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Studio comportamentale sull’obbedienza di Stanley Milgram – I grandi esperimenti di psicologia Nr. 6

L'esperimento di Milgram ha dimostrato come tendenzialmente l'essere umano obbedisca all'autorità anche nel caso in cui debba far del male all'altro. 

Di Alessia Offredi

Pubblicato il 04 Apr. 2016

#6: Studio comportamentale sull’obbedienza di Stanley Milgram (1963)
Vi presentiamo una serie di articoli relativi ai più grandi esperimenti in ambito sociologico e psicologico. Per fare ciò abbiamo cercato di risalire alle fonti originarie, ai primi articoli divulgati dagli autori. In questo modo sarà più facile vivere le loro scoperte a partire dalle loro stesse ipotesi e respirare un’aria in cui, liberi (purtroppo) da vincoli etici, tutto era possibile in favore della scienza.

 

Introduzione

Nel 1961 Stanley Milgram lavora alla Yale University e i suoi studi si focalizzano sul tema dell’obbedienza. Nella società in cui vive (non così diversa dalla nostra) sembra essere indispensabile la presenza di un’autorità, dalla quale può sottrarsi solo chi vive in totale isolamento. La riflessione di Milgram parte dalla diffusione dell’ideologia nazista: nel 1933 sono stati uccisi 45 milioni di persone, per volontà di un solo uomo, i cui ordini venivano eseguiti in larga scala.

L’obbedienza viene definita in questi anni come il meccanismo psicologico che collega l’azione individuale a uno scopo politico. La storia recente suggerisce che l’obbedienza può indurre le persone a mettere in atto determinati comportamenti, al di là delle convinzioni etiche, di sentimenti di vicinanza al prossimo o della condotta morale. Charles Percy Snow nel 1961 scrive: [blockquote style=”1″]Quando pensi alla lunga e cupa storia dell’uomo, scopri che sono stati commessi crimini terribili in nome dell’obbedienza, in misura maggiore di quanti ne siano stati commessi in nome della ribellione.[/blockquote]

 

Lo studio di Milgram

A partire da queste premesse, Milgram decide di testare la tendenza dell’uomo all’obbedienza attraverso la somministrazione di scariche elettriche a una vittima. Crea quindi un finto generatore di corrente, con 30 possibili voltaggi, in un range che va da 15 a 450 volt. La vittima è un collaboratore dello studioso, che simula risposte differenti a seconda del voltaggio indotto. Le scosse vengono gradualmente incrementate in intensità su indicazione dello sperimentatore, fino a raggiungere livelli di voltaggio indicati sull’apparecchio come altamente pericolosi. Il momento in cui il soggetto si rifiuta di procedere nel somministrare le scariche elettriche viene definito come atto di disobbedienza e segna il termine dell’esperimento.

A ciascun partecipante viene assegnato un punteggio, sulla base del voltaggio più alto raggiunto prima dell’atto di disobbedienza. L’obiettivo dello studio è identificare e soppesare i fattori rilevanti nel determinare l’obbedienza o meno dei soggetti durante l’esperimento.
Alcune delle variabili manipolate sono: la fonte da cui proviene l’ordine di azionare il generatore, il contenuto e la forma del comando, gli strumenti per l’esecuzione dell’ordine e altro ancora.

Vengono reclutati 40 uomini, dai 20 ai 50 anni, convinti di partecipare a uno studio su memoria e apprendimento, volto a indagare il ruolo della punizione. Una persona fingerà di essere l’insegnante e l’altro lo studente, che riceverà le sanzioni previste. Lo sperimentatore viene interpretato da un 31enne professore di biologia, mentre la vittima è un uomo di 47 anni, contabile, addestrato alla parte.

Ai 40 partecipanti viene detto che la sorte deciderà chi dovrà subire le punizioni: si trovano quindi ad uno ad uno in coppia con il complice contabile, che finge di essere un partecipante alla sperimentazione. Estraggono entrambi un bigliettino da un cappello, e tutti si ritrovano a fare la parte dell’insegnante, mentre il complice estrae sempre il ruolo della vittima. In entrambi i bigliettini era scritto “insegnante”.

In una stanza attigua, il contabile viene fatto posizionare su una finta sedia elettrica, legato al fine di evitare movimenti improvvisi durante le scosse. Infine, vengono posizionati gli elettrodi. Prima di iniziare, il professore di biologia in incognito rassicura i partecipanti: [blockquote style=”1″]Anche se le scosse possono essere estremamente dolorose, non causeranno danni permanenti. [/blockquote]Ai partecipanti viene fatta provare una carica da 45 volt, per consolidare la verosimiglianza dell’apparecchiatura.

I compiti, presentati in ordine crescente di difficoltà, sono relativi all’apprendimento di alcune parole. Prima di azionare il generatore, viene detto ai soggetti di comunicare alla vittima il voltaggio prescelto. Durante la prova, lo sperimentatore istruisce i partecipanti su come partire dando scariche di 15 volt e aumentare gradualmente ad ogni risposta errata.
Al raggiungimento dei 300 volt si sente un colpo provenire dalla stanza dove si trova la vittima. Da questo momento in poi, la vittima non fornirà più alcuna risposta alle domande dei soggetti.

