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L’effetto Placebo. Breve viaggio tra mente e corpo (2012) di F. Benedetti – Recensione

Un’introduzione alle attuali conoscenze sui meccanismi dell’effetto placebo. Lettura utile per chiunque si interessi di medicina, psicologia, filosofia.

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 01 Feb. 2016

Un’utile introduzione alle attuali conoscenze sui meccanismi fisiologici e psicologici che presiedono al funzionamento dell’effetto placebo. Una lettura utilissima per chiunque si interessi di medicina, psicologia, filosofia della mente e bioetica.

Come diceva un grande filosofo dell’Ottocento, ciò che è notorio non è per questo conosciuto. In effetti, cosa sia a grandi linee l’effetto placebo è qualcosa di abbastanza notorio per qualunque medico e psicologo, oltre che probabilmente per qualunque persona mediamente colta: in determinate circostanze, per una percentuale sensibile di persone, un trattamento simulato può avere effetti paragonabili a quelli di un trattamento autentico.

Secondo una definizione corrente, l’effetto placebo è «un cambiamento del corpo o della mente che avviene come risultato del significato simbolico che viene attribuito a un evento o a un oggetto in ambito sanitario» (Howard Brody, cit. in Benedetti, 1912, p. 23).

L’esistenza dell’effetto placebo è ciò che rende necessario nella ricerca l’uso della tecnica del doppio cieco (double blind). Quando si effettua la sperimentazione di un nuovo farmaco, cioè, si scelgono due gruppi equivalenti ai quali vengono somministrati sia il prodotto vero che un prodotto inerte, dello stesso aspetto del primo, da parte di personale che non deve sapere a chi stia dando che cosa. In questo modo i membri dei due gruppi saranno condizionati da aspettative del tutto simili e le eventuali differenze di efficacia saranno integralmente da attribuire agli effetti del trattamento. All’inverso, anche gli eventuali effetti collaterali dovranno essere attribuiti al trattamento stesso: anche le aspettative negative possono influenzare l’organismo, inducendo in questo caso un peggioramento della propria condizione (si parla allora di effetto nocebo).

L’effetto placebo non è però una semplice curiosità o un artefatto della ricerca. Secondo Fabrizio Benedetti, in realtà, in primo luogo gran parte della storia della medicina prescientifica è storia dell’uso inconsapevole del placebo. Le prime istituzioni dove la medicina è stata praticata basandosi su reali conoscenze fisiologiche del funzionamento delle cure, peraltro, sono gli ospedali francesi del terzo decennio dell’Ottocento. Quindi per quasi tutta la sua storia, l’umanità sofferente si è affidata a medici (e prima a ciarlatani e sciamani) che si sono basati su innumerevoli cure assolutamente prive di fondamenti razionali. Eppure, vuoi per la regressione spontanea di alcune malattie, vuoi per la fiducia nella guarigione indotta dalle cure, dei miglioramenti potevano essere ottenuti. I miglioramenti ottenuti, d’altra parte, non potevano che rinforzare la fiducia dei successivi pazienti, mantenendo in vita tradizioni terapeutiche di per sé in teoria prive di efficacia.

In secondo luogo, l’uso dell’effetto placebo fa tuttora parte della pratica medica. Pochi ma rigorosi studi hanno mostrato che, in diversi paesi, i medici usano trattamenti placebo con relativa frequenza. In Usa, Danimarca e Israele percentuali tra il 60% e l’80% dei medici ha usato o usa placebo veri e propri (pillole di zucchero o iniezioni di acqua distillata, per esempio) oppure placebo attivi, cioè medicine vere e proprie ma inefficaci nel caso di specie, somministrate solo nell’intento di suscitare fiducia nel professionista e attesa di guarigione.

Un tipico esempio di placebo attivo è l’antibiotico prescritto per l’influenza virale, che non rappresenta minimamente una cura specifica, ma la cui assunzione può costituire un’alternativa assai meno frustrante della semplice passiva permanenza nel letto fino a decorso completo.

Lo studio dei meccanismi di funzionamento dell’effetto placebo risale a tempi abbastanza recenti e ha condotto a una serie di risultati di estremo interesse. Dal punto di vista dei meccanismi psicosociali, è stato anzitutto verificato che l’intervento di chi somministra il trattamento assume un’importanza rilevante ai fini dell’efficacia del trattamento stesso. Ciò significa che un medesimo farmaco sarà tendenzialmente più efficace se il medico usa parole rassicuranti e adotta un comportamento amichevole e non freddo: ciò vale sia nel caso del placebo, sia nel caso di un farmaco attivo e funzionante.

