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Il distress nei pazienti oncologici: cos’è, come si valuta e come si agisce

Il distress nei pazienti oncologici è molto frequente ed è importante valutarlo con strumenti specifici per poter intervenire sostenendo i pazienti. 

Di Katia Liverani

Pubblicato il 09 Giu. 2016

Aggiornato il 10 Ott. 2019 12:31

Distress nei pazienti oncologici: La diagnosi e il trattamento del cancro sono accompagnati da significative conseguenze psicologiche, che portano a sintomi da distress emotivo e a disturbi quali ansia e depressione, nel 30-40% dei pazienti (Grassi et al., 2005). Però, la depressione, pur essendo il disturbo psichiatrico più comune nei pazienti con il cancro e sia associato a significative menomazioni funzionali, viene sotto-diagnosticata e non trattata, portando ad un peggioramento della qualità di vita, ad un aumento dell’ansia e del dolore corporeo ed ad una diminuzione della vitalità e delle funzioni sociali (Hopko et al., 2008).

 

Il distress nei pazienti oncologici

Nel 1997, il National Comprehensive Cancer Network (NCCN), riunì una commissione multidisciplinare per esaminare le preoccupazioni psicosociali dei pazienti. La commissione scoprì che “distress” era la parola migliore per rappresentare la gamma delle preoccupazioni emotive dei pazienti con esperienza di cancro senza portare lo stigma delle altre parole qualche volta usate per i sintomi emotivi e raccomandò di utilizzare una semplice domanda: “Qual è il tuo distress in una scala da 0 a 10?” utilizzando i punteggi di 4 o maggiore di 4 come punto da cui partire per ulteriori domande e possibile invio ad un Servizio Psicosociale.

Nel 2003, la commissione del NCCN per la gestione del distress nei pazienti oncologici, pubblicò standards più precisi di cura psicosociale e gestione del distress, che stabiliva per la prima volta delle indicazioni:
– Il distress doveva essere riconosciuto, monitorato, documentato e trattato a tutti gli stadi di malattia.
– Tutti i pazienti dovevano essere valutati in relazione al distress durante la prima visita, ad intervalli di tempo, in base alle indicazioni cliniche e specialmente in caso di cambiamenti della malattia, quali remissioni, ricorrenze e progressioni.
– La valutazione doveva identificare il livello e la natura del distress.
– Il distress doveva essere valutato e gestito secondo le linee guida della pratica clinica.

Ad oggi, il National Comprehensive Cancer Network (NCCN) definisce il Distress nei pazienti oncologici come un’esperienza emozionale spiacevole, multifattoriale -psicologica, sociale e/o spirituale – che può interferire negativamente con la capacità di affrontare il cancro, i suoi sintomi fisici, il suo trattamento. Il Distress si estende lungo un continuum che va da normali sentimenti di vulnerabilità, tristezza e paura, a problemi che possono diventare disabilitanti, come depressione, ansia, panico, isolamento sociale, crisi esistenziale e spirituale.

Molti studi, infatti, hanno dimostrato che dai pazienti ammalati di cancro, vengono riportati sintomi di distress emotivo come conseguenza della malattia e dei trattamenti effettuati; molti di questi sintomi soddisfano i criteri di diagnosi psichiatriche quali disturbi dell’adattamento, ansia e depressione (Mitchell, Chan, et al., 2011)
Sebbene questo danneggi la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari, portando ad un percorso riabilitativo più lungo, meno del 33% dei pazienti con il cancro che hanno una diagnosi di distress sono riconosciuti nell’ambiente oncologico e conseguentemente inviati ad un intervento clinico appropriato. (Mitchell, Vahabzadeh et al., 2011).

Per questi motivi, sono state sviluppate molte linee guida di screening psicosociale e il distress è stato indicato come il sesto parametro vitale, dopo la pressione arteriosa, il polso, la respirazione, la temperatura e il dolore che deve essere monitorato per identificare i pazienti che necessitano di intervento clinico (Bultz et al., 2006).

 

Come valutare il distress nei pazienti oncologici

Per misurare il Distress nei pazienti oncologici è stato sviluppato uno strumento semplice ed efficace, il Termometro del Distress, che misura il livello di sofferenza e le sue possibili cause (Holland et al., 2010). Attraverso questo strumento si chiede al paziente di descrivere la quantità di disagio emotivo che ha provato nell’ultima settimana indicando un numero che va da 0 (nessun disagio emotivo – nessuno stress) a 10 (massimo disagio emotivo – massimo stress) in un termometro disegnato. Si chiede, inoltre, di indicare con una crocetta sì/ no se i problemi elencati in una lista (Problem List) e raggruppati in 5 categorie, che sono emersi nell’ultima settimana. Le categorie individuate sono: problemi pratici (es. nella cura dei figli, di alloggio, economici, ecc.); problemi relazionali (es. nel rapporto con il partner, con i figli, ecc.); problemi emozionali (es. depressione, paure, ecc.); aspetti spirituali; problemi fisici (es. dolore, nausea, ecc.).

