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Disuguaglianze di genere: al diminuire dello stipendio, aumenta il rischio depressione

Secondo un nuovo studio, il rischio di cadere in depressione aumenta significativamente per le donne che guadagnano meno del proprio partner.

Di Zeno Regazzoni

Pubblicato il 20 Gen. 2016

Stando ai dati prodotti dall’ampia letteratura a riguardo, le probabilità che una donna americana cada in depressione sono generalmente il doppio rispetto a quelle che ha un uomo. Tuttavia, questa già ampia differenza aumenta se prendiamo in considerazione la differenza di stipendio all’interno della coppia.

E’ quello che hanno fatto Jonathan Platt ed altri ricercatori della Columbia University, all’interno di uno studio che è appena stata pubblicato sulla rivista Social Science & Medicine. Gli autori hanno considerato un ampio campione di 22.581 cittadini americani tra i 30 ed i 65 anni, estrapolando da una precedente raccolta del 2001 i dati circa i livelli di depressione, ansia e retribuzione e controllando statisticamente i livelli di istruzione e di esperienza lavorativa.

I risultati sono sorprendenti. A parità di istruzione ed esperienza, tra le donne che vengono pagate meno del proprio partner le probabilità di sviluppare una depressione sono quasi triplicate rispetto a quelle del partner; congruentemente, tale disparità statistica tra uomo e donna viene completamente annullata quando è la donna ad essere pagata più dell’uomo all’interno della coppia.

Per quanto concerne l’ansia si può osservare la stessa distribuzione. In generale, le donne hanno una probabilità di sviluppare un Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) che è 2,5 volte maggiore rispetto agli uomini: le donne più pagate del partner maschile hanno praticamente le stesse probabilità di quest’ultimo, mentre le donne meno pagate hanno una probabilità che è perfino quattro volte maggiore!

 

Ora, sebbene sia opinione comunemente diffusa che le differenze di genere nei livelli di ansia e depressione abbiano innanzitutto precursori biologici, questi risultati sembrano suggerire che tali differenze siano anche socialmente determinate, e in misura assai maggiore di quanto si creda. Sembra, infatti, che dietro questa semplice disparità statistica vi sia un’ineguaglianza di genere ben più strutturata, che investe il gesto lavorativo e non solo.

Stando alle parole dello stesso Platt:

Tali processi sociali innanzitutto confinano le donne in un numero chiuso di possibili mestieri, quindi producono una differenza di retribuzione nei confronti della controparte maschile e infine, prevedibilmente, estendono tale disparità alla concezione e gestione della casa e dei figli all’interno della coppia.

Di conseguenza, è facile presumere che la donna possa arrivare ad interpretare ed interiorizzare questa concezione di sé in quanto essere inferiore come un dato reale, come un giudizio negativo che si sia pienamente meritata.

Purtroppo, anche sperando che la donna non si attribuisca internamente la colpa di tale ingiustizia, ma sia in grado di riconoscerne la causa in quanto esterna e di natura prettamente sociale, i risultati non cambiano. Che l’origine di tale disequilibrio venga percepita come interna od esterna, sappiamo bene che l’ansia e la depressione si nutrono innanzitutto della capacità di controllo che abbiamo su di esso: capacità che in entrambi i casi non può che essere percepita come insufficiente.

In conclusione, i risultati del presente studio suggeriscono che le politiche sulle pari opportunità debbano estendersi ed aggiornarsi ben oltre il semplice inquadramento delle molestie sessuali (popolare argomento di discriminazione di genere sul luogo di lavoro), fino all’individuazione ed alla modificazione di quelle strutture sociali che impediscono alla donna di aver accesso a determinati mestieri, mansioni e infine retribuzioni.

La ricerca psicologica, dal canto suo, non può esimersi dal continuare tale opera di osservazione e comprensione del fenomeno, nella speranza di poter così migliorare il trattamento dei disturbi emotivi che affliggono la donna in questione.

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