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Malattia di Alzheimer: il sintomo dell’apatia

Nella malattia di Alzheimer già nelle fasi precoci compare il sintomo dell'apatia, che consiste nella mancanza di interessi e motivazione. 

Di Giulia Cesetti

Pubblicato il 16 Mag. 2016

Aggiornato il 23 Ott. 2017 13:21

L’apatia si manifesta solitamente nelle fasi precoci della malattia di Alzheimer, ma persiste con la progressione della stessa, e rappresenta uno tra i sintomi neuropsichiatrici più diffusi nelle persone con demenza. Nel 2008 il Consorzio Europeo della malattia di Alzheimer ha emesso le linee guida per la diagnosi dell’apatia

Giulia Cesetti, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI SAN BENEDETTO DEL TRONTO

Introduzione: la diagnosi della malattia di Alzheimer

[blockquote style=”1″]Diventando più emotivi e meno cognitivi, noi ricorderemo il modo in cui ci parlate, non quello che ci dite. Conosciamo i sentimenti ma non la trama. Il vostro sorriso, la vostra risata, il vostro tocco sono le cose con cui noi possiamo entrare in relazione. L’empatia è una cura. Amateci per come siamo. Siamo ancora qui, con le nostre emozioni e con il nostro spirito, se solo riusciste a trovarci.[/blockquote]
(Christine Bryden,2005, p.138)

La demenza è una sindrome clinica caratterizzata da perdita delle funzioni cognitive di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative del paziente. Oltre ai sintomi cognitivi sono presenti sintomi non cognitivi, che riguardano la sfera della personalità, l’affettività, l’ideazione, la percezione, le funzioni vegetative e il comportamento (Boller & Traykov, 1999).

Tra le diverse forme di demenza, la malattia di Alzheimer è quella più diffusa (Ott, Breteler, van Harskamp, Stijnen& Hofman, 1998).
La progressione della malattia è caratterizzata da stadi in cui si evidenziano specifici clusters di sintomi e segni cognitivi e funzionali (Dubois et al.,2007).
Nel grado lieve possono presentarsi disturbi di memoria di lieve entità, deficit di problem solving, episodi di disorientamento tempo-spaziale, ansia e depressione anche per la consapevolezza del deficit e anomie.
Il grado moderato è caratterizzato da deficit che interferiscono con la vita quotidiana, scarsa igiene personale, incontinenza urinaria e disturbi del comportamento.
Nel livello grave si possono presentare sintomi come la fatica nella deambulazione, mancati riconoscimenti e linguaggio ridotto.
La fase terminale è caratterizzata da catatonie e complicanze internistiche che portano alla morte.

Le caratteristiche della malattia possono variare da persona a persona, tuttavia la manifestazione iniziale è generalmente subdola e insidiosa e il decorso cronico-progressivo. I sintomi iniziali sono spesso attribuiti ad un normale invecchiamento, allo stress o alla depressione. Nella maggioranza dei casi solo a distanza di uno/due anni dall’esordio la malattia è tale da portare i familiari a richiedere un aiuto specialistico. La presenza di sintomi cognitivi e non cognitivi pone delle difficoltà in termini di diagnosi differenziale e un ritardo nell’individuazione precoce della malattia.

 

Il sintomo dell’apatia nella malattia di Alzheimer

L’apatia può essere definita come una perdita di motivazione rispetto al precedente livello di funzionamento dell’individuo; si manifesta con una diminuzione degli obiettivi di tipo cognitivo e comportamentale (Marin,1991). Tra i pazienti con diagnosi di malattia di Alzheimer (AD) la frequenza dell’apatia si colloca in un intervallo tra il 25% e il 50% (Landes, Sperry, Strauss & Geldmacher, 2001). La depressione è uno dei maggiori disturbi psichiatrici correlati all’apatia nella malattia di Alzheimer, la perdita di interessi e di motivazione sono sintomi comuni ad entrambe le sindromi (Starkstein, Petracca, Chemerinski& Kremer, 2001). Tuttavia l’apatia non deve essere interpretata come un mero sintomo di depressione, considerando il fatto che circa la metà dei pazienti con malattia di Alzheimer che manifestano apatia non presentano una depressione in concomitanza (Starkstein et al.,2001).

