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Attaccamento: cos’è e come si trasmette da una generazione all’altra

Diversi studi hanno dimostrato come spesso ci sia una corrispondenza tra lo stile di attaccamento del genitore e quello del bambino.

Di Valentina Di Dodo

Pubblicato il 19 Feb. 2016

Aggiornato il 26 Ago. 2019 12:50

La teoria dell’attaccamento secondo Bowlby

Valentina Di Dodo, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

Nel corso del secolo scorso hanno preso piede numerosi studi sul tipo di relazione che intercorre tra il bambino e la figura d’attaccamento.

A partire dalla prima metà del 1900 si vedevano già affiorare le prime teorie, più o meno verificate, sul ruolo dell’attaccamento nello sviluppo psico-fisico del bambino, fino ad arrivare agli studi di John Bowlby, considerato ad oggi il padre di questa teoria. Bowlby non è stato il primo ad occuparsi di questi argomenti, anche se inizialmente si rifaceva a studi e ricerche di altri viene comunque considerato il fondatore della teoria dell’attaccamento; questo perché non si è limitato come altri allo studio degli istinti e delle pulsioni, teoria suggerita da S. Freud, nel rapporto madre-bambino. Bowlby ha approfondito l’argomento con studi sperimentali, indagando sulle motivazioni intrinseche che legano il bambino ad una figura primaria, la madre, oltre alla ricerca di cibo. Lo psichiatra inglese notò che il piccolo non ricercava solo il nutrimento e si accorse che il legame, l’attaccamento, era legato alla ricerca di protezione, di serenità, di calore affettivo, di sensibilità da parte della madre. Fu allora che iniziò ad interrogarsi su quali fossero le conseguenze dei diversi tipi d’attaccamento, che identificò come sicuro o insicuro, su quali fossero i meccanismi che si attivano all’interno di questa relazione particolare e, in base a questi meccanismi, quale fosse il modo migliore per dare ai bambini un attaccamento sicuro.

È utile fare una distinzione tra tre concetti simili tra loro nella teoria sviluppata da Bowlby: l’attaccamento, il comportamento di attaccamento e il sistema dei comportamenti di attaccamento.

Con il termine attaccamento si fa riferimento al tipo di attaccamento di una persona che può essere sicuro o insicuro. Avere un attaccamento sicuro significa sentirsi sicuri e protetti, mentre avere un attaccamento insicuro implica una moltitudine di emozioni concomitanti e contrastanti verso la propria figura primaria, come possono essere amore, dipendenza, paura del rifiuto, vigilanza e irritabilità. Il comportamento di attaccamento viene definito come [blockquote style=”1″]ogni forma di comportamento che appare in una persona che riesce ad ottenere o a mantenere la vicinanza a un individuo preferit[/blockquote]o [Bowlby 1969], il comportamento di attaccamento è quindi attivato da una situazione di separazione dalla figura primaria, o dalla minaccia di essa, ed è eliminato con la nuova vicinanza. La differenza tra l’attaccamento e il comportamento di attaccamento è descritta da Bowlby in “Una base sicura”, scritto del 1988, dove specifica che l’attaccamento in sé non è la ricerca della vicinanza in una situazione momentanea, bensì un comportarsi in un modo pressoché invariato nel corso del tempo, che non cambia in modo repentino, come invece accade per il comportamento di attaccamento, ma che muta nel corso del tempo in modo molto lento.

Altra distinzione riguarda i soggetti verso cui si manifestano attaccamento e comportamento di attaccamento, infatti, mentre quest’ultimo può manifestarsi in condizioni diverse verso persone diverse, il primo si manifesta prevalentemente verso una sola figura di riferimento. Per quanto riguarda il sistema dei comportamenti di attaccamento si fa riferimento al modo in cui il bambino, o l’adulto, mantiene una relazione con la sua figura di attaccamento; così viene postulata l’esistenza di un’organizzazione psicologica interna che ha delle caratteristiche specifiche che comprendono schemi di sé e della figura di attaccamento. Quindi l’attaccamento e il comportamento di attaccamento si basano sul sistema dei comportamenti di attaccamento; infatti, secondo Bowlby il legame del bambino alla madre è il prodotto dell’attività di diversi sistemi comportamentali che sfociano nel tentativo di mantenere una vicinanza costante del bambino con la madre.

