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Fuori da me. Superare il disturbo di depersonalizzazione (2016) – Recensione

Con una esposizione chiara e dettagliata, il libro espone una spiegazione dettagliata sul disturbo di depersonalizzazione, offrendo proposte terapeutiche.

Di Massimo Amabili

Pubblicato il 14 Lug. 2016

Aggiornato il 15 Lug. 2016 15:28

Questo testo affronta in maniera chiara una delle condizioni cliniche che causano elevata sofferenza mentale, spesso non diagnosticata perché ritenuta da molti professionisti della salute mentale troppo rara da incontrare o ritenendola secondaria rispetto ad altri disturbi: il Disturbo di Depersonalizzazione (DPD, Depersonalization Disorder), che rientra in una delle tante problematiche psicologiche non appartenenti ad una categoria specifica.

 

Il libro è stato scritto in tempi in cui la nosografia psichiatrica faceva riferimento al DSM-IV-TR, ma nel DSM-V la depersonalizzazione viene descritta in maniera inalterata, aggiungendo una descrizione meticolosa che non è cambiata nel tempo, forse proprio perché ancora poco studiata e poco diagnosticata.

Secondo una delle autrici, l’illustre esperta professoressa Fugen Neziroglu, psicoterapeuta cognitiva e comportamentale, sapientemente intervistata dal Dott. Sanavio, purtroppo la depersonalizzazione/derealizzazione spesso non viene diagnosticata, e molti di questi pazienti hanno invece ricevuto una diagnosi di depressione, due disturbi che pur avendo sintomi in comune tra loro, in realtà sono molto diversi:

I pazienti depersonalizzati solitamente si chiedono se ci sia qualcosa di sbagliato nel loro cervello, come se si sentissero neurologicamente danneggiati. Sanno quello che dovrebbero provare, ma non sentono più nulla. Raccontano di sentirsi insensibili e di vivere in un mondo irreale. Inoltre, anche le loro percezioni risultano alterate: gli oggetti sembrano molto distanti, appaiono strani, i rumori possono essere più forti di quanto siano in realtà. Questa sintomatologia non viene vissuta, invece, dai pazienti depressi.

Talvolta questi pazienti giungono con un’autodiagnosi (miracoli di Internet).

Con una esposizione chiara e dettagliata, il libro offre una spiegazione dettagliata sul DPD, rivolgendosi sia ai non addetti ai lavori sia ai clinici che cercano un solido punto di riferimento per il trattamento dei loro pazienti, offrendo sostanzialmente le proposte terapeutiche secondo i principi dell’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e della DBT (Dialectical Behaviour Therapy), e suggerendo in ultima analisi altri possibili strategie di intervento, compresa quella farmacologica.

Nei primi tre capitoli vengono di fatto presentati gli aspetti di questa condizione, spiegandone i sintomi e i criteri diagnostici, e come il DPD possa influenzare la vita di una persona. I sintomi vengono descritti in base alle possibili modalità di esperire la depersonalizzazione, in riferimento alla diverse aree della vita che possono venire colpite.

Attraverso la proposta di alcuni semplici esercizi, le autrici cercano di evidenziare come sia arduo liberarsi della depersonalizzazione, e come anche il tentativo di eliminarla possa in realtà avere l’effetto di ingigantirla: costruire una rigida routine di evitamento per cercare di arginare la sofferenza e sottrarsi a certe sensazioni spiacevoli, allo stesso tempo priva la persona di importanti aspetti della propria vita. Analizzando le possibili cause alla base del DPD, il libro ipotizza un’origine multifattoriale, data dalle componenti psicologiche, biologiche, chimiche o ambientali:

  • Origine traumatica (abusi, abbandono, particolari avvenimenti storico-sociali, stress di livello estremo, oppure altri disturbi psicologici, come ad esempio l’ansia associata alle fasi sintomatiche del DOC);
  • Uso di stupefacenti (marijuana, ketamina o altri allucinogeni);
  • Anomalie neurochimiche o neuroanatomiche, nella forma della trasmissione di certi segnali neurochimici che possono avere effetti sull’esperienza di depersonalizzazione e della comunicazione tra alcune aree del cervello che possono interferire con l’integrazione sensoriale.

Nel quarto capitolo, il testo analizza i problemi associati al disturbo di depersonalizzazione, distinguendo tra depersonalizzazione cronica (o primaria, solitamente legata ad un trauma o ad una forte sofferenza emotiva di qualche genere, o all’uso di droga) ed episodica (o secondaria, talvolta utile a gestire situazioni estremamente stressanti con una compostezza distaccata e insensibile). La depersonalizzazione ed altre esperienze dissociative sono infatti estremamente comuni anche in molti disturbi psicologici: il disturbo di panico, il PTSD, il disturbo borderline di personalità, il disturbo ossessivo compulsivo e i disturbi dell’umore. E’ comune che un sovraccarico emotivo favorisca la comparsa delle reazioni di depersonalizzazione.