L’apatia si manifesta solitamente nelle fasi precoci della malattia, ma persiste con la progressione della stessa, e rappresenta uno tra i sintomi neuropsichiatrici più diffusi nelle persone con demenza (Lyketsos, Lopez, Jones, Fitzpatrick, Breitner, & DeKosky, 2002). Nel 2008 il Consorzio Europeo della malattia di Alzheimer ha emesso le linee guida per la diagnosi dell’apatia (Winblad et al., 2008). Secondo queste linee guida per una corretta diagnosi di apatia la diminuzione della motivazione deve permanere per non meno di quattro settimane e due delle seguenti tre dimensioni devono essere presenti: riduzione dei comportamenti diretti ad un scopo, diminuzione dell’attività cognitiva diretta ad uno scopo ed emotività ridotta. Inoltre, la compromissione funzionale dovrebbe essere attribuibile all’apatia (Robert et al., 2009).

Perché l’apatia possa essere diagnosticata la persona con Alzheimer deve soddisfare i seguenti criteri: A, B, C e D.
Criterio A. Perdita o diminuzione della motivazione in confronto al livello precedente di funzionamento del paziente, la stessa non è coerente con la sua età o la cultura. Questi cambiamenti nella motivazione possono essere segnalati dal paziente stesso o da osservazioni di altri.
Criterio B. Significativa presenza di almeno un sintomo in almeno 2 dei seguenti 3 domini per un periodo di almeno 4 settimane, presente per la maggior parte del tempo.
B1. Dominio del comportamento: Perdita o diminuzione del comportamento diretto ad uno scopo che si evince da uno dei seguenti comportamenti: diminuzione dell’iniziativa alla partecipazione ad attività sociali, ad iniziare o a rispondere ad una conversazione o ad impegnarsi in attività di vita quotidiana.
B2. Dominio della cognizione: la perdita dell’attività cognitiva è dimostrata da almeno uno dei seguenti sintomi: perdita di curiosità/idee spontanee per eventi nuovi e/o di routine.
B3. Dominio delle emozioni: diminuzione dell’emotività comprovata da almeno uno dei seguenti aspetti: perdita di emozione spontanea osservata o auto riferita, ad esempio sensazione soggettiva di emozioni deboli o assenti o l’osservazione da parte di altri di un appiattimento affettivo; perdita di reattività emozionale a stimoli o eventi positivi o negativi.
Criterio C. Questi sintomi (A e B) causano un disagio clinicamente significativo e una compromissione personale, sociale e occupazionale.
Criterio D. I sintomi (A e B) non sono causati esclusivamente da disabilità fisiche (ad esempio, la cecità o la perdita dell’udito), dalle disabilità motorie, dal ridotto livello di coscienza o da effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio, uso di droga o farmaci).
L’apatia potrebbe derivare dalle limitazioni funzionali causate dal deficit cognitivo (Landers et al., 2001).

Diversi studi hanno dimostrato un’associazione significativa tra l’apatia e una riduzione dell’attività metabolica nelle regioni pre frontali (Benoit, Clairet, Koulibaly, Darcourt & Robert, 2004; Craig, Cummings, Fairbanks, Itti, Miller, Li & Mena, 1996) suggerendo che i cambiamenti neuropatologici alla base dell’apatia possono in parte spiegare l’alta frequenza della stessa in pazienti con malattia di Alzheimer.

Ci sono diversi strumenti in letteratura che valutano la presenza di apatia nella persona con malattia di Alzheimer. Uno di questi è l’Apathy Scale (Robert et al.,2002), un questionario dotato di una buona validità e affidabilità composto da 14 item. Il questionario viene compilato dai familiari dei pazienti o da un caregiver e valuta 3 dimensioni che definiscono l’apatia: l’ottundimento emotivo, la mancanza di iniziativa e la mancanza di interessi.
Uno studio longitudinale (Starkstein, Jorge, Mizrahi & Robinson, 2006) ha valutato 354 persone con diagnosi di malattia di Alzheimer e ha misurato la presenza di apatia attraverso il questionario Apathy Scale (Robert et al., 2002) e mediante criteri standardizzati.

Inoltre, sono stati misurati altri aspetti tra i quali la depressione, la compromissione funzionale e il funzionamento cognitivo globale. I risultati hanno evidenziato come l’apatia rappresenti un predittore significativo di una maggiore depressione e di un declino funzionale e cognitivo più rapido.
La sindrome apatica nella malattia di Alzheimer è associata ad un maggiore rischio di mortalità. (Vilalta-Franch, Calvó-Perxas, Garre-Olmo, Turró-Garriga & López-Pousa, 2013).

