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Le conseguenze psicologiche nel malato di Parkinson e nei suoi familiari

Depressione e ansia sono disturbi che il paziente con Parkinson deve affrontare. Chi assiste il malato, invece, sperimenta facilmente un elevato stress. %%page%%

Di Guest

Pubblicato il 11 Gen. 2016

Le difficoltà nei rapporti sociali, la difficoltà di accettare la progressiva invalidità fisica, sono problemi che il paziente con Parkinson deve affrontare e che spesso incidono negativamente sul tono dell’umore. Chi assiste il malato, invece, potrebbe sperimentare un calo del tono dell’umore e sperimentare sintomi che indicano la presenza di stress eccessivo.

Giulia Marcella Fatone – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

 

Che cos’è la malattia di Parkinson?

Il Parkinson è un disturbo del sistema nervoso centrale, caratterizzato dalla degenerazione di alcune cellule nervose (neuroni), situate in una zona profonda del cervello, la Sostanza Nera. Queste cellule producono un neurotrasmettitore, la dopamina, che è responsabile di un circuito che controlla il movimento (Pezzoli e Tesei, 2001).

La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente. I livelli ridotti di dopamina sono dovuti alla degenerazione di neuroni, nell’area chiamata Sostanza Nera (la perdita cellulare è di oltre il 60% all’esordio dei sintomi). L’evoluzione della malattia è lenta, ma progressiva e comporta numerose modificazioni a livello cognitivo, affettivo e comportamentale. A questi si associano sintomi motori caratteristici della malattia quali: rigidità, bradicinesia, e tremore a riposo. Tutto ciò influenza inevitabilmente la qualità di vita del paziente e dei familiari.

Il nome è legato a James Parkinson, medico inglese che per primo descrisse gran parte dei sintomi della malattia in un famoso libretto, il ‘Trattato sulla paralisi agitante‘ pubblicato nel 1817.

La malattia si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza, forse, in quello maschile, è presente in tutto il mondo e in tutti i gruppi etnici. L’età media di insorgenza del Parkinson è di 60 anni, ma nel 5-10% dei soggetti che sviluppano la malattia, questa si manifesta prima dei 50 anni e, in alcuni casi anche prima dei 40 anni: in questo caso definito Parkinson ad esordio giovanile (Pruneti, 2012). Le cause del Parkinson rimangono ancora sconosciute, sebbene molti esperti ritengono che chi si ammala di Parkinson sia geneticamente sensibile all’azione lesiva di alcune sostanze chimiche, non ancora ben definite che si possono trovare nel cibo, nell’acqua e nell’aria (Pezzoli e Tesei, 2001).

I principali sintomi della malattia di Parkinson

I principali sintomi del Parkinson sono: il tremore, la rigidità, la bradicinesia (lentezza dei movimenti automatici), a questi asi associano altri sintomi primari quali: disturbi dell’equilibrio, atteggiamento curvo e impaccio nell’andatura.

Tremore a riposo

È il sintomo più conosciuto e maggiormente rappresentativo della malattia di Parkinson. Il tremore spesso interessa una mano (si presenta come un’oscillazione con cinque-sei movimenti al secondo), ma può interessare anche i piedi e la mandibola. In genere è più evidente su un lato. È presente a riposo, ma in alcuni pazienti può essere presente anche in azione, in genere non è invalidante (Pezzoli e Tesei, 2001).

Rigidità

È un aumento del tono muscolare a riposo o durante il movimento. Può essere presente agli arti, al collo ed al tronco. La riduzione dell’oscillazione pendolare degli arti superiori durante il cammino è un segno di rigidità, associata a lentezza dei movimenti (Pezzoli e Tesei, 2001).

Lentezza dei movimenti (bradicinesia)

La bradicinesia è un rallentamento nell’esecuzione dei movimenti e dei gesti. Segno di bradicinesia sono le difficoltà nei passaggi posturali, passare da una posizione all’altra (per esempio da seduti ad in piedi), girarsi nel letto. Si evidenzia facendo compiere al soggetto con Parkinson alcuni movimenti di manualità fine, che risultano più impacciati, meno ampi e più rapidamente esauribili per cui, con la ripetizione, diventano quasi impercettibili. Sintomi correlati alla bradicinesia sono: la modificazione della grafia, che diventa più piccola (micrografia); la scialorrea (aumento della quantità di saliva in bocca), dovuta ad un rallentamento dei muscoli coinvolti nella deglutizione; la ridotta espressione del volto (ipomimia) (Pezzoli e Tesei, 2001).

