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L’ angelo della morte: identikit di una serial killer

L' angelo della morte inizia di solito la sua carriera in scenari come case di cura, ospedali e altri luoghi dove la morte è un evento regolare

Di Angela Ganci

Pubblicato il 27 Ott. 2016

Le chiamano Angeli della Morte, donne criminali il cui profilo psicologico è stato variamente studiato in letteratura, l’ angelo della morte inizia di solito la sua carriera poco dopo i vent’anni in scenari circoscritti come case di cura, ospedali e altri luoghi dove la morte è un evento regolare.

 

Nell’Ottobre del 2014 Daniela Poggiali, l’infermiera killer di Lugo di Romagna, finisce in carcere per aver ucciso, secondo l’accusa, 93 pazienti, a cui avrebbe iniettato del cloruro di potassio in dosi letali. Secondo il pm il movente dei delitti era ben lungi da motivazioni riconducibili, per esempio, al porre termine alle sofferenze dei malati in fase terminale, ma piuttosto legato al non dover accudire pazienti “difficili” (Corriere della Sera, 2014).

Un caso non isolato nel panorama italiano: Sonya Caleffi, altra infermiera killer, viene condannata nel luglio 2006 a venti anni di carcere per l’omicidio di cinque pazienti e il tentato omicidio di altri due avvenuti nell’ospedale di Lecco.

Le chiamano Angeli della Morte, donne criminali il cui profilo psicologico è stato variamente studiato in letteratura. L’ angelo della morte inizia di solito la sua carriera poco dopo i vent’anni in scenari circoscritti come case di cura, ospedali e altri luoghi dove la morte è un evento regolare. Luoghi dove gli omicidi possono essere facilmente dissimulati, e dove l’omicida gode del potere di decidere chi vivrà e chi morirà (oltre che della stima di medici e familiari), e ha facile accesso a ogni genere di attrezzatura adibita a mantenere in vita (o a dare la morte). In tali contesti è facile procurarsi l’arma per uccidere: interrompere il flusso di ossigeno, raddoppiare la dose, aggiungere un farmaco (Lucarelli e Picozzi, 2003).

 

L’ angelo della morte: come agisce?

Si tratta di comportamenti con forte componente ritualistica, che ripropongono identiche modalità nella loro esecuzione, in una sorta di oscura celebrazione che costituisce la firma dell’assassino, e che gli consente di trarre piacere dall’atto in sé, conferendo all’azione omicidiaria un carattere piacevole (egosintonico) a cui l’ angelo della morte difficilmente è disposto a rinunciare. Una condizione che si somma alla generale efficacia dei mezzi adoperati, come l’iniezione in quanto azione ospedaliera di routine, che spiega il lasso temporale consistente che può intercorrere dalla commissione dei primi omicidi alla scoperta degli stessi (L’altro diritto, 2016).

Nel caso delle infermiere killer, il ciclo dei delitti è di otto nell’arco di uno-due anni, anche se può arrivare a più di sedici, se l’assassina è nomade. La breve durata della sua carriera di norma può in alcuni casi spiegarsi dalla tendenza a vantarsi delle proprie azioni (De Pasquali, 2002).

Il potere di vita e di morte è una forte motivazione alla base dei delitti dell’ angelo della morte, ma non l’unico: gli angeli della morte vogliono essere le prime a dare l’allarme in reparto, a farsi trovare pronte nello scompiglio generale, anche a costo di provocare la morte degli assistiti, soddisfacendo così il proprio narcisismo.

Un bisogno di attrarre l’attenzione che ripercorre spesso un passato di bambine trascurate e insoddisfatte di sé che prepara il terreno alla futura carriera criminale. Per esempio, il passato di Beverley Gail Allitt, infermiera inglese pediatrica accusata di aver ucciso quattro bambini e feriti altri cinque, nel 1991 a Grantham, fu quello di bambina sovrappeso e autolesionistica, ossessionata dal bisogno di attenzioni. Ciò la spingeva in reparto a essere sempre in prima linea e prodiga nei confronti delle sue piccole vittime (Particelli, 2010).

La scelta delle vittime

La scelta delle vittime poggia spesso su criteri del tutto soggettivi, agghiaccianti. Come nel caso di Waltraud Wagner, infermiera dell’ospedale Lainz di Vienna, che rese noto nel processo a suo carico per l’uccisione di 39 pazienti, la modalità della scelta: quelli che russavano, che bagnavano le lenzuola, che rifiutavano di prendere le medicine o che facevano semplicemente innervosire le infermiere (Particelli, 2010).

Intenzioni di dominio su persone deboli, indifese, chiaramente espresse dalla stessa Wagner che confesserà in carcere: “Quelli che mi stavano sui nervi venivano spediti direttamente in un letto libero del buon Dio. Naturalmente i pazienti resistevano, ma noi eravamo più forti: potevamo decidere se quei vecchi matusalemme potevano vivere o morire. In ogni caso il loro biglietto per l’aldilà era scaduto” (Lucarelli e Picozzi, 2003).

Storie che toccano nel profondo, manifestazioni del male, motivazioni inafferrabili alla comune logica:

Parlando di serial killer noi abbiamo la sensazione che la più pura espressione del male si stia palesando. Il male privo di qualsiasi giustificazione. Qualsiasi motivazione appare, in un certo senso, liberatoria. In più, a sollecitare l’interesse, c’è l’innocenza della vittima, che, di solito, è debole ed indifesa. In quell’innocenza ci s’identifica tutti.

(Bruno e Marrazzi, 2000).

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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