I partecipanti, durante lo studio, chiedono al finto sperimentatore come comportarsi. Per ogni dubbio del soggetto, Milgram ha predisposto un set di risposte da fornire. [blockquote style=”1″]Per favore, vada avanti. L’esperimento richiede che lei vada avanti. È assolutamente necessario che lei proceda. Non ha scelte, deve andare avanti.[/blockquote]

La prima variabile indagata è il livello massimo di voltaggio a cui arrivano i soggetti, a cui si aggiunge una misurazione dei tempi di latenza e della durata delle scosse. I collaboratori di Milgram annotano qualsiasi comportamento dei soggetti durante l’esperimento e al termine della procedura intervistano e somministrano alcune scale ai partecipanti. Insegnante e vittima vengono poi fatti incontrare e si cerca di congedare i partecipanti in un clima sufficientemente sereno.

 

I risultati dello studio

Prima di esporre i risultati, Milgram ci rivela un particolare in più: ha chiesto a 14 insegnanti di psicologia di Yale di predire il comportamento dei soggetti coinvolti nella ricerca. I professori affermano che solo 1.2% delle persone coinvolte avrebbe accettato di condurre l’esperimento fino alla fine, arrivando a innescare la scossa più dolorosa.

Alla fine dell’esperimento, i soggetti affermano di essere consapevoli di aver provocato scosse estremamente dolorose nella vittima (13.42 su una scala da 1 a 14). Alcuni di loro sudano, tremano, balbettano, si mordono le labbra, si lamentano, cominciano a graffiarsi. Quasi tutti ridono, nervosi. Tre di loro hanno delle convulsioni. In un caso l’esperimento deve essere interrotto.

Analizzando la distribuzione degli atti di disobbedienza, Milgram nota che 5 soggetti si fermano al momento di dare una scossa di 300 volt, ovvero quando non ricevono più segnali dalla stanza in cui è la vittima. Altri si fermano leggermente dopo. 26 persone arrivano a somministrare scosse di 450 volt. Le registrazioni effettuate ci permettono di sapere cosa pensa chi si ferma prima della fine dell’esperimento.
[blockquote style=”1″]Penso che stia cercando di comunicare, lo sento picchiare sul pavimento … Non è giusto dare scosse al ragazzo … sono voltaggi estremi. Non credo che sia umano … Oh, non posso continuare, no, non è giusto. È un incubo di esperimento. Quella persona sta soffrendo. Non voglio andare avanti. È una cosa da folli.[/blockquote]

 

Discussione dei risultati

Nel suo articolo Milgram ragiona su due punti: innanzitutto l’estrema tendenza all’obbedienza dimostrata in questa situazione. 26 persone hanno agito contro le proprie regole morali per seguire i dettami dello sperimentatore, fonte autorevole in quel setting, seppur priva di strumenti per far valere i propri dictat. La disobbedienza non sarebbe stata punita, non avrebbe comportato una perdita. E nonostante alla fine molti abbiano espresso perplessità e giudizi negativi rispetto alla procedura, in più della metà l’hanno eseguita.

Un secondo risultato inaspettato è lo straordinario clima di tensione generato durante lo studio. Milgram probabilmente poteva prevedere che la situazione sarebbe stata stressante, ma non si immaginava che i soggetti accettassero di tollerarlo.

Per cercare di capire i risultati dell’esperimento, infine, Milgram identifica alcuni punti che possono aver inciso sui livelli di obbedienza riscontrati.
1. L’autorità e la reputazione dell’istituzione a cui fa capo lo studio (la Yale University).
2. Lo scopo per cui l’azione di obbedienza è necessaria: lo sviluppo di nuove conoscenze sull’apprendimento.
3. La volontarietà della vittima nel sottoporsi alla sperimentazione.
4. La volontarietà del soggetto a partecipare alla ricerca, il che lo rende quasi obbligato a seguire lo sperimentatore, perché lui stesso ha voluto farlo.
5. Alcuni dettagli della procedura, come il fatto che i partecipanti ricevessero il denaro anche solo presentandosi al laboratorio.
6. La casualità dell’attribuzione di ruoli di insegnante/vittima e, quindi, la pari accettazione del rischio.
7. La mancanza di informazione relativa ai limiti del ricercatore, sia rispetto ai metodi adottati che al suo campo d’indagine.
8. La sicurezza di non arrecare danni permanenti.
9. Le risposte fornite dalla vittima, che potevano essere segno di volontà di partecipazione (fino ai 300 volt).
10. La necessità di fornire una risposta allo sperimentatore (continuando con la procedura) o alla vittima (interrompendosi) come unica via d’uscita, senza possibilità per il soggetto di trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti.
11. L’autorità scientifica della richiesta dello sperimentatore.
12. La mancanza di tempo per riflettere su una scelta più adeguata.
13. Il conflitto interiore derivante dalla scelta obbligata tra due principi di ordine morale: la volontà di non far del male al prossimo e la tendenza a obbedire all’autorità.

Nel 2012, Haslam e Reicher riprendono lo studio di Milgram assimilandolo al famoso esperimento di Zimbardo ed esplicitando la necessità di indagare come l’autorità giustifichi l’oppressione di altri individui o cosa spinga i soggetti ad attribuire un determinato ruolo all’autorità. Gli studiosi affermano che la tirannia non si impone per l’ignoranza o l’incapacità delle persone, bensì per un’attiva identificazione con una fonte che riesce a spacciare azioni crudeli per gesti virtuosi. Come sia possibile, questo rimane ancora purtroppo un mistero, al quale le ipotesi di Milgram non hanno trovato risposta.

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