Disturbo dell’equilibrio

Si presenta più tardivamente nel corso del Parkinson ed è un sintomo che coinvolge l’asse del corpo; è dovuto a una riduzione dei riflessi di raddrizzamento, per cui il soggetto non è in grado di correggere spontaneamente eventuali squilibri. Si può evidenziare quando la persona cammina o cambia direzione durante il cammino. La riduzione di equilibrio è un fattore di rischio per le cadute a terra. I disturbi dell’equilibrio non rispondono alla terapia dopaminergica (Pezzoli e Tesei, 2001).

Altri sintomi motori, Disturbo del cammino

Si osserva una riduzione del movimento pendolare delle braccia più accentuato da un lato, una postura fissa in flessione e un passo più breve. Talvolta si presenta quella che viene chiamata festinazione, cioè il paziente tende a strascicare i piedi a terra e ad accelerare il passo, come se inseguisse il proprio baricentro, per evitare la caduta.

Negli stadi avanzati del Parkinson, possono verificarsi episodi di blocco motorio, improvviso freezing (come un congelamento delle gambe) in cui i piedi del soggetto sembrano incollati al pavimento. Il fenomeno si può manifestare come un’improvvisa impossibilità ad iniziare la marcia o a cambiare la direzione. Oppure, si osserva quando il paziente deve attraversare passaggi ristretti (come una porta od un corridoio) o camminare in uno spazio affollato da molte persone. Questa difficoltà può essere superata adottando alcuni accorgimenti quali: alzare le ginocchia, come per marciare oppure considerare le linee del pavimento come ostacoli da superare. Anche l’utilizzo di un ritmo verbale, come quello che si utilizza durante la marcia militare, può risultare utile (Pezzoli e Tesei, 2001).

I disturbi dell’umore nella Malattia di Parkinson

Parkinson e depressione

La malattia di Parkinson, proprio a causa degli innumerevoli sintomi fisici, tra i quali: il tremore diffuso e le bradicinesie, è una malattia estremamente visibile. Vedere il proprio corpo trasformato dalla malattia e il sopraggiungere inarrestabile di molti sintomi fisici che inevitabilmente porteranno ad una sempre maggiore invalidità, tutto ciò, influisce negativamente sul tono dell’umore e sul livello d’ansia della persona. Le difficoltà nei rapporti sociali, la difficoltà di accettare la progressiva invalidità fisica e le menomazioni che comporta, sono problemi che il paziente con Parkinson deve affrontare e che spesso incidono negativamente sul tono dell’umore.

La depressione, infatti, è molto comune nella malattia di Parkinson, essa può precedere l’esordio della malattia e costituire un fattore di rischio: approssimativamente i sintomi depressivi sono presenti nel 25-40% dei casi. Si tratta per lo più di una depressione di lieve o moderata entità con caratteristiche omogenee (Pruneti, 2012). Quando la depressione compare in forma lieve, in uno stadio iniziale della malattia e prima del caratteristico quadro sintomatologico motorio, la diagnosi di un concomitante stato depressivo può divenire difficoltosa; infatti molti segni, quali il rallentamento psicomotorio, l’espressione facciale, il tono della voce, la variazione del ritmo sonno-veglia, dell’appetito e della libido, fanno parte della tipica sintomatologia del Parkinson o sono attribuibili a farmaci utilizzati per il trattamento. Secondo alcuni ricercatori, questo disturbo dell’umore in parte, può essere legato a una reazione negativa conseguente alla diagnosi di malattia cronica, ma più frequentemente è il risultato della riduzione di alcune sostanze neurochimiche correlate alla dopamina (noradrenalina e serotonina) (Pezzoli e Tesei, 2001). Ciò comporta modificazioni affettive e comportamentali come: la tendenza ad abbandonare le proprie attività quotidiane ed i propri interessi, la perdita di iniziativa, un atteggiamento apatico, abulico e anedonico. Talora si accompagnano alla depressione, pessimismo, mancanza di interesse, autosvalutazione, disforia e sintomi somatici con anoressia e insonnia, e la presenza di una componente ansiosa (Pruneti 2012).

Parkinson e disturbi d’ansia

Anche i disturbi d’ansia sono comuni nei pazienti con Parkinson, spesso associati ai disturbi depressivi, l’ansia può presentarsi come: attacchi di panico, disturbi fobici (legati soprattutto alla paura di cadere, a causa della instabilità posturale), disturbo d’ansia generalizzata, sintomi somatici e, inoltre, non è infrequente la comparsa di sintomi ossessivo-compulsivi. I sintomi ossessivo-compulsivi infatti, sembrerebbero manifestarsi principalmente in alcuni sottogruppi di pazienti con Parkinson, ovvero in pazienti in fase avanzata della malattia, ma soprattutto in pazienti con esordio clinico motorio nell’emilato di sinistra. Ciò potrebbe suggerire che la manifestazione di sintomi ossessivo-compulsivi sia correlata alla disfunzione dei circuiti frontostriatali (soprattutto nell’emisfero destro), in linea con quanto riscontrato nei pazienti affetti dal disturbo ossessivo-compulsivo (Poletti e Bonuccelli, 2011).

