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Flessibilità al lavoro: tra rischio e protezione

Flessibilità lavorativa: essere flessibili significa adattarsi alla realtà e ai cambiamenti col rischio di definire un' identità personale frammentata

Di Teresa Galanti

Pubblicato il 11 Apr. 2016

Aggiornato il 16 Lug. 2019 12:45

Per flessibilità lavorativa si intende infatti la capacità del lavoratore di gestire in maniera autonoma la propria carriera, pronto a non rimanere al proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, ma piuttosto dimostrando di poter mutare più volte, nel corso della propria vita, la propria posizione lavorativa e/o il proprio datore di lavoro.

 

La flessibilità è la capacità di un materiale di subire una forza modificando la propria forma e mantenendo la capacità di ritornare allo stato originario.

Questa definizione esprime due concetti chiave:
1- La capacità di resistere a una forza modificando la propria forma, proprio come fanno i rami degli alberi quando tira un forte vento;
2- La capacità di ripristinare la forma originaria, una volta cessata la forza.

Detto in questi termini, sembrerebbe una qualità altamente desiderabile. Idealmente parlando, il comportamento umano dovrebbe essere così: in grado di adattarsi al mutare delle circostanze senza farsi spezzare. Nel mondo del lavoro, oggi più che mai, sembra sia una componente indispensabile per chiunque desideri sopravvivere a una realtà in perenne mutamento. Per flessibilità lavorativa si intende infatti la capacità del lavoratore di gestire in maniera autonoma la propria carriera, pronto a non rimanere al proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, ma piuttosto dimostrando di poter mutare più volte, nel corso della propria vita, la propria posizione lavorativa e/o il proprio datore di lavoro. In un’ottica evolutiva e di accrescimento, la flessibilità lavorativa dovrebbe prevedere un costante miglioramento delle conoscenze del lavoratore e di conseguenza del livello occupazionale raggiunto, sia per quanto riguarda il versante economico, sia per quanto riguarda quello delle competenze professionali. In senso più lato, la flessibilità interessa anche i lavoratori con un contratto a tempo indeterminato: in questo caso la flessibilità è intesa in termini di orario, sede di lavoro e mansione, con cambiamenti auspicabilmente migliorativi.

Flessibilità lavorativa e identità personale percepita

Sempre più spesso i lavoratori si rivolgono ai servizi territoriali di Orientamento Professionale e Placement per la percezione di non avere (abbastanza) flessibilità e col bisogno di imparare a essere più flessibili. Aiutare questi clienti significa trovare insieme le strategie per modellare quelle rigidità che non permettono di adattarsi alla realtà lavorativa e ai cambiamenti che il proprio contesto di lavoro sta subendo (Gysbers et al., 2001). La domanda sorge spontanea: è possibile imparare a essere flessibili? E, nel caso in cui la risposta fosse affermativa, qual è il prezzo da pagare, in termini di identità personale e senso di sé?

L’identità personale è la capacità dell’individuo di avere consapevolezza del permanere costante del proprio Io attraverso il tempo e le diverse esperienze che hanno segnato la sua vita fino al momento presente. Tutti noi diremmo di avere almeno un’idea di chi siamo. Questa idea è il concetto di sé, ovvero una rappresentazione cognitiva di se stessi che dà coerenza e significato all’esperienza, organizzando le esperienze passate e aiutandoci a riconoscere e interpretare gli stimoli rilevanti del nostro ambiente sociale.
Un prerequisito importante per un senso di Sé continuo è la memoria: per esperire una continuità del Sé, è necessario che io ricordi oggi ciò che ho fatto e provato ieri e che domani ricordi le esperienze e i comportamenti importanti di oggi e di ieri. E non solo: il senso di continuità del Sé si estende anche al futuro. L’uomo ha infatti la capacità di prevedere Sé possibili o futuri lungo un percorso temporale attraverso il quale diventare ciò che potenzialmente può essere.

Imparare ad essere flessibili

Cerchiamo adesso di rispondere alla prima domanda: è possibile imparare a essere flessibili?
Sono in molti a farlo, a optare per la Boundaryless Career (Arthur & Rousseau, 1996; Cortini et al., 2011), una carriera senza confini capace di portare l’uomo a potenziare le proprie capacità e a realizzare se stesso. Più che possibile, è spesso necessario, per ammorbidire quell’eccessiva rigidità caratteriale che spesso genera problematiche nel contesto lavorativo e interpersonale, impedendo di modellare le proprie conoscenze e competenze a seconda della realtà lavorativa che ci si trova ad affrontare.

