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La perfetta simmetria delle cose: il racconto della bambina – Ritratti

Il papà una volta le ha spiegato che spesso le regole che la vita le presenterà non saranno logiche, per cui è meglio abituarsi da subito...

Di Giampaolo Salvatore

Pubblicato il 24 Giu. 2016

La bambina si lega sempre i capelli subito prima di apparecchiare la tavola. Tiene l’elastico tra le labbra, mentre le mani formano la coda di cavallo. La stessa sequenza di gesti rapida e decisa di quando avrà trent’anni. Di solito dispone prima i bicchieri. I bicchieri sono la misura del resto.

Se li metti nella posizione giusta, il resto viene da sè. Il piatto piano – posto sotto, concentricamente, a quello fondo – deve sfiorare con la sua linea la circonferenza di vetro del bicchiere. Chi guarda dall’alto, deve avere la propria attenzione catturata per un attimo dal perfetto equilibrio dei cerchi. Un po’ come i cerchi delle Olimpiadi, ma senza compenetrazione reciproca. Poi le posate, la loro distanza dai piatti calcolata con precisione grazie ai quadrati disegnati sulla tovaglia (le tovaglie, se è necessario, hanno sempre quadrati disegnati). Il tovagliolo, le piace metterlo nel bicchiere, avvoltolato come ha visto fare al ristorante. Quando la bambina ha riprodotto l’identico effetto del ristorante per la prima volta, ha spiato con la coda dell’occhio la reazione del papà. A lui è piaciuto molto. Lei si è sentita felice. Lui le ha chiesto di farlo sempre. Lei si è sentita ancora più felice.

Il papà lavora fino a ora di cena nello studio dotato di un’entrata indipendente. La bambina sa che può chiamarlo con l’interfono solo in casi di vera emergenza. Deve muoversi piano, non fare rumore mentre gioca. O, come adesso, mentre apparecchia la tavola. Le pareti dello studio sono insonorizzate, ma la regola vale lo stesso. Il papà le ha detto una volta che spesso le regole che la vita le presenterà non saranno logiche, per cui meglio abituarsi da subito. A lei è piaciuto molto quel discorso. Non tanto il contenuto, che non ha capito bene, quanto l’impressione che il papà le parlasse per la prima volta come una persona più grande.

La mamma, quando non è nella sua camera alla scrivania, a correggere i compiti dei suoi alunni o su Facebook, è fuori. In palestra, a fare spinning o zumba, di solito uno dopo l’altro. La bambina ha imparato che quando torna dalla ginnastica, almeno tre volte alla settimana, capita più spesso che la baci e le faccia i complimenti per come tiene in ordine la sua stanza e apparecchia la tavola. Stasera non è andata in palestra. Mentre dispone i bicchieri, alla bambina arriva, un po’ ovattata ma non abbastanza da coprirne la concitazione, l’irritazione, una frase che la mamma dice, incalzante, al telefono:

«Come lo sei venuta a sapere? Ne parli come di una cosa certa. Ne sei sicura?»

La bambina capisce che la mamma sta parlando con la sua amica preferita, che insegna nella stessa scuola e che è venuta parecchie volte a trovarla a casa. Sa che mentre la mamma insegna matematica, anche se una matematica un po’  più difficile di quella che sta studiando lei, quest’altra signora insegna storia, anche se una storia un po’ più difficile di quella che sta studiando lei. Poi il volume della voce si abbassa, come se la mamma stesse facendo uno sforzo per contenerla.

Sente sbattere la porta della stanza. La mamma entra nel soggiorno cucina. Ha quel suo modo di spostare le cose con movimenti bruschi dei giorni in cui per la bambina è meglio muoversi silenziosamente. La bambina non vede l’ora che il padre arrivi.

«Quante volte ti ho detto di non preparare la tavola come un robot? Con tutta questa precisione. Ho una figlia, non un robot».

«Scusa mamma».

«E’ così difficile fare le cose che ti chiedo? Magari senza farmele ripetere migliaia di volte? Ho letto su internet che tutta questa  precisione nei bambini, quando poi si fanno grandi può trasformarsi in una malattia. Vuoi diventare una malata?»

«Che succede».

Quando sente la voce del papà, è sempre come se qualcuno smettesse di tenerla premuta contro un muro.

«Niente, non ti intromettere, è una cosa tra me e lei», dice la mamma, con una smorfia di rabbia.

«Non mi intrometto, stai calma. Vorrei solo sapere che sta succedendo».

«La solita questione della precisione, sta succedendo. Sto cercando di insegnarle che rischia di ammalarsi. Gliel’ho detto un sacco di volte, ma evidentemente è più forte di lei. Magari è già malata».

