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Della separazione e della riconnessione. Elementi di psicopatologia e di psicoterapia sistemico-relazionale in chiave di Ecologia della Mente – Intervista agli autori

Intervista agli autori di un interessante testo che invita all'esplorazione della clinica a partire dal campo teorico/epistemologico sistemico-relazionale.

Di Roberta De Martino

Pubblicato il 16 Dic. 2015

Il nuovo libro di Giovanni Madonna e Francesca Nasti sul processo dell’ammalarsi e del guarire/curare: intervista doppia agli autori.

Intervista doppia a Giovanni Madonna e Francesca Nasti, autori per FrancoAngeli, di un nuovo testo, di chiara matrice epistemologica batesoniana, che invita a un’esplorazione del territorio clinico presentando stralci di conversazione estratti da alcune psicoterapie per offrire una descrizione ostensiva della pratica clinica che non perde mai di vista la connessione con il territorio teorico/epistemologico sistemico-relazionale da cui ha avuto inizio l’esplorazione.

Intervistatore (I): Dottor Madonna da dove nasce l’idea di questo nuovo libro?

Dottor G. Madonna (GM): Dalla voglia di sottolineare che una buona teoria non è un arzigogolo mentale separato dalla pratica; e dalla voglia di proporre una descrizione ostensiva delle implicazioni cliniche derivanti dall’adozione dell’Ecologia della Mente come matrice epistemologica di riferimento. Considero significativo, a questo proposito, che alcuni fra gli interventi clinici presentati possano essere considerati anche come enunciazioni teoriche: l’epistemologia è intimamente connessa con la clinica, non è altro rispetto alla clinica; e la clinica non è altro rispetto all’epistemologia.

I: L’allenamento alla riconnessione, che richiede costantemente allo psicoterapeuta di mettere insieme parti differenti, una accanto all’altra, non crede che rischi di destabilizzare? In tutta questa complessità non c’è il rischio di perdersi?

GM: Allenare il proprio paziente alla riconnessione – non è altro, in fondo, che dare diritto di cittadinanza alla complessità che noi siamo, noi pazienti e noi psicoterapeuti. Proporre connessioni, inoltre, non è intervento unilaterale, non è interpretare o ridefinire; è proporre nuove possibilità di senso che, affidate al processo stocastico potranno o no, per vie imprevedibili, generare salute e benessere. Le proposte di senso non armoniche rispetto all’ecologia delle idee dello psicoterapeuta semplicemente non saranno proposte; e le proposte di senso non armoniche rispetto all’ecologia delle idee del paziente semplicemente non vi attecchiranno. E questo sarà rispettato dallo psicoterapeuta, che non considererà quel non attecchimento come una resistenza, ma come un aiuto a correggere il suo modo di aiutare il paziente. E da questa dinamica tutti e due – paziente e psicoterapeuta – non risulteranno destabilizzati: potranno invece conservarsi – come tutto ciò che vive finché vive – dinamicamente stabili, e godere di una stabilità aperta al cambiamento.

I: A leggere il testo sembra che lei non consideri separate patologia e normalità…

GM: Certo, è così, non sono separate. Sia un sano che un malato possono preoccuparsi, essere tristi, esaltarsi… possono abbuffarsi o saltare il pasto… la differenza consiste nel fatto che i malati si specializzano rigidamente… se non si specializzassero non sarebbero malati… tutte le malattie insieme si contempererebbero fra loro generando salute… Dobbiamo allenarci a non pensare in termini dicotomici… a considerare le tradizionali dicotomie – compresa quella salute/malattia in termini di processi distinti, ma non separati.

I: A un certo punto del testo, in un breve frammento di un caso clinico, lei, rivolgendosi a un paziente, afferma “questa è una battaglia che può vincere solo se accetta di perderla”; crede che lo stesso si possa dire anche a uno psicoterapeuta in riferimento agli obiettivi che si pone nello svolgere la professione?

GM: Sì, credo di sì; e mi piace questo isomorfismo che proponi. Lo psicoterapeuta non dovrebbe accanirsi – sia pure a fin di bene – nel perseguire obiettivi volti al cambiamento dell’altra parte della più ampia ecologia che lo comprende, ovvero dell’altra parte del cosiddetto sistema terapeutico: il paziente. Proprio come una parte del paziente non dovrebbe accanirsi nel tentativo di cambiare un’altra parte della più ampia ecologia che il paziente tutto intero è.

I: Dottoressa Nasti cosa ha significato per una giovane professionista avere la possibilità di essere coautrice di un libro con Giovanni Madonna?

Dottoressa F. Nasti (FN): Ha significato avere coraggio e allo stesso tempo lasciarsi infondere dalla fiducia di essere all’altezza del compito. Fiducia che ho potuto coltivare a partire da quella stessa dimostratami da Giovanni Madonna, mio formatore all’IIPR di Napoli (dove sono attualmente allieva didatta), nell’affidarmi i commenti ai suoi stralci di psicoterapia. Ha significato avere cura di studiare il processo dell’ammalarsi, del curare e del guarire come se fossi dietro lo specchio di un laboratorio epistemologico. Ha significato sperimentare ancora una volta l’importanza assieme alla bellezza del pensiero sulla metodologia, a sostegno della convinzione consolidata che le teorie hanno bisogno di essere abitate nell’esercizio della pratica clinica, così da porre in essere un modus operandi nel quale i concetti e le premesse dei modelli teorici orientano l’azione psicoterapeutica. Ha significato quindi pensare alla teoria attraverso la pratica e la pratica attraverso la teoria col paradigma della complessità scevra tuttavia da complicatezze e col modello psicoterapeutico batesoniano sviluppato appunto da Giovanni Madonna.

I: Dottoressa a fine testo, commenta quanto teorizzato da Madonna con altre sue riflessioni e lo fa avvalendosi di alcuni casi clinici. C’è qualcuno dei casi presentati che l’ha maggiormente colpita e perché?

FN: Credo che la psicoterapia abbia tra i massimi obiettivi la possibilità di creare chance. Per questo cito il caso di Petra. Ci auguriamo che i pazienti facciano un viaggio, esperienza di bellezza del lavoro epistemologico e siano capaci di valutare la riuscita della psicoterapia apprezzando l’insorgenza e/o il recupero della capacità di concepire la propria vita, sé e gli altri anche diversamente da quel modo che aveva generato sofferenza, dolore o malattia. Cito Petra per l’esemplificazione del processo di re-integrazione che secondo me si rende visibile negli stralci che la riguardano e non ultimo per la sintonia tra psicoterapeuta e paziente da cui nascono passaggi dialettici delicati, sensibili e poetici.

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Roberta De Martino
Roberta De Martino

Psicologa - Spec. in Psicoterapia Sistemico-Relazionale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Madonna, G., Nasti, F. (2015). Della separazione e della riconnessione. Elementi di psicopatologia e di psicoterapia sistemico-relazionale in chiave di Ecologia della Mente. Franco Angeli.
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