L’attaccamento si sviluppa nella prima infanzia attraversando alcune fasi ed evolvendo in attaccamento sicuro o insicuro. La possibilità di avere un attaccamento sicuro fornisce al bambino una “base sicura”. Questo concetto è stato rielaborato da Bowlby sul finire degli anni ’60 e si riferisce ad un ambiente caratterizzato da una madre, che permette al bambino di sentirsi pienamente protetto ed accettato; il bambino si sente sostenuto dalla base sicura e questo gli permette di rimanere solo con se stesso e di esplorare il mondo circostante senza timore.

I modelli operativi interni dell’attaccamento

Si dice che le persone ripropongano spesso situazioni già vissute. Sono stati svolti numerosi studi a favore dell’idea che questo avvenga anche per i comportamenti di attaccamento. Gli adulti ripropongono i modelli di relazione interiorizzati nell’infanzia grazie ai modelli operativi interni, ovvero [blockquote style=”1″]rappresentazioni mentali che contengono un grande numero di informazioni, su di sé e sulle figure di attaccamento, che riguardano la maniera più probabile in cui ciascuno risponderà all’altro con il cambiare delle condizioni ambientali.[/blockquote] Tali rappresentazioni mentali conducono le modalità di comportamento in quelle situazioni in cui il soggetto si prende cura di un altro e gli offre protezione.

Esiste una condizione particolare in cui un soggetto adulto riattiva i propri modelli operativi interni, le rappresentazioni delle esperienze passate e le modalità in cui si è relazionato alle figure significative nella propria infanzia: diventare genitore.

La genitorialità riguarda, infatti, il prendersi cura di un altro rispondendo alle sue richieste e ai suoi bisogni. L’elemento di continuità delle relazioni di attaccamento, dall’adulto al bambino, tuttavia non è dato dalla ripetizione fedele di quelle relazioni che hanno caratterizzato l’infanzia del genitore, piuttosto dal modo in cui l’adulto le ha rielaborate, proponendo un ambiente sensibile e responsabile all’interno del quale si sviluppa il legame di attaccamento tra il genitore e il bambino.

Sono state effettuate numerose ricerche in questa direzione, esse hanno cercato di verificare la corrispondenza tra la qualità dello stile di attaccamento dell’adulto e quella del bambino. Questa corrispondenza viene indagata con un approccio teorico e metodologico che fa riferimento agli studi fatti sui bambini attraverso la Strange Situation e gli studi sui genitori attraverso l’Adult Attachment Interview, ne risulta perciò da un lato il comportamento di attaccamento del bambino, e dall’altro una rappresentazione delle relazioni significative del genitore che influiscono, positivamente o negativamente, sulla formazione del legame tra il bambino e il genitore stesso.

L’Adult Attachment Interview per indagare l’attaccamento adulto

Sebbene inizialmente l’attaccamento sia stato studiato solo nel corso della prima infanzia, grazie a studi più recenti è stato messo in evidenza che gli stili di attaccamento potevano essere tradotti in corrispondenti pattern negli adulti. Lo strumento principalmente usato per la valutazione dei modelli operativi interni nel soggetto adulto è un’intervista semi-strutturata, somministrabile già a partire dall’adolescenza in cui al soggetto vengono poste alcune domande dirette relative alle sue relazioni da bambino con le proprie figure di attaccamento, mettendo in luce l’influenza esercitata da queste relazioni primarie nello sviluppo: l’Adult Attachment Interview (AAI).

I modelli operativi interni si riferiscono ad una rappresentazione interna del mondo, della figura di attaccamento e di se stesso; secondo la teoria dell’attaccamento la ripetizione delle relazioni si verifica perché l’esperienza interna e il comportamento nelle relazioni sono strutturati secondo modelli operativi interni o modelli rappresentazionali: i primi legami vengono interiorizzati dal bambino e rielaborati in modelli operativi interni che vanno ad influenzare le esperienze successive le quali potranno essere interpretate sulla base di rappresentazioni interne di sé e degli altri.

