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Quali sono le capacità di ragionamento morale nella psicopatia?

Psicopatia: Alcuni studi sullo sviluppo morale degli psicopatici hanno dimostrato come le abilità di ragionamento morale siano più scarse degli altri

Di Roberta Cattani

Pubblicato il 01 Lug. 2016

Aggiornato il 10 Ott. 2019 11:39

Psicopatia: partendo dal presupposto che nei soggetti psicopatici risulti compromesso lo sviluppo di una normale socializzazione morale, un certo numero di studi si sono occupati di testare l’ipotesi per cui gli individui con psicopatia mancherebbero di adeguate capacità di ragionamento morale.

Roberta Cattani, OPEN SCHOOL PTCR MILANO

Il paradigma della moralità di Kohlberg

Uno dei paradigmi più usati per accertare le abilità di giudizio morale è quello di Kohlberg, il quale ha sviluppato la sua tecnica nell’ambito della psicologia evolutiva, trovando applicazione soprattutto nella valutazione del livello di sviluppo morale dei bambini (Colby and Kohlberg, 1987; Kohlberg, 1969).
Tale metodo prevede che ai partecipanti vengano descritte delle situazioni di dilemma morale, ossia condizioni in cui sembra impossibile soddisfare nello stesso tempo due o più doveri mutualmente escludentisi, e venga poi chiesto di dire in che modo, secondo il loro parere, il protagonista dovrebbe agire e per quale motivo.

L’esempio più celebre di questi dilemmi morali è la vicenda di Heinz, la cui moglie è moribonda per una forma di cancro ma potrebbe essere salvata da un farmaco particolare, inventato da un farmacista della sua città. Questi però, volendo far soldi con la sua scoperta, pretende una cifra molto elevata, che Heinz non riesce a raccogliere nemmeno chiedendo in prestito denaro ai suoi conoscenti: invano chiede al farmacista di ridurre la cifra o di pagare successivamente per poter salvare la moglie e così, disperato, penetra nella farmacia e ruba il farmaco.
Una volta raccontata questa storia, si chiede allora al soggetto se Heinz abbia agito correttamente o se avrebbe dovuto comportarsi in altro modo e per quali ragioni.

Così, nel caso ad esempio in cui il soggetto risponda che Heinz non avrebbe dovuto rubare il farmaco perché ciò è contro la legge, il ricercatore può esplorare con una serie di domande il modo in cui il soggetto considera la legge, per esempio se per lui si tratta di una norma alla quale bisogna obbedire perché in caso contrario si rischia una punizione o se invece fa parte di un sistema che va rispettato in quanto tale.

Il metodo di Kohlberg analizza quindi, con una procedura che comprende un ampio ventaglio di domande, sia la struttura delle risposte, cioè il modo in cui il soggetto ragiona sulle scelte fatte e le giustifica, sia il loro contenuto, cioè il giudizio su ciò che il protagonista della vicenda dovrebbe o avrebbe dovuto fare. Ciò che più conta però ai fini della valutazione del livello di ragionamento morale non è tanto il giudizio in se stesso a favore o meno del comportamento di Heinz, quanto la complessità delle argomentazioni addotte alla propria opinione: più complessa è la risposta fornita dal partecipante, più si può considerare il suo livello di ragionamento morale elevato.

Dall’applicazione di tale paradigma alla psicopatia è così emerso che il giudizio morale di questi individui si colloca ad un livello significativamente più basso rispetto a quello dei soggetti normali del gruppo di controllo (Blasi, 1980; Campagna and Harter, 1975; Fodor, 1972, 1973; Hudgins and Prentice, 1973; Jurkovic and Prentice, 1977).

In particolare, in queste ricerche è risultato che le risposte dei soggetti psicopatici a questo paradigma hanno caratteristiche paragonabili a quelle di bambini di un’età inferiore ai dieci anni circa e collocabili quindi ad un livello di ragionamento morale cosiddetto preconvenzionale.
Kohlberg (1969) ha infatti delineato in ambito evolutivo una concettualizzazione cognitiva dello sviluppo morale, tale per cui esso procederebbe secondo una sequenza invariante di tre livelli suddivisi in totale in sei stadi, ognuno dei quali rifletterebbe a sua volta un certo livello di sviluppo cognitivo qualitativamente differente da quello precedente.

Nel primo livello, quello preconvenzionale, la motivazione sulla quale si basa la valutazione dei comportamenti è legata al rischio di ricevere una punizione e quindi all’obbedienza all’autorità: la prospettiva socio-cognitiva usata è quindi quella egocentrica, non viene cioè tenuto conto di possibili differenze nei punti di vista dai quali può essere giudicato un dilemma morale, né si considerano adeguatamente le intenzioni che determinano un comportamento, che viene invece valutato soprattutto in rapporto alle sue conseguenze sul piano punitivo.

