expand_lessAPRI WIDGET

Ipocondria: è colpa di Irene se mi sono ammalato – Ritratti

Non mi sarei mai ammalato di SLA se avessi capito in tempo tutte queste cose, e non fossi stato vittima della nostra consueta cecitá su noi stessi. 

Di Giampaolo Salvatore

Pubblicato il 18 Lug. 2016

Quando inserisco la chiave nella serratura, noto che la mano mi trema. Tanto che mi sembra di non centrare il bersaglio al primo colpo. Mi ricordo subito di stamattina, al bar. Quando ho afferrato la tazzina, era come se improvvisamente la mano avesse bisogno della mia totale attenzione per metterci la forza necessaria. E poi, portando la tazzina alla bocca, quello stesso tremore.

 

Appena aperta la porta di casa, mi investe la sigla di House of Cards sparata a tutto volume. Passo rapidamente dietro alla poltrona di mio padre, lanciandogli un ‘ciao, tutto a posto?’ a cui lui risponde con un grugnito cordiale ma definitivo. Della serie: ‘prendo volentieri atto che sei rientrato, però sta iniziando proprio ora l’episodio, quindi non rompere le palle’. Mi chiudo nella mia stanza. Mi butto sul letto e chiudo gli occhi. Li riapro dopo pochi secondi, con un’espressione sgomenta, quando una fitta crampiforme alla gamba, all’interno del polpaccio, accende nella mia mente un collegamento evidentissimo. Tremore, più inceppamento della coordinazione, più dolore crampiforme al polpaccio, uguale sclerosi laterale amiotrofica.

Mi alzo dal letto con l’esplosività muscolare di Ben Johnson strafatto di doping e mi siedo alla scrivania, davanti al pc. Non mi sfiora l’idea che basterebbe il gesto atletico istintivo che il mio corpo ha appena compiuto per escludere la malattia che ho paura di covare. In questi casi la mente se ne fotte di considerare i dati a confutazione. Quando abbiamo paura dell’imminenza della morte, tutte le informazioni, per quanto evidenti, che ci stiamo sbagliando, e che in realtà non sta succedendo niente di pericoloso, non le consideriamo proprio. Anzi, se pure ci capita di ascoltare informazioni del genere, magari perché qualcuno ce le fornisce candidamente (“scusa come fa uno che ha la sclerosi laterale amiotrofica a giocare così a calcetto?”), prederle in seria considerazione ci sembra una leggerezza da incoscienti. Insomma, quando abbiamo paura di morire se ne fa affanculo Popper e tutto il suo approccio falsificazionista. Anche perché la paura, spessissimo, non è esattamente quella di avere una malattia mortale, ma che quella malattia mortale stia iniziando, e se prendiamo sotto gamba i primi, sfumatissimi segnali vuol dire che ci condanniamo da soli a morte.

L’ipocondria non è solo questione di paura della morte. E’ anche paura di aver perso l’occasione di salvare la vita a noi stessi. Paura non solo di morire, ma di morire come dei coglioni superficiali.

Un’altra cosa. Tutto questo vale ovviamente quando noi abbiamo paura di covare una malattia letale; perché con la paura che hanno gli altri è tutta un’altra storia. In quel caso, anche se tre giorni prima abbiamo passato otto ore nella sala d’attesa di un centro privato di diagnostica per immagini per farci fare la costosissima TAC cranica che porterà alla luce il nostro tumore frontale, ci incazziamo se l’altro, che so, il nostro amico che tentiamo ripetutamente di rassicurare con argomenti logici, continua a cacarsi sotto perché secondo lui il suo tumore è in fase terminale.

Dicevo, mi siedo al pc e digito su google Sclerosi Laterale Amiotrofica. Mentre il pc carica la schermata, il cuore mi martella la gola. Sullo schermo compare una pagina di testo. Inizio a leggere senza alcun ordine frasi a caso. All’inizio i soggetti notano di avere difficoltà mentre camminano o corrono, magari inciampando più spesso…i primi segni della SLA nella mano o nel braccio, notando che semplici compiti come abbottonarsi una camicia, scrivere o girare la chiave in una serratura diventano difficili…notano difficoltà nel parlare… Poi, improvvisamente, è come se qualcuno mi stesse facendo delicatamente calzare una guaina di tessuto caldo. A partire dai piedi, salendo fino alle ginocchia, e così via. E man mano che mi infilano in questa tuta invisibile di calore, mi sento sempre più calmo. Tanto che riesco a leggere un pezzo del testo dall’inizio: La SLA causa una vasta gamma di disabilità, alla fine viene persa la capacità del cervello di controllare i movimenti volontari ed i pazienti perdono la forza e la capacità di muovere le braccia, le gambe e il corpo. Quando i muscoli nel diaframma e nella parete toracica non funzionano più, i pazienti con SLA non possono respirare senza il supporto di una macchina.