Ma a che costo? La flessibilità lavorativa è in grado di proteggere l’individuo in un mondo lavorativo che premia chi quotidianamente è disposto ad assumersi dei rischi (Sennett, 2002), primo fra tutti il rischio di cambiare (mansione, lavoro, città, stato…). Ma fino a che punto è lecito essere flessibili? Qualunque sia il contesto ambientale (lavorativo e non), la personalità non può perdere quel nocciolo duro d’identità che la caratterizza: la flessibilità si scontra con il carattere della persona che, come scrive Galimberti (1999), è la [blockquote style=”1″]configurazione relativamente permanente di un individuo a cui ricondurre gli aspetti abituali e tipici del suo comportamento che appaiono tra loro integrati sia nel senso intrapsichico che in quello interpersonale. [/blockquote]

Il significato del termine inglese character “indole, natura, qualità morali” denota chiaramente la componente etica della parola. Il carattere è qualcosa che si costruisce nel mondo, con l’esperienza, e trova espressione in quei valori di fedeltà e impegno reciproco che si traducono nel tentativo di raggiungere obiettivi a lungo termine.

I rischi della flessibilità lavorativa

Ma come è possibile perseguire obiettivi a lungo termine in un contesto lavorativo che ruota attorno al breve periodo? Come si può mantenere fedeltà e impegno reciproco all’interno di aziende che subiscono costantemente processi di destrutturazione e ristrutturazione?
Sembra che le qualità richieste dal mondo del lavoro, flessibilità, adattabilità, assunzione di rischi, e quelle richieste dalla morale (in altre parole dal carattere), fedeltà e impegno reciproco, non siano le stesse, con conseguenze in termini di rischio identitario: il senso di sé ha bisogno di stabilità e coerenza, di linearità, e nessuna di queste caratteristiche si addice all’attuale mercato del lavoro, dove imprevedibilità e insicurezza fanno da padrone.

Come può una persona sviluppare una narrazione della propria vita, come può raccontarsi, se la sua esistenza è composta di episodi e frammenti? Ecco quindi che la flessibilità, di per sé qualcosa di auspicabile, indice di maturità e di employability, diventa un rischio (Sennett, 2002). Sperimentare il tempo scollegato al lavoro mette a rischio la capacità dell’uomo di trasformare le proprie esperienze in narrazioni continue. Una concezione dell’uomo come “una canna sbattuta dal vento” è pericolosa: l’essere umano ha una sua stabilità e forma al di là dell’ambiente che non deve essere spezzata.

Infine un altro rischio insito nell’estrema flessibilità che il mondo del lavoro oggi sembra imporci riguarda la minaccia al senso di identità sociale. Essa è definita come quella parte del concetto di sé di una persona che deriva dalla consapevolezza di essere parte di un gruppo sociale, insieme al significato valutativo ed emotivo associato a tale appartenenza (Tajfel e Turner, 1979, in Hewstone et al., 2008).

Essere flessibili comporta inevitabilmente sacrifici sul piano relazionale e ostacola la capacità innata dell’individuo di creare legami. Penso alla volpe di Antoine De Saint-Exupéry. Se quel giorno, invece del piccolo Principe, avesse trovato un giovane Proteo, intento a realizzare il mito dell’uomo che si fa da solo, flessibile e determinato a realizzare se stesso a ogni costo, sarebbe riuscita a convincerlo a farsi addomesticare?

La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe.
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, disse il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose”.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!”
“Che cosa bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Arthur, B. A. & Rousseau, D. (1996) The Boundaryless Career.A New Employment Principle for a New Organizational Era; Oxford, Oxford Academy Press.
  • Cortini, M., Tanucci, G., Morin, E. (eds) (2011) Boundaryless Careers: an interdisciplinary approach. New York, Palgrave MacMillan.
  • Galimberti, U. (1999) Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica. Feltrinelli, Milano
  • Gysbers, N. C., Heppner, JM. J., Johnston, J.A. (2001). L’orientamento professionale, Giunti OS, Firenze
  • Hewstone, M., Stroebe, W., Jonas, K., Voci, A. (2008). Introduzione alla psicologia sociale, Il Mulino, Bologna.
  • Sennett, R. (2002) L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano
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