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Le vie dei canti interrotti: effetti transgenerazionali del trauma negli australiani aborigeni

Gli studi di Atkinson hanno permesso di dimostrare come il trauma collettivo possa diventare trauma storico e trasmettersi di generazione in generazione. 

Di Maria Laura Mele

Pubblicato il 28 Giu. 2016

Aggiornato il 10 Ott. 2019 11:52

Gli studi condotti da Judy Atkinson sugli esiti dalla violenza coloniale verso le popolazioni aborigene testimoniano che il trauma collettivo, se non curato, può divenire trauma storico. Gli effetti del trauma possono cioè propagarsi seguendo un processo di trasmissione transgenerazionale.

 

Il trauma collettivo: gli effetti transgenerazionali del trauma

[blockquote style=”1″]Gli aborigeni credono che una terra non cantata sia una terra morta: se i canti vengono dimenticati, infatti, la terra ne morirà.[/blockquote] (Bruce Chatwin, 1987. Le vie dei canti)

Ci sono voluti soltanto due secoli di colonialismo europeo per decimare il popolo che ha abitato il continente australiano per circa 40.000 anni. Due secoli di attività di frontiera, espropriazioni ambientali, proselitismo culturale e religioso, che hanno sottoposto le popolazioni aborigene all’esperienza del trauma collettivo, definito da Kai Erikson (1976) come [blockquote style=”1″]un colpo ai tessuti di base della vita sociale che ne danneggia intimamente i legami[/blockquote] (p. 233) interrompendo così il senso del “noi” che è prevalente in ogni comunità indigena.

Gli studi condotti da Judy Atkinson (Southern Cross University, Australia) sugli esiti dalla violenza coloniale verso le popolazioni aborigene testimoniano che il trauma collettivo, se non curato, può divenire trauma storico. Gli effetti del trauma possono cioè propagarsi seguendo un processo di trasmissione transgenerazionale (Atkinson 2002).

Lavori analoghi confermano che altri popoli indigeni come gli Yup’ik di Alaska, gli indiani Navajos e Athabaskan, i nativi hawaiiani e i Maori della Nuova Zelanda, condividono l’esperienza traumatica causata dall’imposizione di una “nuova visione” del mondo non congruente con quella d’origine. Queste popolazioni condividono tra loro tassi di suicidio, alcolismo, violenza e morti accidentali significativamente superiori rispetto alle relative popolazioni non-native (Salzman & Halloran 2004), esiti, questi, specifici del trauma storico, ossia del danno emotivo e psicologico che si tramanda lungo le generazioni di popoli colonizzati (Muid 2006, p. 36).

Come si trasmette il trauma di generazione in generazione

Per spiegare il fenomeno, Matte Blanco (in Levine 2007) ha sviluppato uno schema di trasmissione del trauma transgenerazionale in base ad osservazioni effettuate attraverso cinque generazioni del Sud America.

1° generazione. I maschi del popolo conquistato sono stati uccisi, imprigionati, ridotti in schiavitù o in qualche modo privati ​​della possibilità di provvedere alle proprie famiglie.

2° generazione. Per compensare la perdita d’identità culturale e un basso livello di autostima, molti uomini iniziano ad abusare di alcol e/o droghe. La risposta dei governi a questo fenomeno non sempre è efficace e passa attraverso risposte severe di proibizione dell’assunzione di sostanze, non supportate da un programma di riabilitazione e sostegno specifici per le dipendenza.

3° generazione. Gli effetti intergenerazionali della violenza si manifestano con una maggiore prevalenza di violenze intra-familiari. La risposta dei governi per prevenire la violenza sui minori passa attraverso l’allontanamento di questi dalle loro famiglie, spesso assegnando loro nuclei familiari surrogati non indigeni.

4° generazione. Il trauma si ripresenta sotto forma di violenza intra-familiare, esattamente nella forma con cui si è presentato nella 3° generazione.

5° generazione. In questa generazione il ciclo della violenza si ripete, aggravando il trauma originario con un sempre più crescente disagio sociale.

Lo schema è stato successivamente applicato da Atkinson per spiegare gli effetti transgenerazionali degli eventi traumatici sulle popolazioni aborigene australiane. Eventi originariamente causati dalla violenza coloniale, come epidemie “accidentali”, massacri, morti per inedia e reclusione forzata in riserve, hanno condotto, nell’arco di sei generazioni, a un incrementale aumento del tasso di violenza, abuso e di disgregazione della famiglia.

 

L’epigenetica per spiegare il trauma transgenerazionale

Le teorie del trauma transgenerazionale trovano sostegno nelle più recenti scoperte dell’epigenetica, secondo cui questo si trasmetterebbe alle future generazioni non soltanto attraverso l’esperienza, ma anche attraverso mutazioni a carico del DNA, con una maggiore probabilità di sviluppare disturbi stress-correlati a causa di ridotti livelli di cortisolo, l’ormone dello stress che permette al corpo di stabilizzarsi velocemente dopo un trauma (Yehuda et al 2015).

Nel suo lungo lavoro a contatto con le popolazioni indigene dell’Australia del nord, Atkinson ha formulato programmi di cura mirati a interrompere la catena epigenetica del trauma storico. Nel suo libro “Trauma Trails: Recreating Song Lines” (2002), Atkinson descrive programmi di cura fondati su un modello di cura graduale basato sulla pratica del “dadirri”.

In lingua aborigena, la parola “dadirri” significa “ascolto interno e consapevolezza contemplativa”. “Dadirri” è un’esperienza reiterativa di ascolto non giudicante. Nel “dadirri”: “conoscersi è respirare insieme. Respirare insieme è ascoltarsi profondamente. Ascoltarsi profondamente è connettersi l’un l’altro”. I programmi di Atkinson sono basati sulla pratica del “dadirri” con il fine di incoraggiare così il pensiero astratto, facilitare la regolazione emotiva e l’integrazione somato-sensoriale, verso una riattivazione della vitalità dell’individuo.

Il modello di cura proposto da Atkinson non ricalca la modalità coloniale d’imposizione della cultura occidentale, ma si costituisce a partire dalle stesse radici culturali della popolazione cui sono rivolte, partendo dall’assunto secondo cui la cura dei legami interrotti passa attraverso il linguaggio, le credenze, i rituali e le tradizioni del popolo che è stato intimamente ferito, fino a tessere di nuovo la trama di quel ciclo di significati condivisi interrotto che è caratteristico del trauma collettivo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Atkinson, J. Trauma Trails: Recreating Song Lines. Melbourne: Spinifex Press, 2002.
  • Erikson, K.T. Everything in Its Path: Destruction of Community in the Buffalo Creek Flood. New York: Simon and Schuster, 1976.
  • Levine, P. Kline M. (2006). Trauma Through a Child's Eyes: Awakening the Ordinary Miracle of Healing; Infancy Through Adolescence. North Atlantic Books, Berkeley USA.
  • Muid, O. Then I lost my spirit: An analytical essay on transgenerational theory and its application to oppressed people of color nations. Ann Arbor, MI: UMI dissertation Services/ ProQuest, 2006.
  • Salzman, M. B.; Halloran, M. J. Cultural trauma and recovery: Cultural meaning, self-esteem, and the reconstruction of the cultural anxiety buffer. Handbook of experimental existential psychology, 2004, 231-246.
  • Yehuda, Rachel, et al. Lower methylation of glucocorticoid receptor gene promoter 1 F in peripheral blood of veterans with posttraumatic stress disorder. Biological psychiatry, 2015, 77.4: 356-364.
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