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Reduci e irriducibili: il dannoso aggrapparsi a un’idea fissa

E' il restringere l’attenzione su un solo aspetto che crea dipendenza da un'idea e incapacità di abbandonarla, fino a farla diventare patologica.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 29 Apr. 2016

Come può un’idea occupare un cervello per decenni, trasformare gli occhi in due fanali pieni di follia, ridurre la conversazione a un comizio, infastidire un incontro tra amici di sarcasmi astratti e immaginari contro i mulini a vento della politica o di quel che desiderate?

Questo articolo è stato pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta il 23/04/2016

 

Perché si diventa degli irriducibili reduci di un’idea, di una fede, di un’ideologia, o anche solo di un amore? Cosa ci trasforma negli spietati sacerdoti di un’ossessione? Sostituire Dio con le idee sul finire dell’ottocento non sembrò inizialmente un buon affare, vista la vendemmia di ossessionati e di fanatici che saltò fuori dalla padella della morte di Dio per finire nella brace di trenta o quarant’anni di rivolgimenti rivoluzionari e guerre mondiali che insanguinarono la prima metà del ‘900.

Una simile esplosione di fanatismo non si vedeva dai tempi delle guerre di religione. Seguì la lunga stagione degli irriducibili reduci, gente capace di rimanere bislaccamente avvinta al cadavere di un’idea per decenni. In principio parve che fosse un problema solo dei missini, poi pian piano anche l’altra ideologia del ‘900, il comunismo, manifestò la sua natura di divinità vampira che succhiava il sangue dei suoi adepti e li trasformava in zombie.

Il tirassegno contro le due ideologie del ‘900 però alla lunga stufa. Non sono soltanto le idee politiche a ridurre il cervello in poltiglia. Le cronache sono piene di eterni amanti che la buttano in tragedia e in femminicidio, anch’essi con il cervello mangiato da un’idea di donna che non ammazzano mai, ammazzano semmai la donna in carne e ossa.

Altri si fanno spolpare le ossa e la mente da ossessioni complottistiche fino a ridurre i propri pensieri in bisbigli. Per non parlare del ritorno esplosivo del fanatismo religioso, che a questo giro colpisce l’islam ossessionato dalla furia ossessiva dell’innamorato respinto contro l’occidente o la modernità o quel che volete.

E però si torna alla politica. Un tempo erano i missini che facevano la figura degli eterni reduci, dei rottami mai rottamati di un passato indimenticabile. Si stava accanto a loro un po’ basiti, un po’ si discuteva con loro, un po’ no; che parlavamo a fare? Erano tipi che in fondo non c’erano mai, presi dal monologo interiore con la loro idea di cui erano follemente innamorati.

I comunisti furono inizialmente favoriti da un’apparente benevolenza della storia, poi la storia è andata da un’altra parte e anche loro sono diventati dei maschietti impazziti perché abbandonati dalla loro donna, gente che ti parla sempre della loro ossessione che nemmeno i testimoni di Geova, anch’essi immemoramente immersi in un monologo interiore con il quale è inutile discutere; si può solo non rispondere ai loro stimoli, alle frasi gettare là a offrire l’amo di una predica inascoltabile, importune come una telefonata pubblicitaria: ma chi vi ha dato il mio numero? No, meglio cambiare argomento.

Mettersi a parlare di rivoluzioni o di amori finiti è come fermarsi a parlare ai banchetti delle offerte umanitarie, non ti mollano finché non firmi.

Come può un’idea occupare un cervello per decenni, trasformare gli occhi in due fanali pieni di follia, ridurre la conversazione a un comizio, infastidire un incontro tra amici di sarcasmi astratti e immaginari contro i mulini a vento della politica o di quel che desiderate?

Il potere magnetico delle idee affligge molti disturbi mentali. Soffrono gli ossessivi, tiranneggiati dalle loro idee di pulizia e onestà; soffrono gli ansiosi, perseguitati dall’idea del pericolo e dell’incertezza; soffrono i depressi, martellati dall’idea della rovina e della perdita di senso; ma soprattutto soffrono i deliranti, catturati più di tutti dalla loro idea dominante: l’idea d’amore del delirio erotico, l’idea di persecuzione del delirio paranoide, l’idea di religione del delirio mistico.

Il pensiero che dovrebbe essere servo e specchio della vita ne prende il posto e finisce per succhiarne il midollo. E quando l’idea ha concluso il suo lavoro, la vittima finisce per diventare un reduce, il reduce di questo processo di vampirizzazione della vita, un corpo ridotto a zombie teleguidato da un’idea di cui si è perso il senso e lo stampo ma che continua a guidare individui ridotti a larve.

Sembrerebbe la sagra della cerebralità più astratta, il culto mistico del mentalismo più disincarnato e distaccato emotivamente. Eppure quanta emozione si cela dietro questa attitudine così incorporea: le idee sono adorate non solo perché danno senso al mondo, all’esistenza, ma anche perché in esse si cerca una comunione perduta con gli altri esseri, con gli altri nuovi credenti che venerano la divinità del pensiero. La speranza è trovare degli amici, di più, dei compagni, delle anime gemelle con le quali finalmente embricarsi come le dita di una stretta di mano, condividere una fede e consolarsi della sconfinata solitudine dell’esistenza.

Un tempo si riteneva che l’inghippo stesse nel contenuto delle idee. Ideologie troppo esplicative, visioni del mondo e filosofie della storia capaci di spiegare tutto e il suo contrario catturavano gli uomini nella rete di una non vita mentale. Per questa loro arroganza –si pensava- le idee finivano per inghiottire le vite concrete.

In questo modo però si riusciva a dare un perché alle ossessioni politiche, ma non a quelle d’amore, alle fissazioni più terra terra degli amanti respinti che trascorrevano e trascorrono vite intere nel ricordo quando va bene, o quando va male nello stalking. In realtà, non è l’ampiezza del contenuto che ci trasforma negli irriducibili cultori di un’idea; ci si può fissare anche per un dettaglio, un feticcio, un particolare.

È solo il restringimento dell’attenzione su un unico aspetto che crea la dipendenza mentale da un’idea e l’incapacità di abbandonarla. È solo la cristallizzazione dell’attenzione su un unico punto che ci trasforma in irriducibili reduci, in mostri monotematici e noiosissimi.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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