Il livello convenzionale del ragionamento morale, invece, prevalente nel periodo che va dalla preadolescenza alla tarda adolescenza, è caratterizzato dal rispetto di norme che sono state socialmente approvate e non più dal timore per le conseguenze dell’azione individuale. In questa fase, assume allora importanza rispondere alle aspettative positive della comunità della quale si condividono i valori e progressivamente l’impegno morale si svincola dal gruppo con il quale si hanno legami affettivi, divenendo invece connesso con il proprio ruolo all’interno della società, le cui leggi devono essere rispettate in quanto assicurano l’ordine sociale.

Da ultimo, quando le norme morali vanno al di là della società nella quale si vive e diventano legate ad un sistema di principi astratti e di valori universali, si ritiene allora che il soggetto abbia raggiunto l’ultimo e più evoluto livello di ragionamento morale, quello postconvenzionale: una volta raggiunta questa maturità, l’individuo segue principi etici universali che possono non essere sempre in accordo con le leggi, ma dei quali tuttavia ognuno risponde alla propria coscienza.

La moralità nella psicopatia

Kohlberg (1958) per primo trovò che ragazzi aventi storie di antisocialità usavano in modo consistente ragionamenti morali di tipo preconvenzionale, suggerendo quindi l’idea che fattori esperienziali e ambientali negativi potessero contribuire a determinare un arresto dello sviluppo morale a livelli più immaturi della norma.

L’ipotesi che l’arresto a forme di giudizio morale preconvenzionali sia correlato alla manifestazione di condotte devianti ha trovato evidenza clinica anche in relazione alla personalità psicopatica.

In uno studio di Campagna e Harter (1975) è stata testata tale relazione, esaminando le possibili differenze di ragionamento morale tra ragazzi psicopatici e non: ai partecipanti sono state condotte delle interviste basate sulla tecnica di Kohlberg, proponendo delle situazioni di conflitto morale e chiedendo di fornire la soluzione per loro più adeguata.

I risultati di queste interviste hanno così confermato una minore maturità di ragionamento morale nei soggetti con psicopatia rispetto a quelli di controllo, a parità di età mentale. Mentre infatti il gruppo psicopatico manifestava una significativa prevalenza di risposte riferibili al livello preconvenzionale di giudizio morale, il gruppo normale si collocava più stabilmente su forme di pensiero convenzionale adeguate per l’età dei soggetti. Ciò significa che mentre normalmente i ragazzi dell’età testata iniziano ad acquisire il senso morale di un impegno che va al di là della realtà individuale e che si colloca entro un contesto sociale richiedente l’adeguamento a norme comuni, invece i soggetti psicopatici tendono ad agire e a giudicare i comportamenti altrui secondo un orientamento individualistico, tenendo cioè conto prevalentemente delle proprie esigenze e dei benefici o dei rischi personali in cui incorrono: nel caso del dilemma di Heinz, la valutazione della bontà del suo comportamento è legata soprattutto al rischio di finire in prigione o di incorrere in guai o in disagi con la giustizia così come, quando viene giustificato il furto, una ragione addotta con frequenza è il biasimo che potrebbe derivare dagli altri per aver lasciato morire la moglie. Solamente individui con un livello di giudizio morale più maturo riconoscono che se da un lato Heinz può essere giustificato nel suo furto, anche il farmacista ha diritto di guadagnare con la sua scoperta, ritenendo quindi che Heinz, pur avendo il dovere di salvare la moglie, ha anche il dovere di sottostare ad un’eventuale condanna e di rispettare la legge indipendentemente dalle circostanze e dai sentimenti o altrimenti non vi sarebbe civiltà.

La relazione tra sviluppo cognitivo e morale nella psicopatia

Una spiegazione che è stata avanzata per giustificare le differenze di ragionamento morale riscontrate tra soggetti psicopatici e non è quella che i due gruppi funzionino secondo diversi livelli di sviluppo cognitivo ed in particolare secondo forme più immature nel primo caso rispetto al secondo.
L’approccio di Kohlberg allo studio dello sviluppo morale prevede infatti una considerazione centrale dei processi di tipo cognitivo, proponendo un parallelismo fondamentale fra gli stadi dello sviluppo intellettivo e quelli dello sviluppo del pensiero morale.
In questa prospettiva, la maturazione di strutture cognitive sempre più complesse viene considerata una condizione necessaria per l’emergere di livelli morali sempre più avanzati: così un individuo che ad esempio non abbia superato lo stadio delle operazioni concrete potrà raggiungere solo le prime fasi del giudizio morale.

