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Pedofilia: caratteristiche, decorso e prospettive terapeutiche

La pedofilia comporta un'attività sessuale con bambini prepuberi che perdura da almeno 6 mesi e può essere trattata con la terapia cognitivo-comportamentale

Di Angela Ganci

Pubblicato il 24 Giu. 2016

Secondo la definizione fornita dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013), la pedofilia comporta un’attività sessuale con bambini prepuberi (di età uguale o inferiore a tredici anni), perdurante da almeno sei mesi e che determina una compromissione generale del funzionamento personale, sociale e lavorativo e/o disagio soggettivo.

Per potersi definire tale il pedofilo deve avere almeno sedici anni e intrattenere relazioni sessuali con vittime di almeno cinque anni più giovani d’età. Le modalità del contatto possono variare dalle carezze alla vera e propria penetrazione (bocca, ano e vagina), utilizzando vari gradi di violenza, anche con l’inserimento di corpi estranei. Per evitare che il bambino riveli l’abuso gli si possono rivolgere minacce ovvero si può mostrare un’attenzione particolare ai suoi bisogni per conquistarsi affetto, fiducia e silenzio.

Riguardo alla tipologia delle vittime esse possono essere interne alla famiglia (figli, parenti) o esterne; solitamente presentano tratti di attrattività fisica, una vanità che porta facilmente a sottovalutare i rischi di esporsi al pedofilo, e che viene sovente usata come pretesto dal pedofilo stesso, con attribuzione di responsabilità alla vittima (“il minore mi ha provocato o sedotto”). La prevalenza del disturbo (ovvero la proporzione di pedofili sulla popolazione generale, in un preciso momento) si attesta tra il 3% e il 5% nei maschi, mentre tra le femmine la percentuale è inferiore (American Psychiatric Association, 2013).

 

Pedofilia: fattori di rischio e decorso

I fattori di rischio chiamati in causa nello sviluppo del disturbo sono di natura sia genetica che ambientale. Riguardo al primo aspetto si è visto che disturbi del neurosviluppo già nella fase della gestazione aumentano la probabilità di insorgenza della patologia, ma gioca un ruolo anche l’abuso infantile subìto, anche se non è possibile stabilire un nesso causale diretto tra abuso infantile e pedofilia adulta (American Psychiatric Association, 2013).

 Un sostegno al ruolo dell’abuso infantile nella genesi della pedofilia è fornito da Finkelhor (1984) con la teoria dell’abusatore abusato, per cui, attraverso l’atto pedofilico, il soggetto ricerca una sensazione di dominio dopo essere stato vittimizzato a sua volta, configurandosi un atto di vendetta mediante cui il dolore del passato viene trasformato in piacere. Inoltre, la mancanza di adeguate abilità sociali sarebbe alla base della scarsa disponibilità della gratificazione sessuale con adulti e la scelta di bambini prepuberi (citato in Dèttore, 2001).

La pedofilia può avere inizio nella fanciullezza o nella prima adolescenza e la frequenza delle fantasie e dei comportamenti può variare in risposta a episodi di vita stressanti, diminuendo in genere con l’età. Le recidive risultano quasi doppie per i soggetti pedofili con preferenza per i maschi.

La diagnosi pone non pochi problemi per la tendenza del pedofilo a negare l’impulso sessuale (e il relativo disagio emotivo) o a minimizzarne l’impatto sulla vittima (un atto innocuo, per cui non provare colpa, ansia e vergogna): ecco perché un indicatore utile può risultare la misurazione psicofisiologica dell’interesse sessuale.

Attraverso il test fallometrico, che usa la registrazione continua dei cambiamenti del volume del pene quando un soggetto è esposto alla visione di figure potenzialmente eccitanti su uno schermo o mediante l’immaginazione, si può infatti registrare l’attivazione fisiologica sessuale del soggetto di fronte a stimoli rappresentanti bambini nudi, benchè i risultati possano essere fuorviati da quei pedofili che non dispongano di un’adeguata risposta peniena (Murphy e Flanagan, 1981, citato in Strano e coll., 2001).

Posta la diagnosi, un decorso sfavorevole della patologia appare associato a fattori quali la precocità di insorgenza, l’alta frequenza degli atti e l’assenza di disagio soggettivo con sentimenti di colpa o vergogna, l’abuso di alcool o di droga. Viceversa, se l’intervento è richiesto spontaneamente, rilevando una motivazione elevata al trattamento, la prognosi è di solito più favorevole (Kaplan e Sadock,1993).

