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L’uso del role playing nella psicoterapia metacognitiva interpersonale

Il role playing consiste nel richiedere a una singola persona o a più persone, di assumere, per un tempo limitato, un ruolo secondo un canovaccio

Di Antonella Centonze

Pubblicato il 26 Lug. 2016

Aggiornato il 09 Apr. 2018 11:15

Immaginare di poter parlare per conto di qualcun altro o di essere se stessi ma intenti in una nuova modalità comunicativa ovvero di immedesimarsi nel proprio partner intento in una discussione con voi, sono alcuni degli scopi che la tecnica del role playing può realizzare. Se questo poi avviene in terapia, in una relazione terapeutica rassicurante e protettiva, si avrà la possibilità di esplorare la propria mente, la mente dell’altro, il proprio schema e il ciclo interpersonale che ne deriva.

 

[blockquote style=”1″]Come si può conoscere se stessi? Non mai attraverso la contemplazione, bensì attraverso l’agire.[/blockquote] Goethe, Massime e riflessioni.

Il role-playing: introduzione

Il role playing, cioè gioco di ruolo, è uno strumento di larga applicazione in contesti che possono variare dalla psicoterapia individuale, alla terapia di coppia, all’intervento in setting di gruppo, alla formazione psicosociale. La tecnica consiste nel richiedere a una singola persona o a più persone, di assumere, per un tempo limitato, un ruolo secondo un canovaccio precedentemente stabilito; si parla di canovaccio perché proprio come nella commedia dell’arte gli attori, sulla base di alcune indicazioni generali sul proprio ruolo, improvvisavano sulla scena.

Recitare una situazione, in modalità “come se”, è una caratteristica del gioco infantile: immaginiamo due bimbe che giocano “alla scuola”, una fa la maestra e l’altra fa l’alunna. Entrambe impersonano un ruolo, la bimba-maestra fa emergere aspetti del comportamento raccolti dalle maestre con cui ha interagito, creando una sorta di prototipo della maestra che si basa sulla rappresentazione che la piccola si è costruita nel tempo, fatta di pezzi di interazioni reali ma anche di aspetti della storia personale (cioè che idea ho di come l’altro è con me). Lo stesso si dirà per l’altra bimba che fa l’alunna, ruolo in cui la bimba farà se stessa, ma anche le sue compagne, mostrando aspetti di sé, di come fa, quando sta a scuola. Un genitore, a osservare il gioco, forse scoprirebbe nuove cose di come il proprio figlio è nel contesto scolastico che, ad esempio, non vedrebbe in una tipica situazione casalinga.

Il role-playing: la storia

Ripercorrendone la storia, il role playing trae le sue origini all’interno dello psicodramma sviluppato dallo psichiatra romeno J.L. Moreno, il quale si ispirò al “teatro della spontaneità” di cui apprezzava il valore catartico e liberatorio. Rivivere drammaticamente una situazione del passato, ricordata in modo problematico dal paziente, avviando un confronto con uno o altri soggetti che agiscono altri ruoli, mostrò a Moreno il suo valore terapeutico.

L’obiettivo del role playing nello psicodramma è far emergere stati d’animo e farli rivivere attraverso la recitazione di atteggiamenti o comportamenti. La scena si svolge generalmente davanti a degli osservatori e al termine della stessa viene avviato un commento di quanto ciascuno ha provato e osservato negli altri. Sebbene si tratti di situazioni in cui, a differenza della vita reale, vi sono una o più persone che osservano, alterando ovviamente il setting, già di per sé “simulato”, tuttavia il vantaggio è proprio la possibilità di affrontare, in simulazione, una situazione realistica, potenzialmente ansiogena, con la conseguente flessibilità e tranquillità determinata da un contesto protetto.

I campi di applicazione del role-playing

In questo breve scritto cercherò di evidenziare i possibili campi di applicazione del role playing, le sue diverse funzioni e l’uso che se ne fa in Terapia Metacognitiva Interpersonale in relazione alle diverse fasi del trattamento e ai diversi scopi. Si possono, infatti, creare diversi tipi di canovacci in seduta, finalizzati all’incremento della consapevolezza di sé o analogamente si può agire un role playing con lo scopo di ampliare la teoria della mente dell’altro. Inoltre, nelle fasi della terapia in cui si avvia la progettazione del cambiamento, il role playing può aiutare terapeuta e paziente nell’esplorazione, riconoscimento ed emersione delle parti sane del paziente oltre che per il rafforzamento della mastery per problemi relazionali.

