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Orientamento scolastico e lavorativo: i genitori come risorsa o ostacolo nella carriera dei figli?

Date le pressioni poste dall'ambiente familiare, il percorso di orientamento scolastico o lavorativo, dovrebbe intraprendere azioni anche verso i genitori

Di Raffaella Giordano

Pubblicato il 22 Giu. 2016

La famiglia si sta configurando come uno dei luoghi naturali deputati all’orientamento scolastico o all’orientamento lavorativo di adolescenti e giovani adulti, in quanto essa esercita un’inverosimile pressante influenza sullo sviluppo vocazionale dei propri membri.

 

Secondo molti psicologi, sempre più negli ultimi anni, la famiglia si sta configurando come uno dei luoghi naturali deputati all’orientamento scolastico o all’orientamento lavorativo di adolescenti e giovani adulti (Scarpellini, Strologo, 1976; Ribolzi, 1989).

Se, finora, le agenzie di socializzazione deputate a esercitare la funzione orientativa sono state la scuola e le agenzie informative presenti sul territorio, oggi, l’attenzione degli psicologi dell’orientamento è rivolta alle famiglie, poiché queste stanno esercitando un’inverosimile pressante influenza sullo sviluppo vocazionale dei loro membri (Pombeni, D’Angelo, 1998).

 

Orientamento scolastico e lavorativo: in che modo i genitori agiscono condizionando il destino dei figli?

Secondo le psicologhe Pombeni e D’Angelo (1998) ci sarebbero almeno 7  tendenze genitoriali in grado di condizionare erroneamente le scelte dei figli:

  1. Tendenza a drammatizzare le scelte scolastiche o lavorative, attribuendogli un peso maggiore rispetto a quello che rivestono. Questa tendenza carica di significato il processo di scelta e, se il figlio dovesse intraprendere una scelta che porta all’insuccesso, connoterebbe l’esperienza come fallimento personale, scoraggiandosi in maniera eccessiva;
  2. Tendenza a trasferire le aspettative personali e i propri desideri di successo sui figli, senza accorgersi degli interessi, delle passioni e delle loro reali qualità, indispensabili per un orientamento scolastico di successo;
  3. Tendenza a continuare a guardare lo scenario lavorativo senza accettarne i cambiamenti. Un esempio è quello del mito del posto fisso in una società che invece è votata alla flessibilità e al cambiamento;
  4. Tendenza a sovrastimare le informazioni ingenue, i “sentito dire” e sottostimare il valore, ad esempio, di percorsi di orientamento scolastico o lavorativo presso istituti affidabili;
  5. Tendenza a selezionare tra le diverse opzioni secondo un unico criterio che si crede importante o maggiormente rassicurante. Ad esempio scegliere una università solo perché facoltosa o solo perché vicino alla propria abitazione;
  6. Tendenza ad attribuire ai propri figli delle caratteristiche, rifiutando l’idea che altri, amici, insegnanti o orientatore,  possano invece vedere in loro aspetti che i genitori non gli riconoscono;
  7. Tendenza a sostituirsi ai figli nella scelta vocazionale scolastica e professionale, adducendo un’ ancora incompleta maturità o non competenza, togliendo loro un’enorme possibilità di responsabilizzazione ed emancipazione nel percorso di orientamento scolastico.

Proprio per queste ragioni, un buon percorso di orientamento scolastico o lavorativo, dovrebbe tener presente, laddove necessario, la possibilità di intraprendere azioni orientative anche nei confronti dei genitori dell’orientato.

Questo consentirebbe una doppia azione che faciliterebbe il processo di empowerment e permetterebbe al cliente di utilizzare la rete famigliare come risorsa piuttosto che esserne ostacolato (Cortini, 2008).

 

L’importanza di lavorare con i genitori durante il percorso di orientamento

Secondo Pombeni e D’Angelo (1998), attraverso pochi incontri con la famiglia del cliente, l’orientatore faciliterebbe la comprensione delle caratteristiche del processo di scelta e aprirebbe uno spazio di ragionamento coi genitori che permetterebbe il raggiungimento di tre importanti obiettivi:

  1. Aumentare la conoscenza rispetto alle dinamiche relative alla transizione tra cicli di studio e scelte professionali. In questo modo l’orientatore ha l’obiettivo di aiutare i genitori del cliente a comprendere l’importanza e la delicatezza della fase di vita che sta attraversando il proprio figlio, una fase che lo impegna nella costruzione della propria identità e, a percepire se stessi, come possibili risorse utilizzabili dal figlio per fronteggiare le difficoltà proprie di un percorso di orientamento scolastico o lavorativo.
  2. Il secondo obiettivo è quello di accrescere le informazioni e le indicazioni rispetto agli scenari lavorativi. L’orientatore, infatti, oltre ad avere solide competenze psicologiche è anche un analitico conoscitore del panorama lavorativo e quindi amplierà la gamma di alternative lavorative che si possono considerare, conducendo una approfondita analisi delle diverse opzioni vagliabili.
  3. Terzo obiettivo dell’orientatore sarà quello di invitare i genitori a un coinvolgimento più intenso sul piano dell’esperienza personale nel percorso di orientamento scolastico o lavorativo del figlio. Il terzo obiettivo, infatti, vedrà l’orientatore aprire uno spazio di riflessione più intimo, offrendo ai genitori la possibilità di esplicitare le idee, le attese e le paure che nutrono rispetto alle scelte vocazionali dei figli e a ciò vedono in loro come potenzialità; uno spazio, soprattutto, per raccontare i propri vissuti personali e per riflettere su come questi possano giocare un ruolo nel destino vocazionale dei propri figli.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cortini, M., Manuti, A., Tanucci, G., (2008). I mestieri della formazione. Carocci: Roma
  • Pombeni, M.L., D’Angelo, M.G., (1998). L’orientamento di gruppo. Carocci: Roma
  • Ribolzi, L., (1984). La scuola incompiuta. Vita e Pensiero: Milano
  • Scarpellini, G., Strologo, E., (1976). L’orientamento: problemi teorici e metodi operativi. La Scuola: Brescia
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