Anche altri aspetti del contesto di somministrazione sono importanti. Ad esempio se al placebo viene assegnato il nome di un farmaco conosciuto e gli viene attribuito un alto costo, tenderà a risultati migliori rispetto a quelli ottenuti con un nome sconosciuto e un prezzo teorico più basso. In ogni caso non esiste la possibilità di prevedere se l’effetto sarà o meno innescato in un singolo paziente, anche se è stato definitivamente provato che determinati caratteri genetici rendono in linea teorica determinate persone più predisposte di altre all’efficacia del placebo.

I meccanismi fisiologici del funzionamento del placebo sono a loro volta molteplici e intricati. Benedetti ricorda che, tra l’altro, è stato possibile indurre l’effetto placebo su animali, dai quali non ci si aspetterebbe l’attesa di una determinata azione da una sostanza. Eppure, per esempio, dopo aver iniettato a topi una sostanza che migliorava una performance motoria un certo numero di volte, si è osservato che un’ulteriore iniezione, di sostanza inattiva, consentiva ad alcuni di essi le stesse performance ottenute in precedenza inoculando il prodotto attivo.

In linea generale, però, sono due le strade attraverso le quali la mente influenza il corpo innescando l’effetto placebo, ovvero le aspettative e l’apprendimento. Le aspettative possono agire modulando l’ansia (per esempio l’ansia anticipatoria può aumentare la percezione soggettiva del dolore; una sedazione dell’ansia la può diminuire). Talora vengono coinvolte le regioni del cervello usualmente coinvolte nei meccanismi di ricompensa, in particolare il nucleus accubens che rilascia dopamina quando ottengono successo i comportamenti di ricerca di un premio o del piacere (attraverso cibo, sesso o obiettivi culturalmente acquisiti come denaro e droghe). Il miglioramento terapeutico è di per sé una forma di premio o di piacere e la sua attesa può attivare il nucleus accubens. Il conseguente rilascio di dopamina può influenzare a sua volta il rilascio di altri neurotrasmettitori: il risultato può essere l’inibizione del dolore, la diminuzione della depressione o persino il miglioramento dei sintomi nel morbo di Parkinson.

L’apprendimento può agire sotto la specie del condizionamento (abituarsi all’idea che una pillola tonda bianca migliori la propria condizione di salute può generare un’efficace aspettativa di guarigione anche quando all’aspirina presa originariamente viene sostituita una pasticca inerte della stessa forma). Anche l’apprendimento sociale, però può essere efficace (osservando che un determinato rituale terapeutico in un ospedale produce la guarigione ci si aspetta che lo stesso rituale produca anche in noi gli stessi effetti).

Benedetti prende in considerazione diversi ambiti dove l’effetto placebo entra o può entrare in funzione, dal doping sportivo alle medicine alternative alla vita di tutti i giorni. Dispiace però che l’unico capitolo che si può considerare poco interessante e riuscito sia quello sulle psicoterapie. L’autore parte dal dato di fatto dell’esistenza sul mercato di più di quattrocento psicoterapie, delle quali si conosce in qualche modo l’efficacia, per affermare che l’unico fattore in comune ad esse sia «una positiva interazione umana tra paziente e psicoterapeuta» e di conseguenza siano tutte assimilabili all’effetto placebo (Benedetti, 2012, p. 59).

È stato però ampiamente dimostrato dalla ricerca che, se è pur vero che in molti casi gli effetti di varie psicoterapie sono ugualmente positivi, essi sono comunque ben superiori sia all’effetto di terapie-placebo appositamente disegnate, sia (a maggior ragione) all’effetto del puro scorrere del tempo (cfr., p. es., Dazzi, Lingiardi e Colli, 2006).

Questo specifico neo però non cancella i molti meriti del libro, scritto da uno specialista di fama mondiale, in una forma sintetica, molto leggibile e assai efficace.

 

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Effetto Placebo: un viaggio tra mente e corpo. Intervista a Fabrizio Benedetti

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Benedetti, F. (2012) L’effetto placebo. breve viaggio tra mente e corpo, Carocci, Roma.
  • Dazzi, N., Lingiardi, V. e Colli, A. (a cura di) (2006), La ricerca in psicoterapia. Modelli e strumenti, Cortina, Milano
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