Quest’ultimo caso è piuttosto raro, nella misura in cui la scarsa consapevolezza della malattia e l’assenza di disagio per l’atto, collegati alla piacevolezza della stimolazione sessuale, determinano tipicamente una scarsa adesione al trattamento, per lo più richiesto per evitare spiacevoli conseguenze sociali (crisi coniugali, detenzioni, isolamento), e non per una rinuncia decisa ai propri istinti. A questo indubbio limite si affiancano altre problematiche, come la reazione del terapeuta, contraddistinta sovente da disgusto, condanna e punizione (Gabbard, 1995, citato in Strano e coll., 2001), poiché gratificare l’istinto pedofilico equivale a compromettere l’evoluzione di un bambino innocente.

 

Pedofilia: approccio psicoterapeutico

Alla luce di tali difficoltà, al terapeuta è richiesto di mantenere uno stile terapeutico basato sulla “responsabilizzazione compassionevole”: si ritiene comunque il paziente responsabile del comportamento di abuso, riconoscendo empaticamente le origini del disturbo.

All’interno degli approcci psicoterapeutici attualmente disponibili per la cura della pedofilia, la terapia cognitivo-comportamentale fornisce un valido supporto, ponendosi l’obiettivo di controllare i propri impulsi sessuali verso i prepuberi, riducendo i comportamenti devianti attraverso l’utilizzo di programmi di condizionamento. La tecnica elaborata da Cautela nel 1967 per esempio prevede di immaginare una scena a carattere pedofilico, a cui affiancare un’altra fantasia con conseguenze spiacevoli, come l’essere arrestati (citato in Strano e coll., 2001). L’efficacia delle tecniche comportamentali sembra inoltre aumentare se si associa alla scena sessuale una sostanza corrosiva e di cattivo odore, come l’acido valerianico, che riduce il desiderio sessuale. Per considerarsi efficace un trattamento deve prevedere anche un miglioramento del comportamento sociale, poiché le difficoltà di relazione con gli adulti potrebbero spingere i pedofili verso la scelta deviante: a tal proposito, Lanning indica la tipologia del pedofilo inadeguato, naturalmente non attratto dai bambini, ma che arriva a sostituirli agli adulti nei confronti dei quali prova profonde insicurezze (citato in Strano e coll., 2011).

 Accanto a training di abilità sociali connesse alla sfera sessuale, la terapia cognitiva si propone di modificare in senso più adattivo tipici errori di pensiero quali la negazione (“non sono stato io”) oppure la minimizzazione (“non ho fatto niente di male”), attraverso specifiche tecniche di ristrutturazione cognitiva (Dèttore, 2001).

Completerà il quadro l’analisi degli eventi che hanno condotto nel tempo al disturbo (come un rifiuto) in modo da innalzare l’autostima e indirizzare gli impulsi in direzione di mete sessuali adulte (Strano e coll., 2011).

Una fase cruciale del trattamento è costituita dalla prevenzione delle ricadute (Marlatt, 1982, citato in Dèttore, 2001) in cui vengono analizzate le circostanze in grado di scatenare un nuovo abuso, così come le conseguenze negative a lungo termine dell’indulgere negli impulsi sessuali. A tal fine vengono individuate situazioni ad “alto rischio”, come il passare davanti a una scuola elementare, che potrebbero esitare nel comportamento pedofilico, soprattutto nel periodo immediatamente successivo al termine della terapia, quando il controllo degli impulsi può non essere ottimale.

Riguardo all’associazione con la terapia farmacologica, è stato evidenziato da tempo l’utilizzo del medrossiprogesterone (MPA) acetato che sembra avere effetti positivi sul controllo degli impulsi sessuali, soprattutto a carattere violento, benchè il suo uso sia limitato, per via degli effetti collaterali potenzialmente dannosi a lungo termine. Inoltre, la riduzione degli impulsi attraverso i farmaci, pare rafforzare i benefici della psicoterapia (Kaplan e Sadock,1993).

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
  • Dèttore, D. (2001). Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale. Milano: McGraw-Hill.
  • Kaplan, H.I., & Sadock, B.J. (1993). Manuale di psichiatria. Napoli: Edises.
  • Strano, M., Germani, P., Gotti, V., & Errico, G. (16 Marzo 2001). La diagnosi clinica e la terapia della pedofilia. Ricavato il 6 Giugno 2016 da http://www.psychomedia.it/pm/human/crimin/diagnosi.htm.
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