È stato ipotizzato che i bambini che esperiscono un attaccamento sicuro  sviluppano un modello degli altri come affidabili e disponibili, e un modello di se stessi come degni delle cure che ricevono; viceversa i bambini che non ricevono cure adeguate possono sviluppare sentimenti di rabbia e di angoscia nei confronti degli altri, e nei propri confronti sentimenti di insicurezza. Da qui hanno inizio le ricerche di Mary Main e collaboratori, i quali ritengono che le differenze nelle relazioni di attaccamento debbano riflettere le differenze delle rappresentazioni interne di queste relazioni tanto negli adulti quanto nei bambini.

Per esplorare in modo sperimentale la questione, la Main e Goldwyn hanno elaborato l’AAI, un’intervista semistrutturata composta da una serie di domande proposte al soggetto in un ordine preciso e prestabilito: nella parte iniziale viene chiesto al soggetto di indicare alcuni aggettivi che possano descrivere il rapporto con ognuno dei genitori durante l’infanzia; per ogni aggettivo viene, inoltre, chiesto di riportare alcuni ricordi che possano esemplificarli. Si chiede poi a quale genitore era più legato da bambino, e se si fosse mai sentito rifiutato da uno dei due o da entrambi. Nella parte conclusiva invece l’accento viene posto sul rapporto che il soggetto ha nel presente con i propri genitori, dando spazio alla descrizione dei cambiamenti nel rapporto. L’intervista pone il soggetto in una condizione in cui c’è il pericolo di contraddirsi o di non riuscire a sostenere le affermazioni precedenti o successive.

La struttura dell’Adult Attachment Interview si basa su due principi fondamentali: il primo riguarda il fatto che la ricostruzione del passato viene fatta alla luce delle esperienze attuali del soggetto; il secondo riguarda il fatto che c’è un’idealizzazione  del passato, in particolare delle esperienze negative dell’infanzia, che viene approfondita separatamente attraverso uno studio parallelo sul racconto autobiografico.

La codifica delle trascrizioni dell’AAI non è basata sulla descrizione della propria infanzia, piuttosto vuole indagare sul modo in cui le esperienze infantili, e in modo particolare i loro effetti sullo sviluppo della persona, si riflettono sul funzionamento corrente della vita del soggetto e il modo in cui da questo vengono valutate; le narrazioni correnti non sono altro che l’accurata rielaborazione del soggetto delle proprie esperienze infantili mentre questo le racconta.

Il sistema di codifica messo a punto da Goldwyn e da Mary Main produce tre classificazioni principali di attaccamento nell’adulto, che rappresentano tre modalità distinte di narrare le proprie esperienze infantili. I soggetti vengono classificati come “autonomi o sicuri”  quando la loro presentazione e valutazione del rapporto di attaccamento con i propri genitori da bambino risulta coerente, le risposte in questo primo caso sono date in modo chiaro, pertinente e fornendo una sintesi appropriata. È stato appurato che risultano adulti con pattern “autonomo” non solo quei bambini che hanno esperito un attaccamento sicuro, infatti, in alcuni casi i soggetti hanno un background decisamente difficile, purché essi risultino coerenti e non presentino contraddizioni nel raccontare e valutare queste esperienze.

Sono classificati come “distanzianti” quei partecipanti al test che descrivono i loro genitori in termini estremamente positivi, che però incappano in varie contraddizioni durante il racconto, un esempio di tale situazione potrebbe essere dato da un soggetto che riferendosi alla propria madre dice: “Lei era affettuosa nei miei confronti” ma poi più avanti nell’intervista si contraddice affermando: “quando mi sono ferito sono andato via, perché sapevo che lei sarebbe stata in collera con me”. Queste affermazioni, pur essendo contraddittorie, sembrano passare inosservate agli occhi del soggetto. I partecipanti classificati come “distanzianti” sostengono, inoltre, di non riuscire a ricordare le proprie esperienze di attaccamento, ma studi recenti hanno mostrato che essi non sono privi di una memoria autobiografica riguardante il proprio attaccamento, piuttosto essi tendono a minimizzare le proprie relazioni di attaccamento.

Quei soggetti che mostrano, invece una preoccupazione confusa, arrabbiata o passiva verso la figura di attaccamento vengono classificati come “preoccupati”; le trascrizioni dei racconti di questi soggetti mostrano l’uso di parole gergali o di assurdità e spesso contengono frasi poco chiare, non pertinenti e non sintetiche, sembra quasi che queste persone non siano in grado di rimanere concentrate sul focus del discorso e divaghino tra un ricordo e l’altro in modo confuso quasi incapaci di fermarsi. Si pensa che i soggetti “distanzianti” e “preoccupati” abbiano avuto un attaccamento insicuro.