Nel quinto capitolo, le autrici approfondiscono la depersonalizzazione secondo la prospettiva dell’Acceptance and Commitment Therapy, offrendo un contributo originale su questo argomento. Secondo tale prospettiva, vengono evidenziati i sei processi disfunzionali che facilitano la sofferenza mentale:

  • Fusione cognitiva;
  • Definirsi in base alle proprie convinzioni su di sé;
  • Rimuginazione e preoccupazione;
  • Evitamento esperenziale;
  • Mancanza di valori chiari;
  • Repertorio comportamentale ristretto

L’intreccio di tali fattori, produce una tendenza all’inflessibilità psicologica, con una propensione generale a cercare di evitare le esperienze spiacevoli e, con esse, certi ambiti importanti della vita. In tale ottica, la depersonalizzazione può costruire una routine inflessibile, nel tentativo di limitare la sofferenza e contemporaneamente ostacolare la ricchezza e la diversità delle esperienze.

Nel capitolo settimo, le autrici offrono particolare risalto alla gestione della depersonalizzazione attraverso la ACT, proponendone i sei processi funzionali spiegati con esempi ed esercizi di pronta applicazione:

  • La defusione cognitiva, una strategia che serve ad affrontare i processi spiacevoli, evitando che pensieri ed emozioni spiacevoli condizionino i comportamenti;
  • Entrare in contatto con il proprio Sé osservante, (inteso come la parte di sé stessi che ha sempre osservato ogni pensiero, stato d’animo, ruolo, interesse e fase di sviluppo fisico attraversati) per non perdere di vista la transitorietà delle esperienze emotive e gli alti e bassi della vita;
  • La mindfullness, come consapevolezza immediata dell’esperienza;
  • La disponibilità e l’accettazione, in opposizione all’evitamento;
  • Chiarire i propri valori, e rivelare così le aree importanti della propria vita che possono orientare nelle scelte che contano;
  • L’azione impegnata, cioè coerente con i propri valori e compiuta con accettazione e disponibilità a provare l’inevitabile malessere.

Accanto all’ACT, il libro propone un altro approccio orientato all’accettazione: la terapia dialettico-comportamentale (DBT), concepita originariamente dalla Linehan per il trattamento del disturbo borderline di personalità, e fondato sull’accettazione delle ambiguità e delle contraddizioni della vita in risposta ai sentimenti contraddittori (ad esempio grandiosità ed insicurezza) e alla presenza di idee opposte, normalmente provati da ognuno di noi, che non implicano necessariamente un guasto al sistema. Secondo tale approccio quindi, è necessario in tali situazioni agire nel mondo più funzionale, anche quando contraddice i nostri sentimenti, sviluppando quattro abilità: la mindfullness, la tolleranza della sofferenza, la regolazione delle emozioni e l’efficacia interpersonale. Le autrici illustrano nel settimo capitolo tali abilità, adattate alla depersonalizzazione, presentando degli esercizi utili per il loro apprendimento.

Nel capitolo ottavo, il libro suggerisce delle strategie di terapia comportamentale, utili ad ancorarsi al momento presente attraverso l’esposizione alle cose, alle emozioni e alle sensazioni che creano disagio, al fine di ottenere una vita più piena. Vengono così presentati degli esercizi di esposizione e prevenzione della risposta, che implicano l’esporsi a ciò che di fatto possa essere collegato a depersonalizzazione o sensazioni di depersonalizzazione. L’obiettivo delle autrici è spiegare come attraverso il comportamento si possa aumentare il contatto con la realtà e gli aspetti piacevoli della vita, per ‘fingere finché non lo si sente‘, lasciando cioè che i comportamenti precedano l’entusiasmo, nella speranza che questo poi arrivi.

Nel nono capitolo viene dato spazio agli altri possibili trattamenti: dalla terapia cognitivo comportamentale tradizionale (TCC), risultata efficace per la cura della depersonalizzazione, alla terapia farmacologica, orientata alla cura dei sintomi della depersonalizzazione, sottolineando come gli antidepressivi possano alleviare la depressione secondaria o il malessere associati al DPD, gli stimolanti possono aiutare i sintomi cognitivi, e le benzodiazepine possono alleviare l’ansia secondaria. Le autrici fanno riferimento anche a due trattamenti sperimentali: la stimolazione magnetica transcranica e la cingolotomia, presentandone rischi, vantaggi e prospettive per il futuro.

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SCRITTO DA
Massimo Amabili
Massimo Amabili

Psicologo e Psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Donnelly, K., Neziroglu, F.(2016). Fuori da me. Superare il disturbo di depersonalizzazione. Erickson Editore
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