Parkinson e disturbi del controllo degli impulsi

Il fenomeno dei disturbi del controllo degli impulsi è riportato con una frequenza crescente nei pazienti con Parkinson. Questi sono disordini del comportamento, caratterizzati dall’impossibilità, da parte del paziente, di resistere a stimoli compulsivi, alcuni di questi sono: gioco d’azzardo patologico, ipersessualità, binge-eating, disturbo esplosivo intermittente e fumo compulsivo. Tutto ciò, può portare ad una compromissione del benessere individuale e sociale. Sembra che il fenomeno dei disturbi del controllo degli impulsi, si debba attribuire alla terapia con dopaminoagonisti (Poletti e Bonuccelli, 2011).

Parkinson e sintomi psicotici

In passato si riteneva che un eccesso di terapia anti parkinson potesse portare a disturbi della percezione, quali allucinazioni e deliri. Allucinazioni prevalentemente visive, raramente uditive, che generalmente compaiono nella seconda metà del decorso della malattia. I deliri vengono riportati con minor frequenza e possono essere di tipo paranoide o di gelosia. Attualmente si ritiene più probabile che che l’insorgenza di tali fenomeni sia dovuta all’effetto di un’interazione tra alcune caratteristiche cliniche e la terapia (Poletti e Bonuccelli, 2011).

La malattia di Parkinson nella famiglia

La malattia di Parkinson, anche se ad insorgenza graduale, rappresenta per la famiglia un momento di crisi profonda. Essa infatti, poiché ha un andamento cronico e progressivo, richiede alla famiglia continui adattamenti necessari, quali: cambiamenti di ruolo, di funzioni dei diversi membri del nucleo familiare e di dinamiche ormai collaudate nel tempo, per consentire di adattarsi ad essa, cercando di mantenere il più possibile l’autonomia dei diversi membri. Tutto ciò comporta ovviamente un cambiamento dell’identità della famiglia che diventa un’altra, conservando il ricordo di com’era prima dell’insorgenza della patologia.

Poiché è una malattia cronica e progressiva, occorre che il paziente e i familiari conoscano le numerose caratteristiche della patologia per imparare a gestirla, per non subirla passivamente, ma combatterla, ossia accettarla e imparare a farci i conti giorno dopo giorno senza lasciarsi sopraffare dallo sconforto (Carretti, 2004).

Infatti questa malattia richiede cure per tutto l’arco della vita, richiede attenzione ai diversi cambiamenti fisici, cognitivi e aggiustamenti continui della terapia. Una delle maggiori difficoltà riscontrabili nel paziente e nei suoi familiari è l’accettazione della diagnosi di Parkinson. La diagnosi e la consapevolezza di tutto ciò che comporterà questa patologia può gettare il paziente, ma anche l’intero nucleo familiare in uno stato di profonda depressione, disperazione e senso di impotenza. Negare la malattia è un atteggiamento che se da una parte può, almeno in un primo momento, preservare il paziente e la sua famiglia da un dolore insostenibile, dall’altro è un atteggiamento contro-produttivo dal momento che può ostacolare la capacità di prendere atto della patologia e ritardare così l’inizio della cura.

La malattia di Parkinson infatti, va curata subito e il prima possibile, in quanto una corretta e tempestiva terapia rende possibile anche ritardarne il progresso (Carretti, 2004).

L’accettazione è un processo che non ha mai fine per questi pazienti, infatti il Parkinson provoca molti cambiamenti e ad ogni cambiamento segue un’inevitabile adeguamento e accettazione del nuovo stato di cose. Gli equilibri che il paziente si crea faticosamente, facendo i conti con i sintomi fisici devono essere modificati alla comparsa di altri sintomi, così come gli equilibri familiari, che mutano per sopperire alle richieste e ai problemi del malato (Carretti, 2004).

Normalmente il parkinsoniano ci mette degli anni prima di accettare completamente la malattia e tutti i sintomi che comporta; la stessa cosa vale per i familiari, i quali, specie se il morbo di Parkinson è a lenta insorgenza, si illudono all’inizio di poter controllare la patologia. Nel corso degli anni, acuendosi i sintomi causati dalla patologia e aumentando i sintomi conseguenti agli effetti disinibitori dei dopamino-agonisti, gli ingravescenti compiti assistenziali sostenuti dai familiari aumentano sempre di più richiedendo tempo, attenzione, energia. Generalmente vi è una sola persona che si occupa dell’assistenza al malato, nella maggior parte dei casi (72%) sono donne, tra gli uomini più frequentemente troviamo mariti e figli. I coniugi sono per lo più coloro che si prendono cura dei loro partner.