Quando arrivo alla fine sono completamente rilassato. Non ho più paura. Perché non sono più logorato dal dubbio. Ora ho la certezza di avere la SLA. E questa certezza mi porta un sollievo paradossale. Ora so che devo solo prepararmi ad essere attaccato a una macchina per respirare. Però quasi mi congratulerei con me stesso per essermene accorto così presto.

Scrivo un whatsup a Irene. “Perché ora non ci sei?”. Lo cancello. Lo riscrivo e lo invio. Mi aspetto che non risponda. Infatti non risponde.

Non mi sfiora nemmeno per un attimo, nemmeno marginalmente, la consapevolezza che questo messaggio è il punto finale della parabola emotiva che ho percorso. E questo punto finale – chiedere ad Irene attenzione, rassicurazione, amore (purtroppo, nell’unico modo in cui so farlo, rispondendo, negativamente, al suo posto) – coincide col punto inziale di quella parabola. Bene o male, il mio attacco di ipocondria inizia e finisce con Irene. Nel senso che non mi sarei mai ammalato di SLA se Irene non avesse pronunciato quella frase parlando del suo capo – “lui non é come te, lui dedica la vita ad aiutare le persone”; se questo non mi avesse fatto venire un dubbio atroce su se e quanto Irene mi ami; se questo dubbio non ne avesse amplificato un altro, di dubbio, ancora più profondo, radicato – non sono più abbastanza per lei, forse non lo sono mai stato -; se non avessi pensato quanto poco serva perché qualcuno sia meglio di me.

Non mi sarei mai ammalato di SLA se avessi capito in tempo tutte queste cose, e non fossi stato vittima della nostra consueta cecitá su noi stessi.

 

 

 

Ritratti - La narrativa incontra la psicologia
Appuntamento a L'ultimo Samurai - Un racconto di G. Salvatore FEAT
Appuntamento all’ Ultimo Samurai – Un’anteprima dal libro di G. Salvatore: Lo Psicoterapeuta in Bilico
Il racconto dell'incontro in un ristorante giapponese tra due semi sconosciuti: nella conversazione tra i protagonisti spuntano giochi di dominio e imbarazzi da mascherare.
Chiudere le relazioni e cadere nel vuoto come Super Mario - Narrativa e Psicologia - MAIN
Super Mario nella Terapia Metacognitiva Interpersonale – Narrativa & Psicologia
Il caso di Loredana: sono come Super Mario quando cade nel vuoto. Questo è per me la chiusura di una relazione… non aver fatto un salto abbastanza lungo.
Olivia tra il bisogno del controllo e il desiderio di abbandono - Narrativa e Psicologia
Olivia: tra il bisogno del controllo e il desiderio di abbandono – Ritratti
Olivia e le sue due parti in perenne disputa interna: il bisogno di programmazione contro il desiderio di abbandono a innocenti ambizioni, come una torta
Il disturbo ossessivo compulsivo e la solitudine - Narrativa e psicologia
Solitudine DOC – Narrativa & Psicologia
Il racconto ha come protagonista un giovane che soffre di disturbo ossessivo compulsivo con ossessioni che mettono in dubbio la propria intelligenza.
la carezza- un racconto di emiliano avallone
La Carezza – Un racconto di Emiliano Avallone
Guardai verso il campo secondario e vidi un uomo in tuta con un ciuffo di capelli biondi su una testa ormai calva. Lo riconobbi subito.
Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, sai che ci sono
Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, sai che ci sono
La terza volta che mi trovo in una chiesa dopo la prima comunione. Un paio di matrimoni da cui è stato impossibile sottrarsi. Ai funerali, mai andato...
Ipocondria SLA - Ritratti
Ipocondria: è colpa di Irene se mi sono ammalato – Ritratti
Non mi sarei mai ammalato di SLA se avessi capito in tempo tutte queste cose, e non fossi stato vittima della nostra consueta cecitá su noi stessi. 
La bambina - Racconto di Giampaolo Salvatore
La perfetta simmetria delle cose: il racconto della bambina – Ritratti
Il papà una volta le ha spiegato che spesso le regole che la vita le presenterà non saranno logiche, per cui è meglio abituarsi da subito...

Lascia i tuoi commenti in fondo alla pagina su cosa ti ha evocato leggere questo pezzo: emozioni o idee.

Si parla di:
Categorie
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel