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Terapia della bambola (Doll Therapy): un aiuto alla persona con demenza

La terapia della bambola (Doll Therapy) favorisce sentimenti positivi di attaccamento e sicurezza e diminuzione dell'aggressività, in anziani con demenza

Di Maria Aricò

Pubblicato il 01 Mar. 2016

Attualmente sono disponibili diverse terapie per il trattamento non farmacologico delle demenze. Un intervento che trova ampio utilizzo nella pratica clinica è la cosiddetta terapia della bambola (Doll Therapy), che nasce all’interno della terapia del giocattolo.

Nelle malattie accomunate da un progressivo decadimento cognitivo, come le demenze, emergono con il passare del tempo sintomi psichiatrici e comportamentali (spesso indicati con l’acronimo BPSD, Behavioural and Psychological Symptom of Dementia).

Considerato il crescente numero di persone con demenza, si sente sempre più forte il bisogno di interventi personalizzati per attenuare i sintomi associati a questa condizione. Circa il 90% degli anziani con demenza presenta almeno un sintomo della demenza BPSD tra cui vengono inclusi: sintomi psicotici, agitazione, disturbi dell’umore come depressione, apatia e iperattività (Alzheimer Society 2014).

Kitwood (1997) sostenne che i sintomi della demenza BPSD non sono semplicemente il risultato di cambiamenti organici del cervello ma, la conseguenza della relazione tra questi cambiamenti e l’ambiente psicosociale. Per muoversi verso un modello olistico di cura alle persone con demenza, è importante limitare l’uso di farmaci neurolettici ed esplorare altri interventi per migliorarne la cura e la qualità di vita. L’uso di interventi non farmacologici nella cura del disagio invita gli operatori sanitari ad assumere un approccio di cura centrato sulla persona.

 

La terapia della bambola per i sintomi della demenza

Attualmente sono disponibili diverse terapie per il trattamento non farmacologico dei sintomi della demenza BPSD. Un intervento che trova ampio utilizzo nella pratica clinica è la cosiddetta terapia della bambola (Doll Therapy), che nasce all’interno della terapia del giocattolo, diffusasi negli anni ‘80 negli USA e in Australia. Gli studi osservarono che l’uso dei giocattoli favoriva sentimenti positivi di attaccamento e sicurezza, miglioramenti nella comunicazione, e una diminuzione dei comportamenti aggressivi e oppositivi, in anziani con varie forme di demenza.

Attraverso un’analisi retrospettiva condotta su anziani con diagnosi di demenza residenti in casa di riposo, Ellingford, James, e Mackenzie (2007) hanno rilevato un aumento di comportamenti positivi (come impegnarsi in attività) e una diminuzione di comportamenti aggressivi nei residenti coinvolti nella terapia della bambola (Doll Therapy) rispetto ai soggetti che non la utilizzavano. Heathcote e Clare (2014) hanno riportato 12 casi di pazienti che hanno mostrato grandi benefici dalla terapia della bambola come: diminuita agitazione, aumento delle interazioni, e un miglioramento dell’appetito. Ulteriori studi hanno riferito che gli anziani con demenza hanno sviluppato relazioni significative e piacevoli con le bambole, sentimenti di attaccamento e orgoglio (Stephens et al., 2013).

La terapia della bambola (Doll Therapy) si configura, quindi, come un intervento dinamico tra l’anziano, la bambola e chi sta vicino per ottenere benefici nella comunicazione, nelle relazioni, per avere effetti calmanti e una riduzione dei comportamenti socialmente inappropriati.

 

Linee guida per la terapia della bambola

Mackenzie Wood-Mitchell e James (2007) hanno fornito delle linee guida per l’uso della terapia della bambola. Tra queste vengono specificate alcune caratteristiche che le bambole dovrebbero possedere, tra cui: corpi morbidi, occhi che si aprono e chiudono per evitare l’angoscia derivante dal fatto che possano pensare che la bambola dorma o sia morta, facce e vestiti diversi e variegati per evitare confusione sul possesso con gli altri ospiti. Diversi autori consigliano di introdurre la bambola in maniera indiretta, lasciandola nelle aree comuni in modo tale da consentire una libera interazione con essa.

Gli operatori coinvolti dovrebbero inoltre garantire che le bambole non vengano tolte all’ospite senza permesso, o senza una valida spiegazione e la rassicurazione che sarà restituita. La persona con demenza decide se si tratta di un bambino o di una bambola; ed è responsabilità degli operatori rinforzare questa credenza, i quali vengono incoraggiati ad utilizzare lo stesso termine scelto dall’anziano per definire la bambola (ad es. bambino o bambola) in modo tale da non creare confusione e rassicurarlo.

La bambola ha dunque il potenziale di migliorare il benessere personale attraverso l’incoraggiamento dell’interazione e della comunicazione, di favorire l’attaccamento e il bisogno di accudimento e di fornire una stimolazione sensoriale attraverso l’attività.

 

Critiche e punti di vista sulla terapia della bambola

Nonostante i suoi potenziali benefici, la terapia della bambola è attualmente sottoutilizzata, probabilmente a causa di interpretazioni etiche negative della sua pratica (Mackenzie, Wood-Mitchell and James 2007). Questa terapia ha, infatti, ricevuto diverse critiche in passato, la maggior parte delle quali si riferiva al rischio di infantilizzare l’anziano, assumendo comportamenti lesivi della sua dignità.

Diversi autori ritengono, invece, che le terapie non farmacologiche si configurano come interventi person-centred e si basano sull’analisi dei bisogni del singolo, per questo conferiscono valore ed unicità ad ogni persona con demenza.

Forniscono, inoltre, la concreta possibilità di attenuare dei sintomi che impattano notevolmente con il benessere e la qualità di vita del soggetto e di chi gli sta accanto.

 

Terapia della bambola, servizio di Biella TV (Video)

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