Questo strumento è molto semplice da usare, occupa poco tempo (da tre a quattro minuti) per completarlo e riesce attraverso la scrittura (piuttosto che verbalmente) a far esprimere meglio le preoccupazioni al paziente.
Un altro strumento che può essere utilizzato per la misurazione del distress nei pazienti oncologici è il PDI (Psychological Distress Inventory), questionario di autovalutazione costituito da 13 items; per ciascun item, i pazienti sono invitati a segnare tra le opzioni proposte quella più vicina al loro sentire nell’ultima settimana. (Morasso et al., 1996)

La valutazione del distress sembra quindi fondamentale per migliorare la qualità di vita e le possibilità di guarigione dei pazienti oncologici; a questa valutazione, però, va aggiunta la modalità di gestione del distress.
Quindi, non solo l’uso di appropriati strumenti di screening ma anche un sistema di amministrazione e rivalutazione dei risultati dello screening, la conduzione di valutazioni di follow up e l’attribuzione di ulteriori valutazioni, supporti e trattamenti quando necessari.
Inoltre, il successo di un qualsiasi programma di screening e gestione del distress dipende dalla presenza di uno staff qualificato e formato.
Molte organizzazioni, tra cui, l’ACoS (American College of Surgeons), la NCCN (1) , l’Istituto di Medicina (Adler, Page, 2008) e la Società Americana di Clinica Oncologica (12) hanno identificato la valutazione e il trattamento del distress psicosociale nella routine della cura del cancro come uno standard di qualità delle cure.

Nel 2015, la Commissione sugli standard del cancro dell’ACoS (American College of Surgeons), ha stabilito di implementare i programmi di screening del distress psicosociale indicando 6 aspetti dello standard al quale attenersi (Williams et al., 2014):
1) Comitato: Presenza di un Comitato (gruppo di lavoro) coordinato da un responsabile che supervisiona l’amministrazione del programma con competenze specifiche nella conoscenza dei dati epidemiologici e numerici del distress nei pazienti oncologici. Necessaria l’inclusione nel processo di assistenti sociali, psicologi clinici o altri professionisti della salute mentale. Lo standard richiede una documentazione delle riunioni del comitato che discute dei risultati dello screening; ogni discussione del comitato deve partire dall’analisi dei pazienti e della classificazione dei risultati per valutare le soglie cliniche oltre le quali deve essere identificato un piano di lavoro psicologico su quel paziente. Può essere utile il feedback dei pazienti e familiari sull’effettività del programma di screening.
2) Tempo: lo screening dei pazienti dovrebbe essere effettuato durante le visite cliniche di maggior impatto emotivo (alla prima diagnosi, ad appropriati intervalli, al cambio di stato della malattia e trattamento). La poca letteratura disponibile è a favore dello screening ad ogni visita; nella pratica viene fatto al momento della presa in carico in oncologia che corrisponde al momento della diagnosi; sarebbe, comunque, opportuno non somministrare lo screening una volta sola perché il distress può intervenire in vari momenti anche dopo la diagnosi.
3) Metodo: Lo screening può essere amministrato sia dai medici (che permette una valutazione immediata del questionario ed eventuali azioni in caso di rischio suicidiario) sia dai pazienti (la maggior privacy può facilitare l’apertura del paziente; tuttavia l’attendibilità può essere compromessa dal livello culturale e di comprensione dello strumento). Attualmente si stanno diffondendo strumenti elettronici del distress che possono integrare il materiale in possesso del medico.
4) Strumenti: Dato che il distress ha dimensioni multiple, strumenti che valutino solo un aspetto, come la depressione e l’ansia, non sono sufficienti. Vengono consigliati, quindi, strumenti multidimensionali, psicometricamente validati preferibilmente in pazienti oncologici. Esempi di strumenti sono il DT (Distress Thermometer) e il PHQ-4 (Patient Health Questionnaire – 4).
5) Valutazione: viene raccomandato un protocollo standardizzato per la valutazione dei punteggi e dei risultati dello screening per identificare i pazienti che necessitino di follow-up e di ulteriori valutazioni. Il protocollo dovrebbe prevedere i seguenti ruoli:
– Un membro responsabile dello staff che supervisioni l’utilizzo dello strumento di screening, raccolga i risultati e assicuri che la valutazione venga effettuata da personale clinico qualificato.
– Un team di clinici (infermieri, assistenti sociali, psicologi) responsabili per la valutazione dei dati dello screening e la scelta dei pazienti che richiedono follow-up.
– Un team di clinici responsabili del follow-up dei pazienti affetti da distress. Il follow up dovrebbe includere i risultati dello screening e ricostruire una breve storia e possibilmente somministrare strumenti aggiuntivi per chiarire il tipo e la severità e le fonti del distress. Viene raccomandata l’indagine sul rischio suicidario per via dell’aumento dei casi in oncologia.
6) Documentazione: i clinici dovrebbero documentare nella cartella medica lo strumento usato, i risultati e le interpretazioni cliniche dello screening; per i pazienti per i quali viene identificato un distress dovrebbero essere identificati i seguenti punti: i risultati dello screening, un piano di follow up, il tipo, la fonte e la severità del distress, la storia rilevante, ogni tipo di ideazione suicidaria, tipo di interventi raccomandati, inclusi un piano per eventuali ulteriori valutazioni.

