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Bullismo e suicidio in adolescenza: quale relazione?

Gli studi hanno dimostrato che sia le vittime di bullismo che i bulli stessi sono più a rischio di incorrere in pensieri o tentativi di suicidio. 

Di Nagaia Bacchetta

Pubblicato il 18 Ott. 2016

Aggiornato il 04 Ott. 2019 13:25

Per quanto riguarda i comportamenti suicidari, le ricerche mostrano che in generale tutti i soggetti coinvolti in episodi di bullismo (vittime, vittime persecutorie e bulli) presentano maggiori rischi di incorrere sia in pensieri suicidari che in tentativi di suicidio veri e propri, con una prevalenza da 3 a 5 volte maggiore degli adolescenti non coinvolti (Espelage, Holt, 2013).

Nagaia Bacchetta, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

I primi casi di bullismo: introduzione

Non è come combattere il cancro, ma è come se lo fosse stato per me. E’ come se fosse stato il mio cancro, in un certo senso… Penso che la gente debba prenderlo più seriamente. Penso che molti dirigenti a scuola siano fossilizzati ancora ai vecchi tempi quando il bullismo significava dire agli altri che sei paffuto, che hai quattro occhi o la faccia come quella di una pizza… ma il bullismo deve essere preso molto più seriamente (Seth).

Il caso più famoso nel mondo di bullismo associato a suicidio è stato sicuramente quello dell’adolescente canadese Amanda Todd. La ragazza, di appena 15 anni, si tolse la vita il 10 ottobre 2012 in seguito alla triste vicenda di molestie e soprusi subiti sia da parte dei compagni di scuola che di uno stalker sui social network. Amanda aveva raccontato la sua storia al mondo un mese prima della sua morte caricando un video su Youtube in cui rivelava gli episodi associati al bullismo e la sua sofferenza legata alla depressione e agli attacchi di panico che ne erano seguiti.

Sempre nel 2012, in Italia ha fatto invece scalpore il caso del ragazzo quattordicenne suicidatosi perché omosessuale e stanco delle prese in giro dei compagni di scuola che lo insultavano perché indossava i pantaloni rosa.

Sono parecchi i casi di cronaca relativi ad adolescenti che commettono suicidio in seguito ad episodi di bullismo. Molte ricerche si sono focalizzate sul legame di causalità tra queste due variabili e gli eventuali fattori mediatori che intervengono. Il bullismo è infatti ormai un fenomeno ampiamente riconosciuto a livello sociale e scolastico ed esistono vari programmi di intervento da realizzare nelle classi.

Definizione di bullismo

Il modello più celebre relativo al fenomeno del bullismo è sicuramente quello elaborato da Dan Olweus, il primo scienziato ad avere studiato in maniera sistematica le dinamiche che lo caraterizzano. Nella sua opera più famosa Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono (1993), Olweus definisce “bullismo” il fenomeno che accade quando uno studente è prevaricato e vittimizzato ed esposto ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da uno o più compagni.

L’azione offensiva può essere esercitata con diverse modalità: attraverso l’uso della parola (offese, prese in giro, minacce), ricorrendo alla forza e al contatto fisico (in questi casi si parla di bullismo diretto) oppure escludendo la vittima dal gruppo e parlando male di lui/lei con gli altri compagni (bullismo indiretto).

In base agli studi da lui stesso condotti, Olweus ha trovato come tra i maschi siano maggiormente diffuse le modalità dirette, mentre le femmine sono più esposte al bullismo indiretto.

I soggetti coinvolti e le cause del bullismo

Olweus ha tracciato dei profili precisi dei soggetti coinvolti in questo fenomeno e dei loro ruoli all’interno della classe. La vittima appare di solito come una persona ansiosa e insicura, che soffre di scarsa autostima e tende ad avere un’opinione negativa di sè. Questi ragazzi a scuola di solito vengono isolati e hanno pochi amici all’interno della classe.

La vittima passiva o sottomessa, in particolare, appare essere incapace e insicura di reagire di fronte agli insulti, ha un modello reattivo di comportamento ansioso, sottomesso e associato alla debolezza fisica. Le interviste con i genitori di questi ragazzi rilevano che fin da piccoli hanno mostrato una scarsa capacità ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei e in genere hanno un rapporto intimo con i genitori, in particolare la madre che gli insegnanti spesso percepiscono come iperprotettiva.