A conferma dell’esistenza di una relazione tra le scarse capacità morali rilevate nei soggetti psicopatici ed una corrispettiva immaturità cognitiva, nello studio di Campagna e Harter (1975) sono stati testati i partecipanti con la Wechsler Intelligence Scale for Children, con il risultato che, all’interno di ciascuno dei due gruppi, i ragazzi con migliori punteggi di intelligenza cognitiva manifestavano anche più elevati livelli di ragionamento morale e viceversa. In particolare, i soggetti psicopatici risultavano avere punteggi significativamente più bassi dei controlli a tutti e sei i subtest verbali della scala, riflettendo una generale carenza nelle abilità di concetto, di astrazione e di simbolizzazione.

Il fatto quindi che i ragazzi risultati meno intelligenti ad una valutazione cognitiva fossero anche quelli con maggiori difficoltà di natura morale ha supportato l’idea di un fattore di tipo cognitivo alla base dello sviluppo morale e di una carenza in entrambe le funzioni negli individui con psicopatia.
Anche in una ricerca di Jurkovic e Prentice (1977) sono stati riscontrati limiti in compiti di pensiero operatorio formale, circoscritti in modo specifico ad individui psicopatici posti a confronto con un gruppo di delinquenti nevrotici e con soggetti normali di controllo.

Partendo dall’ipotesi che i processi cognitivi mediassero le differenze intergruppali rilevate nelle prove di ragionamento morale, nello studio sono stati quindi indagati tali meccanismi all’interno di tre gruppi omogenei di delinquenti e non, uno solo dei quali caratterizzato da tratti psicopatici.
Nello specifico, ai soggetti sono stati somministrati compiti che, per essere risolti correttamente, richiedevano un adeguato utilizzo di forme di pensiero operatorio formale: in tali prove, i soggetti psicopatici sono risultati significativamente meno abili nel portare a termine con successo gli obiettivi assegnati, confermando una loro difficoltà a servirsi di strumenti cognitivi appropriati per l’età, a differenza sia del gruppo di delinquenti nevrotici che di quello dei soggetti normali, i quali non hanno invece manifestato alcun problema.

Il fatto quindi che questi ultimi abbiano invece mostrato livelli tra loro analoghi di capacità sia cognitive che morali conferma le difficoltà in questione come caratteristiche specifiche del disturbo di personalità psicopatico e non dell’antisocialità in generale: alla luce di tali dati, sembrerebbe dunque plausibile ritenere che il comportamento deviante grave sia più strettamente associato a modalità primitive di ragionamento morale ed intellettivo, a differenza di forme di devianza più lievi che dipenderebbero invece da un insieme eterogeneo di variabili sia temperamentali che ambientali.

La conferma di una correlazione positiva tra sviluppo cognitivo e sviluppo morale e la loro simultanea compromissione negli individui psicopatici sembrerebbe allora fornire una spiegazione del motivo per cui essi mancano di rimorso e senso di colpa, nei termini di un’incapacità primariamente intellettiva a tenere adeguatamente in considerazione la prospettiva altrui, nonché a maturare un sistema di principi astratti e di valori universali, muovendosi invece prevalentemente sulla base di valutazioni egocentriche, autocentrate e concrete dei comportamenti.

La prospettiva cognitivo-evoluzionista della psicopatia

Esistono quindi un certo numero di studi che supportano una concettualizzazione della psicopatia nei termini di un approccio cognitivista, attribuendo a questo tipo di processi un ruolo primario e soprattutto necessario nel consentire una normale socializzazione morale e ritenendoli invece disfunzionali negli individui psicopatici.

Entro tale prospettiva cognitivo-evolutiva si colloca anche il pensiero di Turiel, il quale ha sviluppato una delle più produttive linee di ricerca relativamente allo sviluppo morale: la teoria del dominio.
Secondo tale teoria, a partire dal terzo anno di vita si differenziano nei bambini due rispettivi ambiti concettuali: le convenzioni sociali e gli imperativi morali.

Essi sono considerati distinti per il fatto che le azioni nel dominio della moralità hanno effetti intrinseci sul benessere delle altre persone, mentre quelle che riguardano la sfera normativa non influiscono direttamente sugli altri bensì sul sistema sociale ed è per questo che trasgredire le convenzioni viene ritenuto in genere meno grave che disobbedire alle norme morali universalmente riconosciute.