Qualora non siano in grado di farlo subentrano al loro posto figli o nuore. Tra i coniugi più anziani che svolgono questa attività, almeno la metà ha, a sua volta, problemi di salute. Almeno un terzo dei familiari sono lavoratori e sommano l’attività assistenziale a quella lavorativa. Il ruolo dei familiari è senza dubbio importantissimo, sia per il benessere dei membri della loro famiglia che per la società, perché grazie a loro, chi ha gravi problemi di salute riceve dignitosamente il conforto e l’assistenza di cui necessita.

Certamente una delle maggiori sfide che il familiare si ritrova ad affrontare quotidianamente è quella di riuscire a gestire i compiti di assistenza al familiare malato di Parkinson, contemporaneamente ad altre attività che richiedono tempo, attenzione ed energia. Infatti mediamente il familiare si occupa della cura della casa (fare la spesa, fare le pulizie, cucinare), pulizia del malato (lavarlo, vestirlo, aiutarlo nella deambulazione), si occupa delle cure mediche (assistenza per la terapia), spesso si occupa anche del coordinamento e dell’organizzazione di altre persone che forniscono assistenza e molte volte deve anche occuparsi di altri membri del nucleo familiare (nonni, suoceri, bambini) (Pezzoli e Tesei, 2001).

Assistere un malato di Parkinson se da una parte può essere molto soddisfacente, dal momento che è espressione di amore per una persona a noi cara, dall’altro può diventare fisicamente, ma soprattutto psicologicamente esasperante. Se l’impegno richiesto diventa eccessivo, chi assiste il malato potrebbe sperimentare un calo di energia, del tono dell’umore e di capacità di far fronte ai problemi e sperimentare sintomi che indicano la presenza di stress eccessivo.

Tra i principali sintomi indicatori di stress, i familiari dei pazienti con Parkinson potrebbero lamentare a livello fisico: mal di testa, dolori muscolari, problemi di appetito, insonnia, peggioramento di malattie croniche e ridotte difese dell’organismo. A livello emotivo: senso di colpa, di abbandono, rabbia, depressione, ansietà. A livello cognitivo: perdita di memoria, difficoltà a prendere decisioni, ridotta capacità di concentrazione. I familiari possono inoltre riscontrare difficoltà relazionali lamentando: atteggiamento rinunciatario, colpevolizzante, irritabilità, impazienza, sensibilità eccessiva alle critiche (Pezzoli e Tesei, 2001).

La malattia di Parkinson: conclusioni

La malattia di Parkinson come si è detto è una complessa malattia neurodegenerativa, che porta alla comparsa di molteplici sintomi. Dal punto di vista motorio i principali sintomi riscontrabili sono tremori, rigidità, lentezza dei movimenti e sono il risultato della morte delle cellule che sintetizzano e rilasciano la dopamina. Oltre ai sintomi motori vi sono inoltre numerose modificazioni a livello cognitivo, affettivo e comportamentale. Disturbi quali depressione e ansia sono considerati facenti parte della malattia di Parkinson; altri sintomi riportati con minor frequenza, quali allucinazioni, deliri e disturbi del controllo degli impulsi sono probabilmente causati dall’interazione tra le caratteristiche cliniche dei pazienti e la terapia con farmaci dopaminergici.

La presenza di disturbi psicopatologici nei pazienti con malattia di Parkinson varia dal 12 al 90%: questa elevata comorbilità riflette probabilmente le modificazioni che si verificano nel complesso circuito funzionale che comprende gangli della base, talamo, strutture limbiche e corteccia prefrontale (Poletti e Bonuccelli, 2011).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Pezzoli G.; Tesei S. Guida alla malattia di Parkinson. 2001; 1:17-79
  • Poletti M., Bonuccelli U. Disturbi psicopatologici nella malattia di Parkinson Psychopathological disorders in Parkinson’s disease. Giorn Ital Psicopat 2011;17:13-21 13 DOWNLOAD
  • Pruneti C. Psicologia clinica e malattia organica:i disturbi neurologici. 2012; 3:35-44
  • Il sostegno ai famigliari. Barbara Carretti, Psicoterapeuta, Reggio Emilia (IV Congresso Nazionale Parkinson Italia, Viareggio, 22-23 aprile 2004) www.parkinson-italia.info
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