Possibili funzioni del role playing

Gli esempi di seguito riportati, sono stralci di sedute sia individuali sia di coppia condotte secondo il modello della Terapia Metacognitiva Interpersonale, in cui si cercherà di evidenziare, appunto, lo scopo terapeutico che si vuole raggiungere e il possibile contributo che il role playing può fornire. Nel caso seguente, il role playing è usato per la ricostruzione degli schemi disfunzionali del paziente e per incrementare la sua consapevolezza delle situazioni in cui questi schemi si attivano. Oltre a ciò, la scena, per come è giocata al secondo “ciak”, rappresenta un tentativo per promuovere la mastery del paziente verso il problema portato.

Giorgia, 40 anni , difficoltà coniugali. Il marito è descritto come molto esuberante e prepotente, verso cui lei si è sempre sentita in una posizione d’inferiorità: Giorgia afferma di portare avanti con molta difficoltà le sue opinioni, al punto tale di aver pensato di non averne affatto e facendo proprie quelle di lui. Giorgia sta diventando consapevole del suo schema basato sul bisogno di approvazione, ma sente affiorare l’esigenza di affermare alcune sue idee e richieste, e, se l’altro è in disaccordo, non sa come fare. Un giorno ci prova, ma va male. Lui le parla sopra, lei si lascia schiacciare. Giorgia racconta questo in seduta. Un episodio come questo è un ottimo canovaccio per un role playing. Paziente e terapeuta possono assegnarsi i ruoli: il terapeuta può rappresentare l’altro, il paziente fa se stesso. Tutto ciò per analizzare la sua reazione. Perciò Giorgia fa se stessa, il terapeuta, recuperati da Giorgia elementi della “sceneggiatura”, ricopre il ruolo del marito. Giorgia prova a dire al marito la sua opinione e cosa pensa su una certa situazione. Inizialmente questa operazione le risulta difficile. In un primo momento farfuglia qualcosa circa il figlio e su come vorrebbe gestirlo. Il marito (il terapeuta) a quel punto parla e impone la sua idea. Lei si ferma. Il role playing finisce. Paziente e terapeuta riflettono su cosa ha provato Giorgia in quel momento, Giorgia riporta un senso di costrizione, di ansia. Le viene in mente sua madre che subiva l’autorità del padre. Emerge un’ immagine di sé di poco valore, debole e che si fa sopraffare dagli altri, uomini in particolare. Giorgia si arrabbia e piange. Il terapeuta propone a Giorgia di rifare la stessa scena, con questa nuova consapevolezza. Arrivati al momento in cui prima si era bloccata, Giorgia cambia registro e dice al marito con chiarezza e con calma cosa pensa in merito alla decisione che devono prendere ed aggiunge, per il marito, anche informazioni su di sé: “Non riesco facilmente a dirti la mia opinione perché mi sono sempre bloccata. Ho capito che è una mia difficoltà, penso di non avere niente di giusto da dire. Però sto iniziando a capire che non è così. Per favore, fammi finire di parlare.”

Ci sono casi in cui, invece, far assumere il ruolo dell’altro, in terapia, permette di far emergere la rappresentazione che abbiamo di lui, ci permette di vederla nelle sue articolazioni, ci permette di relativizzarla e di pensare ad essa come ad una nostra idea che abbiamo dell’altro, ci permette anche di immaginare le cose viste dalla sua prospettiva per capire di più i suoi stati mentali. In questa modalità il paziente rappresenta un’altra persona, coinvolta in un episodio con lui ed il role playing assolve alla funzione di ampliamento della teoria della mente dell’altro.

Elisa, 30 anni, rapporto intenso e complicato con suo padre. Il padre è descritto come ansioso, iperprotettivo, anche a causa del fatto che la mamma di Elisa è scomparsa prematuramente quando lei aveva 6 anni. Durante una seduta, Elisa, racconta di quanto fosse difficile avere una comunicazione autentica con suo padre e quanto fosse per lei difficile appoggiarsi a lui essendo sempre stata intenta a proteggerlo, a non “farlo preoccupare”. Pertanto Elisa non ha mai raccontato a lui alcuni trascorsi della sua adolescenza, sebbene lui si fosse mostrato interessato a lei e ai suoi problemi, presenti e passati. Una volta il padre le ha chiesto qualcosa, lei ha divagato e ha tagliato corto. E’ stata un’occasione perduta, commenta in seduta. Si decide di fare un role playing: Elisa gioca il ruolo del padre, la terapeuta fa Elisa, basandosi sull’episodio appena riportato e su fatti che Elisa le racconta. Elisa (recitata dalla terapeuta) racconta al padre cosa ha fatto da ragazza, alcuni episodi anche difficili da raccontare. Il padre (recitato da Elisa) ha un atteggiamento preoccupato, ansioso. Ma, man mano che il dialogo procede, il padre evolve verso un personaggio non ansiogeno, comprensivo e che spiega le sue ragioni dicendo: “Cerca di capire Elisa, io ho sempre avuto paura di non essere un bravo padre per te e tua sorella, ho sempre avuto paura di non riuscire a farvi crescere bene e talvolta sono stato oppressivo e rigido”. Al termine del role playing, Elisa, uscita dal ruolo del padre, piangendo, commenta dicendo che: -la sua idea rigida e stereotipata intanto è una idea che appartiene ad Elisa: “l’ho recitato nel modo in cui io lo vedo”; -nel mettersi nella sua prospettiva l’immagine del padre si è evoluta ed articolata, comprendendo meglio le ragioni di alcuni suoi comportamenti e anche delle sue difficoltà -la situazione così rappresentata appare meno minacciosa ed affrontabile, infatti Elisa dice di sentirsi pronta a provare a parlare diversamente con lui.