Secondo Turiel quindi, nel corso della crescita e della conseguente maturazione cognitiva il bambino affina progressivamente le proprie capacità valutative, divenendo sempre più in grado di basare i propri giudizi sui due differenti domini in modo appropriato al contesto.
Il paradigma da lui ideato per indagare queste funzioni si serve dunque di un compito di distinzione tra norme morali e convenzionali (Turiel, 1983; Nucci and Nucci, 1982; Smetana, 1993).
In tale compito, vengono presentate al partecipante delle storie che descrivono episodi di trasgressione delle regole morali oppure di quelle convenzionali: le prime sono azioni definite in base alle loro conseguenze sui diritti e sul benessere delle altre persone, come ad esempio adoperare violenza fisica su qualcuno o danneggiarne i beni di proprietà, mentre le seconde sono definite sulla base delle loro ripercussioni sull’ordine sociale, come ad esempio disturbare in classe durante una lezione. Al soggetto viene quindi chiesto di dare una serie di giudizi relativamente a queste violazioni, attraverso domande del tipo: “Ritieni negativo compiere tale trasgressione oppure no?”, “Quanto negativa è questa trasgressione?”, “Perché questa trasgressione è negativa e non sarebbe da compiere?”, “Se non fossero stabilite regole al riguardo, allora sarebbe meno grave compiere questa trasgressione?”.

In questo modo, tramite un’analisi delle risposte fornite, viene testato il valore che il soggetto in questione attribuisce al rispetto della norma, che può dipendere dalla semplice paura di subire delle sanzioni, nel caso delle norme convenzionali, oppure dalla motivazione autentica e profonda a rispettare dei canoni etici interiori, nel caso delle norme morali.
Normalmente, le persone adulte distinguono correttamente i due tipi di trasgressione (Smetana, 1993; Turiel, 1983) e tale abilità è stata riscontrata anche in modo crossculturale (Nucci et al., 1983; Song et al., 1987).
Mentre quindi gli adulti normali ed i bambini a partire dal terzo anno d’età dimostrano di saper concettualizzare in modo differente le norme morali da quelle convenzionali, i risultati nel compito di Turiel ottenuti con bambini e con adulti con tendenze psicopatiche suggeriscono invece considerabili difficoltà di questi nel distinguere tra i due tipi di trasgressione e conseguentemente tra il dominio morale e quello convenzionale (Blair, 1995, 1997; Blair et al., 1995, 2001).

Essi del resto, quand’anche considerino le trasgressioni morali come più gravi rispetto a quelle convenzionali, mostrano però maggiore difficoltà a giustificare correttamente tale giudizio, non riferendosi quasi mai ai disagi causati alla vittima dalla violazione dei principi morali di rispetto dell’altra persona (Arsenio and Fleiss, 1996; Blair, 1995; Blair et al., 2001; Dunn and Hughes, 2001; Hughes and Dunn, 2000).
Tale dato suggerisce allora l’idea che i soggetti psicopatici possano conoscere intellettivamente la valenza negativa delle trasgressioni morali ma che tuttavia non la sappiano esperire come propria, non essendo infatti in grado di identificare nelle ripercussioni sulla vittima la motivazione per cui i precetti morali assumono una salienza normativa particolare.

Uno studio di Blair (2001) ha in particolare esplorato la relazione tra la prestazione di giovani individui con psicopatia in compiti di distinzione morale/convenzionale ed il loro livello di devianza comportamentale rilevato attraverso la Psychopathy Screening Device (PSD), individuando nella prima un valido predittore per la seconda.

I risultati ottenuti hanno rilevato infatti che i bambini maggiormente disturbati dal punto di vista comportamentale ed aventi quindi punteggi elevati di PSD sono anche quelli con una più scarsa capacità di distinzione tra morale e convenzione, confermando dunque una correlazione inversamente proporzionale tra le due misure.

Conclusioni: le capacità di ragionamento morale nella psicopatia

In conclusione, le analisi delle capacità di ragionamento morale in individui con psicopatia, condotte nelle ricerche proposte sia attraverso il paradigma di Kohlberg sia quello di Turiel, delineano un’immagine dell’ individuo con psicopatia come essenzialmente mancante di un’adeguata moralità e perciò insensibile ed inosservante i principi dell’etica comune. In particolare in una prospettiva cognitivo-evolutiva, si ritiene il soggetto psicopatico carente nelle funzioni meramente intellettive che dovrebbero consentirne lo sviluppo sul piano della socializzazione morale, suggerendone un arresto ad un’organizzazione cognitiva al secondo livello epistemologico di Kohlberg, ossia basata su un orientamento individualistico di tipo premio-punizione: si può dunque considerare che lo psicopatico sia guidato da valutazioni meramente egoistiche rispetto alle conseguenze dei propri comportamenti, senza saper invece tenere in debito conto quei principi interiori che normalmente impediscono l’attuazione di gravi condotte etero-lesive.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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