La vittima provocatrice invece presenta un modello comportamentale che è una combinazione del modello ansioso e di quello aggressivo. Questi ragazzi mostrano spesso problemi di concentrazione a scuola, si comportano in modo tale da provocare irritazione negli altri ed alcuni vengono definiti iperattivi. Il loro comportamento spesso provoca reazioni negative da parte dei compagni della classe.

Il bullo si caraterizza di solito per l’uso dell’aggressività, che in alcuni casi non rivolge solo ai compagni ma anche a genitori ed insegnanti. Ha un comportamento impulsivo e scarsa empatia nei confronti delle proprie vittime. Secondo Olweus, alla base del comportamento violento non vi è alcuna tendenza all’ansia o a una scarsa stima di se stessi, al contrario il bullo spesso ha un’immagine positiva di sè.

I bulli passivi sono coloro che partecipano al bullismo senza prendervi parte attivamente e di solito assumono il ruolo di gregari, seguaci o sobillatori. Ogni bullo infatti si circonda di almeno 2-3 coetanei che li sostengono e simpatizzano per loro.

Tra le cause che gli studi hanno rilevato per questo comportamento violento e aggressivo, vi sono il forte bisogno di potere e dominio da cui sembrano affetti i bulli; le condizioni familiari inadeguate in cui sono cresciuti; una componente strumentale, derivata dal fatto che i bulli spesso chiedono alle vittime di procurare loro denaro o oggetti che desiderano. Le ricerche mostrano che sul lungo periodo i bulli sono più inclini a sviluppare comportamenti antisociali e a restare coinvolti in atti criminali contro la legge.

Un altro importante fattore che può favorire l’insorgenza del fenomeno è l’avere assistito a scene di violenza perpetrate da altre persone e questo effetto è tanto più forte quanto più chi la attua è considerato un modello. Ciò riguarda in particolare i bulli passivi, che non godono di alcuna considerazione del gruppo e che desiderano invece affermarsi (effetto del contagio sociale). Ma si può essere spettatori passivi degli episodi di bullismo anche per effetto della diffusione della responsabilità, che riduce il senso di colpa in chi assiste agli abusi perpetrati dai compagni.

A questo punto, Dan Olweus prospetta anche diversi progetti di intervento che permettono la prevenzione del fenomeno sia a livello scolastico, che di classe, che individuale: incontri tra insegnanti e genitori, giornate di dibattito, somministrazione di questionari, supervisione degli adulti nei momenti di ricreazione e mensa; regole di classe relative al fenomeno del bullismo, incontri di classe sistematici, apprendimento cooperativo, attività positive comuni; colloqui individuali con i bulli e le vittime e colloqui con i genitori dei ragazzi coinvolti negli episodi di bullismo.

Il programma di intervento prospettato da Olweus si è rivelato efficace nelle scuole in cui è stato attuato. Si sono evidenziate marcate riduzioni di circa il 50% dei problemi relativi al bullismo durante i 2 anni successivi all’introduzione del programma, un calo dei comportamenti antisociali in genere e un miglioramento del clima scolastico.

Molto è stato fatto grazie al contributo di Dan Olweus nella comprensione e nella prevenzione del fenomeno, ma nella società attuale nuove forme di bullismo si stanno diffondendo sempre più (cyberbullismo) e i soggetti coinvolti sembrano afferire a categorie sociali ben precise (omosessuali, ragazzi affetti da patologie mentali).

Bullismo e suicidio

Per quanto riguarda i comportamenti suicidari, le ricerche mostrano che in generale tutti i soggetti coinvolti in episodi di bullismo (vittime, vittime persecutorie e bulli) presentano maggiori rischi di incorrere sia in pensieri suicidari che in tentativi di suicidio veri e propri, con una prevalenza da 3 a 5 volte maggiore degli adolescenti non coinvolti (Espelage, Holt, 2013). Anche assistere ad episodi di bullismo senza prendervi direttamente parte espone a un maggior rischio, causando nei ragazzi un senso di impotenza e di sensibilità interpersonale che aumenta la probabilità al suicidio (Rivers, Noret, 2013).

Anche per ciò che concerne il cyberbullismo, alcuni fattori sembrano fortemente correlati con l’insorgenza del fenomeno, come la depressione, l’ansia, l’autostima, i problemi di salute, le assenze da scuola e i voti ottenuti, gli stessi fattori che peraltro sono già stati individuati da molte ricerche come quelli maggiormente correlati anche con il bullismo tradizionale (Kowalski, Limber, 2013).

