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Il trattamento della depressione previene la perdita della memoria e la demenza

Il trattamento della depressione combatte il circolo vizioso stress-depressione che porta ad un'attivazione cronica e deleteria del sistema immunitario

Di Chiara Ajelli

Pubblicato il 22 Dic. 2015

Aggiornato il 11 Gen. 2016 10:41

Se la Depressione non viene trattata, o il soggetto che ne soffre non risponde adeguatamente al trattamento della depressione, la risposta infiammatoria può portare alla produzione di composti neurotossici che possono uccidere le cellule del cervello, con conseguente perdita di memoria e demenza.

 

Il circolo vizioso di stress e depressione

Stress e depressione interagiscono in un circolo vizioso. In soggetti particolarmente sensibili lo stress può portare alla depressione. A sua volta, la depressione, se non trattata, provoca stress. Questo stimola il sistema immunitario del corpo con lo scopo di combattere lo stress e la depressione, come se fossero una malattia o infezione.

L’accelerazione dello stimolo del sistema immunitario, il quale include la risposta infiammatoria, protegge inizialmente contro lo stress.

Ma nel corso del tempo, l’infiammazione cronica può causare una serie di problemi di salute. Infatti, in questo circolo vizioso, la Depressione può innescare una risposta infiammatoria.

Pertanto, Angelos Halaris, professore presso il Dipartimento di Psichiatria e comportamento Neuroscienze di Loyola University Chicago Stritch School of Medicina ha dichiarato:

É importante una precoce diagnosi di depressione, trattarla energicamente con lo scopo di raggiungere la remissione e lavorare per prevenire le ricadute.

 

Trattamento della depressione con Escitalopram

Halaris e colleghi si sono proposti di indagare se il trattamento con Escitalopram (ESC), un antidepressivo appartenente alla classe degli SSRI, potesse sopprimere l’infiammazione spostando i metaboliti della via chinurenina nei pazienti con un Disturbo Maggiore Depressivo (DMD).

A tal scopo sono stati testati 57 soggetti, 27 di controllo e 30 pazienti. I pazienti sono stati trattati con Escitalopram per 12 settimane. In ogni visita sono state effettuate valutazioni cliniche usando la 17-item Hamilton Depression Scale (HAM-D), l’Hamilton Rating Scale for Anxiety (HAM-A), il Clinical Global Impression (CGI) e il Beck Depression Inventory (BDI) così da poter monitorare l’effetto del farmaco.

Per esaminare la risposta infiammatoria, nel corso di ogni valutazione venivano inoltre raccolti campioni di sangue, i quali sono stati successivamente analizzati. Nello specifico i ricercatori hanno misurato i livelli ematici di nove sostanze secrete dal sistema immunitario.

Ciò che emerso è che l’80 % per cento dei 20 pazienti che hanno completato l’intero studio, ha riferito un sollievo completo o parziale dalla loro depressione, confermando le premesse di Halaris e colleghi. È emerso però un ulteriore risultato inaspettato: oltre al trattamento della depressione, l’Escitalopram protegge anche dai composti che possono causare la perdita di memoria e demenza.

 

Effetti sul cervello di una depressione non trattata o resistente al trattamento

Se la depressione non viene trattata, o il soggetto che ne soffre non risponde adeguatamente al trattamento, la risposta infiammatoria può portare alla produzione di composti neurotossici che possono uccidere le cellule del cervello, con conseguente perdita di memoria e demenza.

A dimostrazione di ciò tra i risultati dello studio è stato trovato che tra i pazienti trattati con Escitalopram, i livelli di due composti neurotossici erano scesi in modo significativo. Infatti i livelli di acido 3-idrossiantranilico erano diminuiti di oltre due terzi tra la settimana 8 e la settimana 12, e i livelli di acido quinolinico erano scesi del 50% durante le prime otto settimane risultando inferiori rispetto all’inizio dello studio.

L’Escitalopram appartiene a una classe di antidepressivi chiamati inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI). Per tanto è possibile che altri SSRI, come il Prozac, lo Zoloft e il Paxil, potrebbero proteggere contro le neurotossine, ma il dottor Halaris ha dichiarato che questo dovrebbe essere testato tramite altri studi.

In conclusione, per quanto si tratti di una scoperta eccezionale, bisogna sottolineare che lo studio è purtroppo limitato dal numero ristretto di soggetti partecipanti. La speranza di Halaris e colleghi e però quella che stimoli l’interesse a replicare i risultati con grandi gruppi e per un periodo di tempo più lungo.

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