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L’efficacia della Schema Therapy e il problema dell’adesione ai protocolli per la CBT

Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale: il 46eismo Congresso della Società Europea a Stoccolma 

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 04 Set. 2016

La seconda giornata del congresso EABCT 2016

EABCT 2016

Meno celebrativa della prima, questa seconda giornata del 46esimo congresso della società europea delle terapie comportamentali e cognitive (EABCT, European Association for Behavioural and Cognitive Therapies). Meno celebrativa e quindi meno necrofila, anzi vitale e perfino aggressiva e vogliosa di nuove conquiste. La terapia cognitivo-comportamentale (Cognitive Behavioural Therapy, CBT) dopo essersi congratulata con se stessa, ha iniziato a mostrare le sue forze.

 

La schema therapy per i disturbi di personalità

Era tempo, l’eccesso di complimenti stava diventando sospetto e difensivo. La giornata è iniziata con Arnout Arnzt, che ha presentato i più recenti dati di efficacia fortissimi della Schema Therapy per i disturbi di personalità. Dati meta-analitici e di “survival analysis” rigorosi, ma non chiedetemi chiarimenti sulla statistica. Da questi dati la Schema Therapy esce fuori nettamente vincitrice e in grado di lasciarsi alle spalle i concorrenti. Ovvero la Dialectical Behavior Therapy (DBT) di Marsha Linehan e la Mentalization Based Therapy (MBT) di Peter Fonagy. Nelle parole di Arnzt è un regolamento di conti definitivo, una candidatura finale della Schema Therapy al ruolo di trattamento di elezione per i disturbi di personalità.

Non basta. La Schema Therapy non solo invoca il primato, ma evidentemente proclama la sua appartenenza alla corrente standard della CBT. A differenza di altre terapie derivate dalla CBT e definite di terza corrente, la Schema Therapy non si è separata dalla CBT. E nemmeno, che io sappia, è stata oggetto di troppe manovre di rigetto. Arnzt e gli altri esponenti della Schema Therapy continuano a partecipare ai congressi cognitivi e a mostrare un senso di appartenenza al mondo CBT. Questo consente alla CBT di avocare a sé il successo della Schema Therapy. Ed è un dato scientifico e politico importante, perché in tal modo la CBT può avanzare la sua candidatura a psicoterapia quasi universale, applicabile ai due principali campi diagnostici dove le psicoterapie rivaleggiano e operano: disturbi d’ansia e disturbi di personalità.

I dati di Arnzt, lo ripeto, sembrano davvero forti. Come numerosità dei campioni e degli studi, come aderenza e fedeltà di applicazione dei protocolli e come rigorosità dei metodi. D’ora in poi chiunque vorrà trattare i disturbi di personalità dovrà tenere conto che la Schema Therapy potrebbe diventare presto il golden standard. È un dato scientifico, ma anche politico ed economico.

 

Il programma IAPT e l’adesione ai protocolli

E di politica ed economia ha parlato David Clark, che ha raccontato come è avvenuto che la CBT è stata adottata dal servizio sanitario pubblico inglese come trattamento di elezione per i disturbi d’ansia e depressione finanziato dallo stato sociale. È il cosiddetto programma IAPT, Improving Access to Psychological Treatment. Sembrerebbe un nuovo episodio celebrativo, ma non è stato così. Clark non è stato futilmente aneddotico, ma ha raccontato una storia importante e istruttiva. Ovvero come lui, entrando in contatto con la politica, abbia dovuto abbandonare la sua visione naif dell’avanzamento scientifico e della diffusione del sapere. Di come, di fronte alla possibilità di erogare concretamente psicoterapia nel servizio pubblico, i suoi libri e i suoi articoli fossero del tutto insufficienti. Assicurarsi che migliaia di operatori fossero capaci di eseguire correttamente i protocolli, protocolli pagati dallo Stato, si dimostrava uno sforzo erculeo. Illudersi che fosse sufficiente scrivere tutto su alcuni testi che poi tutti avrebbero letto, imparato e applicato fedelmente era illusorio in maniera quasi infantile. Anzi, sicuramente infantile. Occorreva invece organizzare percorsi di apprendimento e addestramento rigidi e controllati, in cui si imparavano poche cose e le si ripetevano decine di volte finché non venivano bene. L’apprendimento teorico dai libri di centinaia di nozioni astratte era inutile. Anzi controproducente. Come suonare la musica è fatto più di quotidiane e ripetitive esercitazioni sullo strumento che di studi teorici di armonia, così doveva essere per l’applicazione dei protocolli.

E così è avvenuto che la CBT diventasse davvero standard e protocollata, definitivamente e sul serio. E questo è accaduto da poco, da molto meno tempo di quanto pensiamo. Dal 2005 quando è iniziato il programma IAPT e non dagli anni ’80, come pensavamo. Negli anni ’80 furono solo pubblicati i primi protocolli, che poi erano applicati solo nelle università, negli studi sperimentali che li testavano, ma non nella realtà clinica a cui erano destinati.

Il fatto curioso, però, è che questa applicazione ora avviene solo nel servizio sanitario inglese. Al di fuori la CBT è ancora applicata in modalità naif. E questo è vero non solo per paesi tradizionalmente giudicati meno aggiornati, come i paesi mediterranei che usualmente immaginiamo arrancare nelle retrovie, ma anche in paesi ritenuti avanzati, come i paesi scandinavi. Che però in questo caso non sono avanzati affatto. Ognuno ha imparato la CBT sostanzialmente dai libri e poi in ogni paese la si applica con regole locali e autarchiche. Certo, lo si fa più rigorosamente in alcuni paesi e più lassamente in altri; ma nel primo caso si tratta comunque di una rigorosità personale, autarchica, auto-referenziale e non controllata dai centri dove sono stati elaborati questi protocolli. Che sono i centri inglesi.

Insomma, siamo ancora tutti naif. E questo pone la CBT in una posizione davvero paradossale. Mentre molte nuove terapie, come l’EMDR, la stessa Schema Therapy o la Sensorimotor sono consapevoli del problema dell’aderenza e hanno fondato istituti privati che erogano formazione proceduralizzata e formalizzata in maniera replicabile e controllabile, la CBT non ha un suo centro madre che eroghi l’insegnamento dei suoi protocolli più efficaci. Certo, c’è l’Istituto Beck in USA, ma così dimentichiamo che i protocolli CBT più efficaci sono quelli inglesi del gruppo Clark di Oxford. Protocolli beckiani, certo, ma non di Beck. Quindi non propriamente insegnati all’Istituto Beck, anche se sicuramente molto simili.

Queste considerazioni naturalmente non finiscono qui e meritano ulteriori approfondimenti. Ne parleremo ancora.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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