La relazione tra bullismo e comportamenti suicidari risulta tuttavia complessa. Molteplici fattori sembrano intervenire nella relazione: la presenza di comportamenti autolesivi durante l’anno precedente sembra essere il predittore maggiormente rilevante per la successiva comparsa di comportamenti suicidari in tutti i gruppi di soggetti coinvolti in episodi di bullismo (vittime, bulli e vittime persecutrici) (Borowski et al, 2013). Una notevole rilevanza sembrano averla anche l’abuso sessuale, la presenza di una patologia mentale ed essere scappati di casa nell’anno precedente come fattori che possono aumentare la probabilità di pensieri e comportamenti suicidiari nelle vittime e nelle vittime persecutrici, mentre per quanto concerne i bulli i fattori maggiormente correlate risultano essere l’avere assistito ad episodi di violenza in famiglia, l’abuso fisico, l’uso di sostanze come marijuana, il fumo di sigarette, stare assenti da scuola e portare un’arma a scuola (Borowski et al, 2013).

I fattori che invece risultano essere protettivi per l’insorgenza del fenomeno sono una relazione positiva con i genitori e con altri adulti, la percezione di essere tenuti in considerazione dagli insegnanti e dagli amici, risultati positivi a scuola, l’attività fisica, la percezione di sicurezza a scuola e nel vicinato (Borowski et al, 2013).

Queste ricerche ci mostrano chiaramente che c’è una relazione tra bullismo e depressione, ma che tale relazione non ha una direzione ben chiara. I ragazzi che sono vittime di bullismo diventano depressi, o gli adolescenti depressi hanno una maggiore probabilità di essere vittima di bullismo?
Una recente ricerca condotta in 168 scuole di tutta Europa si è focalizzata sullo studio di quello che abbiamo visto essere come il principale predittore di comportamenti suicidari negli adolescenti, ovvero l’autolesionismo (Klomek et al., 2016).

Secondo Plutchik (1989), quando gli adolescenti si sentono minacciati e si arrabbiano a causa di uno stimolo (ad esempio, essendo vittima di episodi di bullismo) possono reagire facendo male a se stessi o agli altri. In particolare, è stato dimostrato come la depressione trasformi gli impulsi aggressivi in violenza rivolta a se stessi, come l’autolesionismo. Non tutti gli adolescenti vittime di bullismo però finiscono per incorrere in comportamenti autolesionistici; alcuni fattori protettivi, come il sostegno di genitori e amici, può ridurre il rischio di depressione e di autolesionismo.

Nella ricerca, che fa parte del progetto SEYLE promosso dall’Unione Europea, viene valutato il rischio suicidiario di 11.110 studenti da tutta Europa attraverso un questionario autosomministrato in cui vengono indagati il loro coinvolgimento in episodi di bullismo, i comportamenti autolesivi, i fattori di rischio (sintomi di depressione e ansia, idee suicidiarie, tentativi di suicidio, solitudine, uso di alcool e droghe) e i fattori protettivi (sostegno dei genitori e dei pari, comportamenti prosociali).

Tutti i tre tipi di bullismo presi in esame (fisico, verbale, relazionale) risultano associati con la comparsa di comportamenti autolesivi, sia occasionali che ripetitivi, e gli effetti di genere non sono risultati significativi.

Per quanto riguarda la depressione, essa è apparsa correlata in particolar modo con il bullismo di tipo verbale e relazionale ed anche con una maggiore probabilità di comparsa di comportamenti autolesionistici, mentre non appare significativa la correlazione con il bullismo fisico. La comparsa di sintomi ansiosi appare invece più probabile solo in presenza di un bullismo di tipo relazionale.
Tra i fattori protettivi, particolarmente significativi sono risultati il supporto dei pari e la presenza di comportamenti prosociali.

I risultati mostrano quindi che le vittime di bullismo, al pari delle vittime di abuso fisico o sessuale, sono a maggior rischio di sviluppare comportamenti autolesionistici e suicidiari e ciò sembra essere valido soprattutto per quelle forme più sottili di bullismo indiretto. L’ansia e la solitudine, in particolare, sono risultati associati soprattutto con l’autolesionismo ripetitivo e l’essere vittima di bullismo ha un effetto più significativo sui comportamenti ripetitivi che su quelli occasionali.

