madri di famiglia che, almeno all’apparenza, svolgono lavori del tutto normali che le rendono praticamente insospettabili (casalinga, infermiera, cameriera).
Donne che riscuotono simpatia presso i conoscenti perché appaiono affabili, affidabili, dal volto rassicurante; che, con grande perizia, riescono a creare un clima di confidenzialità e intimità con la vittima, scelta per la sua vulnerabilità, tra deboli o emarginati, in particolare donne e bambini.
Una facciata che nasconde la vera personalità, fredda, cinica, incapace di empatia, manipolatrice, e l’unica intenzione che guida i piani di annientamento delle vittime, ovvero quella di riprendersi una rivincita sulla vita, esprimere la propria superiorità e diventare celebri (L’altro diritto, 2016).

Non si tratta di normali cittadine, vicine della porta accanto che, all’improvviso, una mattina si svegliano e decidono di cominciare a uccidere. Il comportamento di una donna killer è frutto di una storia di esperienze traumatiche iniziate nella più tenera età e proseguite negli anni. E’ intorno al trauma che si costruisce la struttura della personalità del futuro killer.

La maggior parte di esse cresce in famiglie multiproblematiche, riportando quasi sempre una qualche forma di abuso durante l’infanzia. Bambine che perdono uno o entrambi i genitori o costrette a vivere in un ambiente ostile; lo stress derivante dalle oggettive condizioni di disagio, unito all’immaturità delle difese, conduce facilmente le future assassine all’isolamento dalla società, percepita come ostile e da cui “riscattarsi”, sottomettendo a propria discrezione tutto e tutti. In tutte le assassine seriali è comune la percezione della propria esistenza come negativa e degradata, e la presenza di forti sensi di inferiorità fisica e psichica, sociale e sessuale, che vengono compensati con un forte narcisismo (Lucarelli e Picozzi, 2003).

La storia di Leonarda Cianciulli

Emblematica è la storia di una delle più spietate Serial killer italiane, Leonarda Cianciulli, nota come la Saponificatrice di Correggio. Figlia indesiderata fin dalla nascita (la madre era rimasta incinta all’età di quattordici anni e obbligata a sposare il suo rapitore e violentatore), debole e malaticcia, trascorre un’infanzia triste e solitaria che passa chiacchierando con amici immaginari, mentre viene tenuta in disparte ed evitata perfino dai fratelli. Sopraffatta dai contrasti con la madre e da diciassette gravidanze (e dieci figli morti in tenera età) e dalle precarie condizioni economiche, ma soprattutto dal timore di perdere i figli rimasti, vedrà nel sacrificio di vite umane innocenti l’unico modo per allontanare la paura della morte dei figli adorati (Balloni, Bisi, & Monti, 2010).

Storie di infanzie di deprivazione e miseria, comuni tanto a uomini che donne criminali; accanto a tali somiglianze, tante però sono le differenze sostanziali, analizzabili secondo i criteri di tempistica, modalità di azione e scelta dell’arma e tipologia delle vittime (Serial Killers, 2016), oltre a quello relativo al movente, già citato.

Differenze di genere

  • Tempistica. La prima profonda differenza tra il binomio uomo-donna serial killer consiste nei tempi. La donna comincia a uccidere tra i trenta e i quarant’anni, circa un decennio più tardi del suo “collega” maschile. A differenza del maschio però la sua “vita criminale” è lunga il doppio, con un tempo medio di attività che si aggira intorno agli otto anni prima di essere arrestata.
  • Modalità di azione e scelta dell’arma. Una sostanziale differenza tra l’agire dell’uomo e della donna consiste nel mezzo utilizzato. L’uomo tende alla ricerca del contatto fisico con la vittima e alla partecipazione attiva all’uccisione (strangolamento, accoltellamento); come osserva Lunde (1975) l’uomo preferisce di gran lunga la sadica eccitazione derivante dal torturare, sezionare, mutilare e massacrare, in coerenza con il tipico movente sessuale maschile (citato in L’altro diritto, 2016). Le donne, invece, prediligono modalità meno fisiche, con l’utilizzo del veleno (arsenico, stricnina e clorato di potassio) e, al limite, lo strangolamento. Il veleno offre infatti vari vantaggi: è un’arma discreta, silenziosa, che, se usata bene, non lascia tracce e permette di far passare la morte della vittima come naturale. Se agiscono in contesti come gli ospedali (come gli angeli della morte) invece queste donne preferiranno l’iniezione di sostanze letali, attività di routine ospedaliera destinata, pertanto, a passare inosservata. In apparenza la scelta di armi soft può far credere che il “gentil sesso” sia meno spietato rispetto al corrispettivo maschile: tuttavia si deve sottolineare quanto più sadico ed efferato possa essere un omicidio in cui si assiste alla morte lenta di una persona cara, in preda a sofferenze prolungate e lancinanti causate, per esempio, dagli effetti lenti del veleno. Esistono comunque eccezioni, con l’utilizzo di modalità cruente di azione: Leonarda Cianciulli utilizzava i pezzi di corpi delle donne appena uccise per fabbricarne saponette e dolcetti da offrire agli ospiti (Balloni, Bisi, & Monti, 2010). Tra le “armi” della donna serial killer (non meno temibili di quelle prima elencate) si ricordano la seduzione e l’astuzia (capacità di gran lunga superiori rispetto agli uomini), che si trasformano in spietatezza e glacialità nell’approssimarsi al delitto e che aiutano nella costruzione di alibi pressoché inattaccabili, nella fase successiva al delitto.
  • Tipologia della vittima. Le tipiche vittime delle donne serial killer intrattengono con loro un qualche tipo di rapporto e quasi sempre appartengono allo stesso ambito familiare. Come osserva De Pasquali (2002), tra i familiari, il marito è il bersaglio più frequente, mentre gli estranei sono scelti tra i più deboli e indifesi. Inoltre le vittime vengono individuate e uccise “sul posto”, con modalità sedentarie (nella stessa casa dell’assassina o altri luoghi chiusi), fatto riconducibile alla scarsa mobilità nel territorio da parte della serial killer donna e alla strategia tipica di attirare le prede nella propria tana, conosciuta in criminologia come “tecnica del ragno”.
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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Balloni, A., Bisi, R. & Monti, C. (2010). Soda caustica, allume di rocca e pece greca. Il caso Cianciulli. Bologna: Minerva
  • De Pasquali, P. (2002). Serial killer in Italia. Un’analisi psicologica, criminologica e psichiatrico-forense. Milano: Franco Angeli
  • Douglas, J., Burgess, A.W., Burgess, A.G., & Ressler, R.K. (1997). Crime Classification Manual. New York City: John Wiley & Sons L’altro diritto. Capitolo 1. Fenomenologia del serial killer e dell'omicidio seriale. Ricavato il 7 Settembre 2016 da http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/devianza/massaro/cap1.htm
  • Lucarelli, C. & Picozzi, M. (2003). Serial Killer. Storie di ossessione omicida. Milano: Mondolibri Serial Killers. La donna serial killer. Ricavato il 7 Settembre 2016 da http://www.serialkillers.it/donnesk.htm
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