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Quando buonsenso e scienza non vanno d’accordo, è il pregiudizio a guidarci

Di Maria Laura Mele

Pubblicato il 04 Mar. 2016

Aggiornato il 10 Ott. 2019 11:52

Il buonsenso è in realtà niente di più che un deposito di pregiudizi radicati nella mente prima dei diciotto anni. Il buonsenso è davvero molto comune, solo che ognuno di noi ne ha un’idea diversa.

 

Nel discorso di ringraziamento per il suo primo premio Oscar, Leonardo di Caprio ha ammonito che “chiunque non crede che il cambiamento climatico stia avvenendo non crede nella scienza”. Eppure, più della scienza, a influenzare maggiormente le nostre convinzioni sembra essere il cosiddetto “buonsenso”. Ne è esempio uno studio pubblicato nel 2015 dal CSIRO, secondo cui, tra i partecipanti che hanno dichiarato di non credere al cambiamento climatico, uno su tre ha attribuito questa sua convinzione al “common sense“.

 

Le credenze relative al “buonsenso”

Il buonsenso è spesso chiamato in causa in presenza di temi etici e politici che stimolano una presa di posizione, come sta avvenendo in questi giorni in Italia rispetto alla maternità surrogata. Ma cosa s’intende per buonsenso? In un articolo recentemente pubblicato su theconversation.com, Peter Ellerton, docente di Pensiero critico alla University of Queensland, ci guida alla comprensione del buonsenso a partire dalle principali considerazioni che ruotano attorno al concetto.

 

“Il buonsenso è ragionevole”

Durante una discussione conflittuale siamo spesso convinti che la nostra posizione sia quella ragionevole. Eppure, se così fosse, un’attenta riflessione delle parti in conflitto porterebbe a convergere verso una posizione ragionevole e sensata per tutti. Troppo spesso questo non accade, e il buonsenso si riduce alla sensazione che la nostra posizione –solo la nostra e di chi la pensa come noi!– sia l’unica ragionevole.

Per sfatare il mito del buonsenso ragionevole, l’autore cita Albert Einstein, secondo cui:

“[…] Il buonsenso è in realtà niente di più che un deposito di pregiudizi radicati nella mente prima dei diciotto anni”.

In altre parole, sottolinea Ellerton, “il common sense è davvero molto comune, solo che ognuno di noi ne ha un’idea diversa”, fondata sui propri introietti culturali e familiari.

 

“Sembra giusto”

Si potrebbe allora asserire che il buonsenso sia semplicemente ciò che sentiamo giusto, ma questo comporterebbe ignorare che ciò che riteniamo corretto per noi potrebbe essere meno giusto per altri.

Il più delle volte il buonsenso è condiviso e si evolve con la cultura di riferimento. Tuttavia, quando importanti cambiamenti etici e culturali ci richiedono di modificare troppo velocemente il nostro punto di vista sul mondo, è più facile rifiutare il cambiamento perché “sembra giusto” farlo piuttosto che cambiare il proprio punto di vista. È qui che il pregiudizio prende il posto del ragionamento, sostiene Ellerton.

Ad avvalorare la sua tesi, l’autore cita lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman nel suo libro “Pensieri lenti e veloci”, secondo cui l’essere umano non sarebbe psicologicamente “ben equipaggiato” per valutare il proprio stesso pensiero. È vero che il ragionamento euristico è uno dei motivi per cui l’uomo si è evoluto così velocemente, ma questo meccanismo di economia del ragionamento che guida verso la presa di decisione può talvolta trarci in inganno e condurci a fallacie logiche guidate da credenze e pregiudizi.

La soluzione che Ellerton consiglia per ovviare all’impossibilità di valutare da sé il proprio pensiero è la verifica sociale della conoscenza, attraverso cui possiamo sperimentare le nostre idee in modo sistematico per verificare che il buonsenso trovi fondamento anche al di fuori del nostro pensiero. L’esempio più rilevante di cognizione sociale condivisa è la scienza.

 

“La Scienza non è buonsenso”

A questo punto del suo lavoro, Ellerton precisa che scienza e buonsenso hanno radici differenti: per la scienza la terra è “rotonda” anche laddove questa risulti piatta per il buonsenso. La scienza nasce proprio in virtù del tentativo di superare la tendenza al ‘bias’ cognitivo che è propria della natura umana. In questo senso, la scienza non riguarda il singolo individuo ma la totalità della società.

 

“Pensare bene è una competenza sociale”

L’articolo termina con questa riflessione: il modo in cui un individuo s’impegna a pensare bene riflette il grado di responsabilità verso la società cui appartiene. Secondo l’autore, il pensiero critico è di matrice sociale: “siamo più intelligenti insieme di quanto lo siamo individualmente”.

L’impegno individuale a favorire un’ecologia del pensiero critico è l’elemento che riappacifica buonsenso e scienza, proprio perché permette il rispetto delle differenze di buonsenso al di là del pregiudizio.

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