La depressione sembra essere un fattore mediatore significativo nella relazione tra il bullismo e l’autolesionismo, supportando l’ipotesi che le vittime di bullismo tendono ad essere più depresse e ciò le rende più vulnerabili a comportamenti di violenza autodiretta.

Il bullismo omofobico

Una parentesi a parte merita un tema di cui ultimamente si è discusso molto in relazione al bullismo e che riguarda le minoranze sessuali. Si è parlato parecchio sui media di varie notizie di cronaca relative al bullismo perpetrato nei confronti di adolescenti gay o bisessuali e dei maggiori rischi che corrono anche per quanto riguarda i comportamenti suicidiari rispetto ai coetanei eterosessuali.

In particolare, il bullismo omofobico si caraterizza come un insieme di comportamenti finalizzati a far sentire i giovani adolescenti isolati o non accettati a causa del loro orientamento sessuale, della loro identità di genere e del modo di esprimerla. Secondo uno studio del 2013, la maggioranza (74,1%) dei giovani appartenenti alle minoranze sessuali e di genere rivelano di essere stati vittima di molestie nell’ultimo anno a causa del loro orientamento sessuale. Alla luce del clima che trovano a scuola e che percepiscono come ostile, molti di questi adolescenti si sono sentiti poco sicuri sia a causa del loro orientamento che della loro identità di genere (Kosciw et al., 2014).

Durante il periodo dell’adolescenza in particolare, il bullismo perpetrato a scuola è particolarmente rilevante per chi lo subisce a causa della grande quantità di tempo trascorsa in classe, della forte influenza che hanno i pari in questa età e dell’ansia sociale che spesso ne deriva (Storch, 2004).
In aggiunta al contesto scolastico, i giovani appertenenti alle minoranze sessuali possono essere a rischio bullismo anche in altri ambienti. Gli studi riportano che sono più a rischio di essere vittima di cyberbullismo rispetto ai pari eterosessuali e che sono maggiormente esposti all’abuso sessuale e di violenza all’interno del rapporto di coppia (Collier, 2013).

Un recente studio (Bouris et al., 2016) indaga l’influenza di sette fattori (essere minacciati o feriti con un’arma a scuola, essere vittima di bullismo a scuola, subire molestie a scuola, avere saltato scuola, bullismo elettronico, violenza del partner, abuso sessuale) sui pensieri e i comportamenti suicidiari di un campione di adolescenti americani, focalizzandosi in particolare sulle minoranze sessuali.

La ricerca ha utilizzato il Chicago Youth Risk Behavior, un questionario autosomministrato che è stato sottoposto a 1907 studenti di alcune scuole superiori di Chicago. Circa il 13% dei ragazzi sono stati classificati come appartenenti alle minoranze sessuali. Questo sottogruppo ha riportato, rispetto ai pari eterosessuali, più alti tassi di ideazione suicidiaria (27,95% vs 13,64%), di pianificazione del suicidio (22,78% vs 13,64%) e almeno un tentativo di suicidio (29,92% vs 12,43%) nell’anno precedente. Una maggiore percentuale di giovani omosessuali riporta inoltre di essere stato vittima di molestie a scuola e di cyberbullismo, di avere saltato scuola e di avere subito abusi sessuali. I due fattori che sono risultati maggiormente correlati con un maggior rischio di tentativi di suicidio sono l’essere stati minacciati con un’arma ed essere stati vittima di molestie a sfondo omofobico a scuola.

La ricerca mette in luce inoltre anche la scarsa sicurezza percepita a scuola da questi giovani: molti saltano le lezioni a causa del timore per la loro sicurezza personale e per evitare le molestie e il bullismo. Saltare scuola è uno dei maggiori indicatori di disinvestimento scolastico e sul lungo periodo può avere effetti negativi sull’educazione di questi ragazzi, molto più inclini al drop out rispetto ai loro pari.

Si avverte quindi l’esigenza di aumentare gli interventi a scuola volti alla prevenzione del bullismo omofobico, poichè nelle scuole in cui tali programmi sono stati implementati, i risultati si sono mostrati positivi nel ridurre il bullismo e l’abuso verso le minoranze sessuali (Bouris, 2016).

 

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