L’apatia nella persona con malattia di Alzheimer spesso è anche responsabile di un aumento dello stress nei caregivers (Samus et al., 2005; Weiner, Hynan, Bret & White, 2005) e nel corso del tempo la rabbia e i conflitti conseguenti rendono l’apatia un fattore di rischio per l’istituzionalizzazione (Rea, Carotenuto, Fasanaro, Traini & Amenta, 2014).

 

Il trattamento dell’apatia nella malattia di Alzheimer

Considerando il ruolo esercitato dall’apatia nella malattia di Alzheimer, diversi studi hanno indagato la possibilità di ridurre la sindrome apatica attraverso trattamenti farmacologici e/o non farmacologici. Attualmente l’epidemiologia, la patogenesi e il trattamento dell’apatia nella malattia di Alzheimer sono poco chiari e controversi (Drijgers, Aalten, Winogrodzka, Verhey& Leentjens, 2009; Levy & Dubois, 2006; Robert, Mulin, Malléa& David, 2010). Il trattamento farmacologico nella persona con demenza non permette una restituito ad integrum, ma, al massimo consente un lieve rallentamento della malattia. Attualmente il trattamento farmacologico della demenza si basa sulla prescrizione di inibitori dell’acetilcolinesterasi (Donepezil, Rivastigmina, Galantamina) e sull’antagonista del recettore NMDA (Memantina). Questi farmaci sembrano indurre miglioramenti modesti sulle funzioni cognitive, sull’attività della vita quotidiana e sui sintomi comportamentali della demenza in pazienti con un livello di malattia da lieve a grave (Black et al.,2007; Erkinjuntti, Kurz, Gauthier, Bullock, Lilienfeld& Damaraju, 2002; Reisberg, Doody, Stöffler, Schmitt, Ferris & Möbius, 2003).

Tuttavia, secondo una recente review della letteratura (Rea et al.,2014) non vi è ancora un evidente vantaggio di una particolare terapia farmacologica nel trattamento dell’apatia. Lo stesso resta una delle principali sfide nella cura della malattia di Alzheimer.
L’uso dei farmaci in persone con malattia di Alzheimer in alcuni casi non ha mostrato un effetto superiore rispetto al placebo e può essere causa di un peggioramento del disturbo (Doody et al.,2013; McCleery Cohen, & Sharpley,2014; Schneider, Dagerman, & Insel, 2005). Per tali ragioni parte dell’attenzione è stata rivolta anche alle cosiddette terapie non farmacologiche, che hanno dimostrato una certa efficacia nella riduzione dei sintomi comportamentali, psicotici e nel miglioramento dei sintomi cognitivi, del benessere e della qualità della vita delle persone con malattia di Alzheimer (Chen, Liu, Lin, Peng, Chen, Liu, & Chen, 2014; Cooper et al., 2012; Mitchell, McCormack & McCance, 2014; Spagnolo, Aricò, Bergamelli, Mazzucco, Boldrini, Di Giorgi & Gallucci,2015).

Uno studio pilota (Spagnolo et al.,2015) ha indagato il ruolo della stimolazione cognitiva caratterizzata da un’associazione sequenziale di 3 terapie non farmacologiche: la Rot (Realty Orientation Therapy) (Spector, Davies, Woods & 2000), la terapia della Reminiscenza (Goldwasser, Auerbach, & Harkins,1987) e quella della Rimotivazione (Mazzucchi,2006).  Il programma (3R-CS) è stato applicato a 36 pazienti e ai loro caregiver. Tutti i pazienti hanno ricevuto un assessment multidimensionale che consisteva nell’individuare informazioni di carattere socio-demografico, clinico e neuropsicologico.

Al termine del trattamento è stato dimostrato un miglioramento significativo per quanto riguarda l’aspetto cognitivo e delle autonomie nelle attività della vita quotidiana. I sintomi comportamentali delle persone con malattia di Alzheimer e lo stress del caregiver hanno mostrato una significativa riduzione. Considerando la scarsità di dati presenti in letteratura sarebbe importante realizzare studi controllati e randomizzati al fine di indagare gli effetti delle terapie farmacologiche e non farmacologiche e una loro possibile associazione.

In particolare per approfondire gli effetti dei trattamenti nella riduzione dell’apatia occorrerebbe misurare il costrutto in modo adeguato considerando sia la percezione dei familiari che quella di operatori e caregiver, cercando di isolare possibili variabili confondenti e considerando le differenze già individuate in letteratura tra apatia e depressione.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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