Quest’ultimo caso è tratto da una terapia di coppia e il role playing in questa situazione viene giocato dai due partner in terapia, effettuando una inversione di ruolo. Anche qui, come nelle precedenti applicazioni, il role playing permette di aumentare la consapevolezza di sé e la consapevolezza della prospettiva dell’altro, facilitando inoltre l’emergere delle parti sane della relazione di coppia.

Inoltre, se consideriamo che lo scopo terapeutico principale nella TMI per le coppie è quello di incrementare per entrambi i partner la consapevolezza di quanto lo schema disfunzionale individuale contribuisca al mantenimento dello schema disfunzionale dell’altro, concorrendo alla creazione di cicli interpesonali disfunzionali, il role playing anche in questo caso ci fornisce un utile supporto.

Oscar e Alba, sono una giovane coppia che chiede una terapia per l’elevato livello di conflittualità che caratterizza la loro relazione. In una fase iniziale si concorda quale obiettivo terapeutico quello di lavorare sulla comunicazione e sul problem solving. I due partner portano in seduta un episodio di litigio in merito al progetto di acquistare una casa insieme. Lui vuole aspettare che il conflitto di coppia scenda, prima di fare un passo importante, lei sostiene che fare un passo importante abbasserebbe la conflittualità, almeno da parte sua. E’ evidente il circolo vizioso. Dopo il racconto dell’episodio, si decide di effettuare un role playing, facendo assumere a ciascuno il ruolo dell’altro e chiedendo loro di discutere della stessa questione. Emerge subito un’attenuazione della distanza tra le due posizioni: Lei (facendo lui) dice: “Io ho bisogno di tranquillità, io voglio fare progetti con te, forse per te è importante avere un segnale forte del nostro legame, vediamo come fare”. Lui (recitando lei): “Il mio scopo non è metterti pressioni o costringerti, ma per me quello sarebbe un punto importante, sono sicura che i nostri conflitti si attenuerebbero molto”. Entrambi poi, al termine del role playing hanno ragionato ed hanno stabilito di iniziare da subito a guardare in giro per una casa da comprare, per poi fare questo passo effettivamente dopo un po’ di mesi, dandosi il tempo di risolvere alcuni loro problemi. Il role playing in questo caso, seppur finalizzato al problem solving, è stato l’occasione per avviare una ricostruzione e presa di consapevolezza (dilungatasi in numerose sedute successive) degli schemi individuali e di quelli del partner e di come ciascuno contribuisse al mantenimento dello schema disfunzionale dell’altro. La terapia di contro ha iniziato a occuparsi di come poter invertire la tendenza del ciclo disfunzionale tra i due partner.

In conclusione

Il role playing ha una potenza euristica e terapeutica notevole, ma va usato con padronanza, valutando l’opportunità del suo uso, caso per caso. Prima dell’avvio è opportuno chiedere al paziente di prepararsi, di concentrarsi. Il setting dell’esercizio deve essere molto chiaro ed anche ben delimitato nel mandato, nel tempo e nelle modalità. Non con tutti i pazienti può avere lo stesso effetto e non è sempre efficace, le prime volte: in alcuni casi si può riscontrare una certa difficoltà ad assumere un ruolo diverso dal proprio e su questo serve un po’ di esercizio anche per il paziente che imparerà a usare questa tecnica dopo un po’.

Ad ogni modo, in tutti i casi dubbi, valgono gli accorgimenti che ciascun terapeuta esperto usa per valutare l’opportunità di proporre le varie tecniche a sua disposizione: la valutazione del grado e della solidità dell’alleanza terapeutica.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Capranico S., (1997), Role playing. Manuale a uso di formatori e insegnanti, Raffaello Cortina Editori, Milano.
  • Dattilio F.M., (2013), Terapia Cognitivo Comportamentale per le coppie e le famiglie, Eclipsi, Firenze.
  • Dimaggio G., Montano A., Popolo R., Salvatore G., (2013), Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Moreno, J., (1947), Il teatro della spontaneità, Tr.it. Guaraldi Firenze, 1980.
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Terapia metacognitiva interpersonale di Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore

Psicoterapia: Il Manuale di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Dimaggio, Montano, Popolo e Salvatore (2013), Edito da Raffaello Cortina Editore.

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