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Veloce come il vento: la storia di Carlo Capone (2016) – Cinema & Psicologia

Il film di Matteo Rovere racconta la storia vera di Carlo Capone, un campione di rally degli anni '80 e il suo rapporto con la tossicodipendenza. 

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 19 Apr. 2016

In poche parole, Matteo Rovere scrive un capolavoro. E la recensione potremmo chiuderla qui.

Ispirato liberamente alla vita di Carlo Capone: pilota di rally all’apice della gloria negli anni ‘80 e campione europeo nel 1984, noto per il suo carattere aggressivo e poco incline a seguire le indicazioni della scuderia, Capone ha concluso la carriera l’anno dopo ritirandosi improvvisamente dalle corse. Poco dopo il suo ritiro emergono notizie che parlano di una tossicodipendenza, di una figlia morta, di problemi con la moglie; comunque sia, al momento è all’interno di una struttura psichiatrica in Piemonte.

Nel film Carlo Capone diventa Loris, nei panni di Stefano Accorsi, che i più si ricorderanno per l’esordio al grande pubblico in Radiofreccia e importanti interpretazioni dirette da Ferzan Ozpetek (Le fate ignoranti e Saturno contro).

La trama

Protagonista indiscusso del film, all’inizio, diciamolo, non si fa volere bene per nulla. Compare vestendo perfettamente i panni dell’eroinomane anni ‘80, con tutti i crismi richiesti: vive in una roulotte con un cane e una ragazza anoressica, ex ballerina, anche lei dedita alle sostanze; non ha una stabilità, non ha un lavoro, non ha un’entrata economica. Si presenta ai fratelli Giulia e Nico dopo non essersi fatto vedere per dieci anni, in occasione della morte del padre, che ha avuto un infarto. Dopo un tentativo di appropriarsi della casa paterna con la forza, e dopo essere stato cacciato, inizia una convivenza forzata con i fratelli e con la fidanzata, dal nome forse non casuale (Annarella, cavallo di battaglia dei CCCP d’epoca). Se prima dava fastidio, adesso fa proprio arrabbiare. Si impossessa degli spazi del fratellino, usa sostanze in casa, cerca continuamente soldi. E fin qui, la parte del tossico la fa benissimo.

Poi c’è la sorella Giulia, 17 anni, pilota, capelli mezzi neri e mezzi blu, da sempre allenata dal papà che appunto muore di infarto durante una sua gara. La mamma è scappata più di una volta, lasciando i ragazzi con il padre, e Giulia ha imparato presto a badare a se stessa e al fratellino. Loris, fino a quel momento, non si era fatto vedere più di tanto. Visto il pericolo che il fratello maggiore rappresenta in casa per il piccolo Nico, Giulia cerca di allontanarlo in tutti i modi, ma alla fine è costretta a tenerlo con loro per vincoli legali. E inizia la conoscenza forzata con il fratello maggiore, quello inaffidabile, il tossico, il fuori di testa. Un po’ per convenienza e un po’ per disperazione, Giulia arriva a chiedere a Loris, ex campione di GT, di allenarla per vincere il campionato. E sotto questa stella abbiamo modo di vedere l’aspetto più bello del film. Perché oltre a essere il tossico, Loris diventa quello esperto, quello che osa ma che sa a che punto fermarsi, che le insegna come vincere in pista: [blockquote style=”1″]Tu pensi troppo. Libera la mente da tutti i problemi, l’unico pensiero deve essere: anticipo la prossima curva, quando ancora non la vedo![/blockquote]

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO IL TRAILER:

La parte più bella del film non è, come sembrerebbe, il rapporto tra fratelli e la riscoperta della famiglia. Forse la parte migliore del film è la ridefinizione di Loris, che passa dall’essere un tossicodipendente opportunista a mostrare vicinanza e bene vero, anche quando non gliene viene data la possibilità. Pronto a pensare che comunque la gente gli volterà sempre le spalle, quando vede che Giulia fa di loro due una squadra recupera impegno e dedizione e diventa una spalla sicura su cui appoggiarsi. Chi l’avrebbe mai detto. Consapevole della sua condizione (“guarda che di disperati veri ne siam rimasti in pochi”) non cerca mai un riscatto, non cavalca il tema della grande rivalsa dell’escluso, ma semplicemente si impegna in un patto con la sorella, si spende e la fine conviene che non la diciamo.

 

Conclusioni

Un film molto toccante e molto genuino (complice un accento bolognese meravigliosamente ai limiti della credibilità), dove si vede chiaramente come la costanza e la precisione (di Giulia) spesso non bastino senza una componente di rischio e di passione che portano davvero ad azzardare un poco di più. Quel poco che serve per vincere. Perché alla fine

[blockquote style=”1″]se hai tutto sotto controllo vuol dire che non stai andando abbastanza veloce.[/blockquote]

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SCRITTO DA
Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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