Concludendo, questo tipo di programma potrebbe migliorare la qualità della cura e portare ad una diminuzione della sofferenza e ad un accrescimento del livello di soddisfazione dei pazienti, migliorando i risultati in termini di salute.

 

Alcuni studi sul distress nei pazienti oncologici

In uno studio effettuato nel 2013 (Grassi et al., ) è stato evidenziato come il termometro del distress, proposto dal NCCN, sia uno strumento semplice ed efficace anche per i pazienti ammalati di cancro italiani e come tale strumento sia paragonabile ad altri strumenti quali l’HADS (Hospital Anxiety and Depression Scale) e il BSI-18 (Brief Symptom Inventory -18) e che il suo utilizzo aumenta la rilevazione del distress nella pratica clinica.

In questo studio si è constatato come il distress non sia correlato all’età, all’educazione, allo stato civile, allo stadio della malattia cancerogena o al tipo di intervento; non è neanche correlato alla comorbidità medica. E’ invece, associato al genere (viene rilevato maggiore distress nelle donne) e a precedenti disturbi psicologici ed eventi di vita stressanti prima della diagnosi di cancro; inoltre la presenza di sintomi fisici possono aumentare il rischio di distress.

In un altro studio effettuato nel 2014 (Fabbri et al., 2014) si è indagato se ad alti livelli di distress siano correlati una maggiore disponibilità ad effettuare un colloquio psicologico e se esiste una correlazione tra età, sesso, livello di distress e accettazione del colloquio.
I risultati dello studio indicano che, per il primo quesito, il 75% dei pazienti con elevato distress ha espresso la disponibilità a parlare con uno psicologo. La restante percentuale, pur avendo un livello di distress elevato, non ha dato questa disponibilità.

Invece, il 70,7 % dei pazienti che hanno espresso la disponibilità al colloquio con lo psicologo al termine della batteria di test somministrata risulterà poi avere bassi livelli di distress. Questo risultato conferma la letteratura esistente che riporta come la disponibilità a ricevere supporto psicologico non sia sempre correlata con il disagio percepito dai pazienti. (Merckaert et al., 2010)
Per quanto riguarda il secondo quesito, lo studio evidenzia che la probabilità di accettare il colloquio diminuisce all’aumentare dell’età ed aumenta al crescere dei valori del distress.

Infine è interessante sottolineare come negli ultimi anni il programma di riduzione dello stress basato sulla consapevolezza (MBSR – Mindfulness based stress reduction) sia divenuto un intervento psicosociale promettente per i pazienti oncologici. La Mindfulness viene definita come la consapevolezza, che si coltiva esercitando l’attenzione in una modalità intensa e peculiare, ossia con intenzione, nel momento presente, e senza attitudine giudicante (Kabat-Zinn 2012). L’MBSR, attraverso pratiche di meditazione, aiuta i partecipanti a prestare attenzione al passato e alle esperienze correnti, imparando a disimpegnarsi dai pensieri disfunzionali e concentrandosi sulle sensazioni emotive e corporee del momento presente; permette di fornire ai partecipanti, la capacità di fare un passo indietro rispetto alla ruminazione circa il passato e il rimuginio per il futuro, semplicemente vivendo le esperienze. (Kabat-Zinn 1990; Segal et al., 2002). Una recente meta-analisi (Piet et al., 2012) ha concluso che c’è un’evidenza positiva che l’uso degli interventi basati sulla Mindfulness riducano il distress nei pazienti oncologici.

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