C’è un’ultima categoria, introdotta in seguito sempre da Goldwyn e Main, che classifica i soggetti come “irrisolti-disorganizzati” che vede un riscontro con il pattern “disorganizzato” nella Strange Situation. Questi soggetti hanno fatto esperienza di situazioni traumatiche come una perdita o un abuso; le indicazioni che rimandano a questo tipo di pattern sono manifestate in errori momentanei nel ragionamento durante il racconto di queste esperienze traumatiche.

Negli ultimi decenni l’Adult Attachment Interview è stato applicato in un numero sempre crescente di studi sulla rappresentazione mentale degli adulti sulle loro esperienze di attaccamento infantile. È stato supposto che la rappresentazione mentale dell’attaccamento di un adulto sia collegata alla rappresentazione dell’attaccamento presente nei suoi stessi figli.

La codifica di questo test non è basata sulla relazione di attaccamento vera e propria, piuttosto sul modo in cui i soggetti hanno rielaborato le loro esperienze infantili e riflettono su di esse soffermandosi sugli effetti attuali che queste hanno sul loro funzionamento come adulti e come genitori. La codifica dell’AAI porta ad una delle tre classificazioni di attaccamento nell’adulto: autonomo (F), distanziante (DS) e preoccupato (E). Gli adulti con una classificazione F tendono a valutare le loro relazioni e le loro esperienze di attaccamento in modo coerente, sia quando danno una valutazione positiva, sia quando ne danno una negativa, e considerano queste esperienze importanti per la formazione della loro personalità.

Gli adulti classificati come DS tendono a minimizzare l’importanza che ha avuto l’attaccamento per la formazione delle loro vite o a idealizzare le esperienze avute nell’infanzia senza essere, però, in grado di fornire una descrizione concreta. Gli adulti con la classificazione E tendono a massimizzare l’importanza dell’attaccamento, essi sono ancora molto coinvolti con le loro esperienze passate e non sono in grado di descriverle coerentemente e di riflettere in modo non preoccupato su di esse: ira o passività caratterizzano lo stile di descrizione fornito da questi adulti. Gli adulti con le classificazioni DS ed E sono considerati entrambi insicuri. Una classificazione aggiuntiva riguarda lo stile di attaccamento irrisolto (U), questo tipo di codifica viene usato se l’intervistato mostra segni di traumi irrisolti, solitamente collegati alla perdita della figura di attaccamento.

In uno studio meta-analitico Marinus H. van IJzendoorn e Marian J. Bakermans-Kranenburg vogliono indagare sul modo in cui sono distribuiti i diversi pattern di attaccamento nelle madri non cliniche, nei padri non clinici, in campioni di adolescenti e giovani adulti senza figli, in un substrato culturale socio-economicamente svantaggiato, ed infine in gruppi clinici. Inoltre si vuole vagliare l’ipotesi che i genitori con bambini disturbati mostrino rappresentazioni più insicure dei loro legami d’attaccamento.

Dagli studi è emerso che nel campione di 584 madri non cliniche nel 58% dei casi esse potevano essere classificate come autonome, nel 24% come distanzianti e nel 18% dei casi erano classificate come preoccupate.

Lo studio sui padri ha prodotto dei risultati analoghi: il 62% dei padri è classificato come autonomo, il 22% come distanziante e il 16% come preoccupato. Anche nel caso degli adolescenti e dei giovani adulti senza figli sono stati trovati risultati che richiamano quelli ottenuti in precedenza nelle madri e nei padri non clinici. Nel 56% dei casi gli adolescenti e i giovani adulti potevano essere classificati con un pattern di attaccamento autonomo, nel 27% dei casi con un pattern distanziante e nel 17% dei casi con un pattern preoccupato.

Per quanto riguarda gli ambienti socio-economicamente svantaggiati è stata rilevata una presenza di madri che potevano essere classificate prevalentemente come disorganizzate o come distanzianti, questo risultato è stato associato ad una presenza maggiore di situazioni traumatiche dovute alla perdita della figura di attaccamento in età precoce, ma non c’è nessun dato che provi che l’attaccamento nell’adulto sia legato alla cultura.