«Non dire sciocchezze. Così la spaventi».

La bambina si è seduta a tavola. In momenti come questo fa finta di essere altrove. Spesso ci riesce. Per andarsene aiuta molto immaginare di essere un drone che sorvola la tavola e controlla la simmetria delle cose. Non solo dei piatti e delle posate. La simmetria delle cose rispetto a se stesse. Le cose, se le osservi bene, dalla giusta prospettiva, rivelano la loro simmetria con se stesse. Il loro essere fatte di due metà perfettamente bilanciate. Anche quando a prima vista non sembra proprio. Lì dove sta ora, non le arrivano le parole, solo la sensazione fisica di una tensione crescente.

«Non ti permettere di dire davanti a lei che dico sciocchezze».

«Ne possiamo parlare dopo da soli?»

La bambina guarda la madre diventare rossa.

«Non mi trattare come una deficiente, hai capito, stronzo?», urla.

«Va bene. Non volevo. Calmati adesso, per favore».

«Io non ho intenzione di stare qua a farmi prendere per scema da voi due, che come al solito vi coalizzate contro di me». Ho gettato la mia vita per voi due, e questo è il ringraziamento. Avevo una carriera universitaria assicurata e invece sono tappata in una scuola media di merda».

«Ti prego, non tirare di nuovo fuori questa storia. Ne parliamo dopo».

«Da quando ti conosco con te ne parliamo dopo. Di tutto parliamo dopo, ma poi non parliamo mai. Invece parliamo adesso. Io non ce la faccio più. Sto per crollare. Quando sono a casa ho bisogno del vostro appoggio, non del colpo di grazia..».

Il papà della bambina rimane in silenzio. Sa che se le chiede di nuovo di calmarsi, getterà altra benzina sul fuoco.

«Mi sono stufata di prendere botte da tutti. A scuola e pure qui, a casa mia».

Il papà della bambina sa che cosa fare quando lei dà un segnale del genere. La interrompe, con il tono più calmo che possiede:

«Perché scusa, è successo qualcosa a scuola?»

La mamma della bambina si blocca per un attimo, interdetta. La bambina ora fissa la tovaglia rossa, immaginando se stessa, rimpicciolita, dentro uno dei quadrati. Ha portato con sè una provvista di briciole di pane, sufficiente per sopravvivere a lungo.

«Sì, è successo qualcosa. Perchè, ti interessa?»

«Certo che mi interessa. Interessa anche a tua figlia. Dai, che è successo?»

La mamma esita, poi dice:

«Poco fa mi ha chiamato Franca. Mi ha detto che ci sono dei genitori che si sono lamentati di me. Pare che qualcuno abbia detto che vado troppo lentamente, e che così non terminerò mai il programma».

«Adesso capisco meglio. Secondo me però non ti devi preoccupare. I genitori trovano sempre qualcosa di cui lamentarsi. Di solito danno agli insegnanti la colpa dell’idiozia dei figli. Molto probilmente uno o due si saranno lamentati e la cosa si è ingigantita».

«Ma che cazzo dici!?», sbotta la mamma della bambina, «ma che ingigantita?! I miei problemi per te dipendono sempre dal fatto che io ingigantisco..».

«Non tu, non fraintendermi».

La bambina nota che il padre è diventato rosso.

«Non fraintendo un cazzo. Con te è sempre la stessa storia».

«Adesso basta. Io stavo cercando di aiutarti».

La mamma della bambina si alza e pianta le mani sul tavolo, facendo spostare la tovaglia. La bambina nota che in un attimo la simmetria della disposizione delle cose è perduta.

«Non ho bisogno del tuo aiuto»., dice la mamma della bambina con la voce strozzata, e se ne va.

La bambina e il papà rimangono in silenzio. La bambina ricalca con l’indice il perimetro di un quadrato.

«Tutto bene?»

«Sì, papà»..

Si siede vicino a lei. Imita con l’indice il gesto della bambina, come un’altra creatura che cerchi la via d’uscita in quel labirinto infinito di quadrati. L’indice del papà fa finta di rincorrere quello della bambina, che fa finta che le scappi una risata.

«Non devi preoccuparti per mamma. In questo periodo è molto stanca per il lavoro, e questo la fa essere nervosa. Ma non devi mai dubitare del bene che ti vuole».

Alla bambina, non sa perchè, viene da piangere, ma si trattiene. Non vuole che il papà si preoccupi per lei.

 

 

Ritratti – La narrativa incontra la psicologia – 01

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