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Vergogna e auto-biasimo: come ostacolano l’elaborazione del trauma?

Vergogna e odio verso se stessi sono esacerbati da credenze e significati che vittime di violenza attribuiscono alle esperienze di paura e umiliazione

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 17 Giu. 2016

Aggiornato il 30 Gen. 2018 14:13

Nella seconda giornata del Corso Nuove frontiere nella cura del trauma, Janina Fisher affronta un’emozione cruciale nel vissuto dei pazienti vittime di abusi e traumi nell’infanzia: la vergogna.

La vergogna e l’odio verso se stessi sono costantemente esacerbate dalle credenze e dai significati che le vittime di violenza hanno attribuito e continuano ad attribuire alle esperienze di paura e umiliazione. Questa emozione fin da subito mostra il suo paradosso: parlare di vergogna tende ad accrescerla, non parlarne lascia sole le parti infantili che vivono cronicamente imbarazzate. Esprimere empatia può attivare imbarazzo e suscitare senso di inferiorità, ma ristrutturare i successi e gli obiettivi raggiunti può innescare la vergogna di non sentirsi all’altezza o di non meritarli. Nel trauma complesso la vergogna assume un ruolo così centrale da determinare un bloccante e pervasivo senso di inadeguatezza a vivere il presente, difficile da afferrare e, dunque, trattare.

 

L’emozione della vergogna

Innanzitutto la vergogna per sua natura è un’emozione che facilmente suscita pensieri negativi su di sé, proprio per via delle sue stesse caratteristiche sensoriali: occhi bassi, rossore in volto, senso di debolezza, sentirsi piccoli, vulnerabili, esposti, sopraffatti, desiderio di raggomitolarsi, di sparire. Ogni volta che sentiamo questa emozione salire, si apre in tutti noi una finestra di vulnerabilità, un senso di inadeguatezza e un istinto a nasconderci che è sano e tipico della nostra specie: aiuta noi stessi a proteggerci da un giudizio negativo e segnala agli altri una fragilità che non necessita di un ulteriore attacco. Sul piano fisiologico inoltre la vergogna produce un’immediata riduzione dell’arousal , che blocca l’azione e ha il ruolo fondamentale di ridurre il danno potenziale che potrebbe venire dall’eccessiva reattività ad emozioni intense. Ma cosa succede quando questa emozione viene espressa in contesti violenti, imprevedibili o abusanti? Cosa succede quando si apre questa finestra di vulnerabilità?

 

Il circolo vizioso della vergogna

Nel vissuto e nelle storie della maggior parte dei pazienti sopravvissuti a traumi e trascuratezze nell’infanzia, questa emozione non ha spesso prodotto l’effetto sociale desiderato: al contrario i significati offerti da caregiver abusanti o maltrattanti sono spesso stati critici “Sei uno stupido! Non vali niente! Non meriti niente! Sei un debole! Sei incapace! Sei disgustoso!” e seguiti da violenze fisiche. Tutti questi significati e reazioni alla vergogna producono per di più un effetto di rinforzo dell’emozione stessa, suscitando più vergogna, più inadeguatezza e più sottomissione, necessaria a fermare l’attacco. Questo circolo vizioso trasforma così nel tempo un’emozione sana della vittima in un’arma che l’aggressore riesce ad usare per mantenere il suo status e confermare il suo potere. Quello che invece succede tristemente nei bambini è che i significati negativi cui sono stati continuamente esposti, diventano credenze e idee di sé che non metteranno più in discussione, che saranno per loro semplicemente la verità.

Le credenze che troviamo negli adulti possono restare così le stesse anche a distanza di anni e anche a seguito di una buona elaborazione delle memorie traumatiche, proprio perché i belief legati alla vergogna continuano a vivere slegati dagli eventi che li hanno provocati. La persistenza delle risposte di vergogna e dei pensieri di auto-biasimo creano dunque una barriera importante alla remissione completa dei sintomi o alla possibilità di condurre una vita soddisfacente.

La vergogna si può manifestare nel presente attraverso tre strade principali: come una riattivazione diretta dell’emozione di vergogna come reazione al ricordo del trauma (ad esempio, evitamento del lavoro di elaborazione dei ricordi traumatici); come una reazione a situazioni sociali negative nel presente che attivano una memoria implicita di paura del rifiuto e umiliazione (ad esempio, può manifestarsi come difficoltà ad affermare le proprie opinioni, ad essere assertivi o a dire ‘no’); oppure come una reazione ad uno schema cognitivo interno che può essere suscitato sia da fallimenti che confermano le credenze disfunzionali su di sé, sia da situazioni di successo che contrastano con le credenze nucleari di inadeguatezza e indegnità.

Spesso questa barriera nell’adulto emerge come un loop ruminativo di pensieri legati alla presunta assenza di valore o di capacità, o come feroce autocritica, o con sentimenti di colpa e responsabilità legati a grave inadeguatezza e insufficienza personale: quello che in tutti i casi si determina è un blocco della prospettiva personale e una difficoltà nel definire e raggiungere obiettivi di vita importanti.

 

Terapia sensomotoria e vergogna

Nell’ottica della terapia sensomotoria proposta dalla Fisher, un primo passo essenziale è distinguere il sentimento di vergogna da i pensieri (o schemi cognitivi) basati sulla vergogna. Il suggerimento è di trattare solo un piano per volta. Nel primo caso è importante osservare l’attivarsi della vergogna nel presente, imparare a sentirla e a riconoscerla nel corpo, a tollerarne le sensazioni, per poi rileggerla come risposta automatica procedurale ancora legata alla funzione protettiva che la vergogna ha avuto nel passato: limitare comportamenti potenzialmente negativi o rischiosi in presenza di un caregiver abusante o maltrattante è stata una risorsa essenziale per difendersi da punizioni eccessive o violente. Si impara a “non difendersi e a fare i bravi” e questo è stato molto eroico, a prescindere dalle conseguenza che ha ora sul presente.

Nel secondo caso può essere utile osservare invece l’attivarsi dei pensieri, con l’obiettivo di riconoscerli, osservarli, e promuovere un atteggiamento mindful, utile ad esplorare gli effetti di questi pensieri nel corpo e nelle azioni del presente. Questo permette di osservare in vivo l’effetto protettivo che la vergogna produce su alcune scelte e promuovere una migliore mentalizzazione sui propri stati emotivi. Cercare un’integrazione tra emozioni , pensieri e aspetti sensoriali attraverso l’esperienza presente della vergogna in terapia è la sfida che può aiutare a mettere in discussione, un frammento alla volta, quel pensiero che viene dal passato e che torna a creare confusione e destabilizzazione: c’è davvero qualcosa che non va in me?

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