L’ipotesi che i genitori con bambini con un disturbo psicologico mostrino rappresentazioni più insicure dei loro legami d’attaccamento risulta confermata dai dati raccolti: nel gruppo degli adulti con figli trattati clinicamente i genitori classificati come autonomi sono una minoranza, solo il 14%, mentre il 41% dei genitori è classificato come distanziante e il 45% come spaventato.

In sintesi emerge che le distribuzioni AAI nei campioni di madri, padri e adolescenti non clinici sono abbastanza simili tra loro  e indipendenti da variazioni cross-culturali. La categoria F è risultata essere più piccola rispetto alle aspettative nella distribuzione della classificazione della Strange Situation nella diade madre-bambino non trattati clinicamente.

La trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento

In passato si è pensato che l’attaccamento fosse un argomento che poteva riferirsi solo ai bambini; il concetto di attaccamento, infatti, si adattava perfettamente all’idea che la relazione che si instaura tra il bambino e i suoi genitori sia particolarmente importante nel generare determinati comportamenti che il piccolo mette in atto nei confronti del mondo che lo circonda. In tempi più recenti, però, alcuni autori si sono interrogati su cosa accadesse una volta che una persona diventasse adulta; non era plausibile che il legame di attaccamento svanisse o che venisse accantonato, è così che presero piede alcuni studi sull’attaccamento transgenerazionale, in modo particolare sulla trasmissione genitore-bambino di uno stile di attaccamento piuttosto che un altro, e sul modo in cui avviene nel tempo questa trasmissione, senza che si verifichino necessariamente dei circoli viziosi per quegli stili di attaccamento meno positivi.

Mentre un tempo la relazione di attaccamento era ricercata nello stretto rapporto all’interno della diade madre-bambino, o al massimo della triade madre-padre-bambino, oggi vengono presi in considerazione altri elementi importanti: abbiamo visto l’importanza dell’ambiente, ma non della cultura, in cui si instaura la relazione; abbiamo visto anche che giocano un ruolo fondamentale sia la sensibilità dell’adulto, sia il temperamento del bambino, e su questo punto è stata rilevata una forte correlazione, anche se ancora non è possibile stabilirne il rapporto causa-effetto.

Grazie a questi studi è stato possibile rilevare che tra lo stile di attaccamento ottenuto attraverso la somministrazione dell’AAI all’adulto e quello ottenuto attraverso la Strange Situation del bambino è presente una corrispondenza diretta nel 75% dei casi. A questo punto numerosi studi si sono volti alla ricerca dell’esistenza di una trasmissione lineare dello stile di attaccamento, ma è stato appurato che nella realtà questa linearità non esiste, c’è piuttosto una forte influenza dovuta all’ambiente di crescita del bambino nella sua totalità.

Studi più recenti compiuti da Van IJzendoorn e altri hanno potuto riscontrare tutto questo attraverso delle ricerche meta-analitiche, studi longitudinali e trasversali, ma allo stesso tempo è stata mossa una forte critica alle metodologie con cui le ricerche vengono svolte. Sarebbe fondamentale, secondo questo autore, incrementare il numero di ricerche scientifiche, per poter stabilire inequivocabilmente il rapporto che intercorre tra le variabili in studio, per non limitare i risultati a semplici correlazioni.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Marinus H. van IJzendoorn, Leiden Univrsity: Of the way we are: on temperament, attachment, and the trasmission gap: a rejoinder to Fox (1995). Psychological Bulletin, 1995, Vol. 117, No. 3, 411-415
  • Marinus H. van IJzendoorn and Marian J. Bakermans-Kranenburg, center for child and family studies, Leiden Univrsity: Attachment representations in mothers, fathers, adolescents, and clinical groups: a meta-analytic search for normative data. Psychological Bulletin, 1996, Vol. 64, No. 1, 8-21
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  • Paola Venuti, Fratesca Giusti (1996): Madre e padre, scienze dell’evoluzione, antropologia e psicologia delle funzioni parentali. Giunti, Firenze
  • Carli Lucia, a cura di, (1999): Dalla diade alla famiglia, i legami di attaccamento nella rete famigliare. Raffaello Cortina Editore, Milano
  • Crittenden Patricia M. (1999): Attaccamento in età adulta, l’approccio dinamico-maturativo all’Adult Attachment Interview. Raffaello Cortina Editore, Milano
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