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Le conseguenze del trauma (con e senza disturbo post traumatico da stress) sulle funzioni esecutive

Quali sono i fattori che portano al mantenimento dei sintomi del DPTS? Molte ricerche correlano la presenza di traumi a deficit delle funzioni esecutive. %%page%%

Di Martina Torresi

Pubblicato il 18 Nov. 2015

Aggiornato il 14 Mar. 2016 10:45

Martina Torresi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

Quali sono i fattori, oltre al trauma in sé, che possono rappresentare cause di rischio o di protezione per lo sviluppo ed il mantenimento dei sintomi del DPTS? Molteplici ricerche correlano la presenza di eventi traumatici a deficit cognitivi che interessano l’attenzione, la memoria e le funzioni esecutive.

Il DSM V classifica il disturbo post-traumatico da stress (DPTS) come un disturbo indipendente dai disturbi d’ansia, classificandolo all’interno della sezione ‘Disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti’ che comprende: il disturbo reattivo dell’attaccamento, il disturbo da impegno sociale disinibito, il DPTS, il disturbo da stress acuto e i disturbi dell’adattamento (DSM V).

Kessler et al., 1995 hanno stimato che circa il 50-60% di persone, durante il corso della propria vita, potrà essere esposta ad un esperienza traumatica, che può riguardare traumi relativi a combattimenti, aggressioni sessuali, incidenti, o altri orrori di vita. Ma è stato stimato che soltanto il 5-10% delle persone svilupperanno sintomi specifici per una diagnosi di DPTS.

Tale osservazione ha portato i ricercatori a considerare quali sono i fattori, oltre al trauma in sé, che possono rappresentare cause di rischio o di protezione per lo sviluppo ed il mantenimento dei sintomi del DPTS. Molteplici ricerche correlano la presenza di eventi traumatici a deficit cognitivi che interessano l’attenzione, la memoria e le funzioni esecutive (DePrince et al., 2009).

La letteratura ha contribuito ad evidenziare come gli approcci neuropsicologici rappresentino un’importante via che ci permette di individuare i fattori di vulnerabilità e quelli di recupero rispetto allo sviluppo e al mantenimento dei sintomi del DPTS (Aupperle et al., 2011).

De Bellis et al., 2013 mettono in risalto il concetto di sviluppo traumatologico, in riferimento all’impatto psicobiologico che i maltrattamenti e le violenze interpersonali possono avere sullo sviluppo dei bambini. Il modello dello sviluppo traumatologico (De Bellis, 2001) si basa sul modello psicobiologico del DPTS chiamato anche reazione di attacco-fuga. Quest’ultimo afferma che la paura ed i ricordi traumatici associati alle esperienze di maltrattamento infantile, vengono elaborati attraverso il talamo attivando poi l’amigdala, responsabile della rilevazione degli stimoli di paura. L’amigdala trasmette successivamente i segnali di paura ai neuroni della corteccia prefrontale, all’ipotalamo e all’ippocampo, struttura cerebrale coinvolta nella memoria, il quale causa elevate risposte di cortisolo. Vi è inoltre un aumento dell’attività nel locus coeruleus che comporta una maggiore attività del sistema nervoso simpatico, dei neurotrasmettitori legati allo stress (catecolamine), del battito cardiaco, della pressione sanguigna, dell’indice metabolico e una maggiore allerta.

Tali modificazioni preparano il corpo a proteggersi dal pericolo, ma risultano essere dannose quando persistono in determinate relazioni stressanti e disuguali, come nel maltrattamento genitore-bambino. Tale stress chimico compromette la corteccia prefrontale e le funzioni esecutive (Arnsten, 1998). La corteccia prefrontale a sua volta può inibire l’attivazione dell’amigdala, meccanismo responsabile della riduzione dei sintomi del DPTS. Quindi, il modello di sviluppo traumatologico basato su un modello psicobiologico statico del DPTS, predice che i giovani maltrattati potrebbero mostrare deficit rispetto alle funzioni esecutive prefrontali e rispetto alle funzioni mnesiche. Un modello di sviluppo traumatologico dinamico invece, potrebbe predire che il sistema di sviluppo dello stress colpisce funzioni cerebrali multiple che possono essere inizialmente legate ai sintomi acuti del DPTS, ma che poi innescano conseguenze indipendenti ed effetti sfavorevoli. Così un precoce trauma attiva un meccanismo che può causare deficit neuropsicologici globali e multipli in aree e domini che non sono collegati però ai sintomi tipici del DPTS né a psicopatologia.

Deficit delle funzioni esecutive (FE) sono stati riscontrati negli adulti esposti al trauma (El-Hage et al., 2006; Navalta et al., 2006), inclusi quelli con DPTS (Kremen et al., 2007; Parslow & Jorm, 2007) e con sintomi dissociativi (DePrince & Freyd, 1999; Simeon et al., 2006).

Rispetto a ciò, Aupperle et al. (2011) riassumono i risultati di studi che hanno indagato le FE associate al DPTS. In particolar modo, prendono in considerazione deficit riguardanti le capacità di inibizione e di regolazione attentiva, che possono precedere ed essere antecedenti all’esposizione traumatica e quindi rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo del DPTS, ed essere collegati alla gravità dei sintomi.

Sebbene molte ricerche neuropsicologiche nell’ambito del DPTS si siano concentrate sullo studio delle funzioni mnesiche e di apprendimento, altre hanno indagato la possibilità di un eventuale malfunzionamento del lobi frontali e quindi delle FE.

Nel considerare le FE gli autori fanno riferimento alle capacità di mantenimento e di controllo di comportamenti complessi diretti ad uno scopo (Alvarez and Emory, 2006; McCabe et al., 2010). Le FE includono:

  • L’attenzione, focalizzazione della propria mente su un particolare stimolo all’interno dell’ambiente
  • La working memory, mantenimento attivo e manipolazione dell’informazione nella propria mente per un certo periodo di tempo
  • L’attenzione sostenuta, mantenimento dell’attenzione su un insieme di stimoli o su un compito per un periodo di tempo prolungato
  • La capacità inibitoria, inibizione di risposte automatiche e mantenimento del comportamento diretto allo scopo
  • La flessibilità e/o lo switching, abilità di passare da un compito all’altro o da una strategia ad un’altra
  • La pianificazione, abilità di sviluppare ed eseguire comportamenti strategici al fine di raggiungere un obiettivo futuro (McCabe et al., 2010; Repovs and Baddley, 2006).

Aupperle et al. 2011 hanno deciso di focalizzarsi sulle FE e sull’attenzione piuttosto che sull’apprendimento e sulla memoria per due motivi: in primo luogo ci sono state recenti review che hanno discusso la relazione tra memoria, apprendimento e DPTS, in secondo luogo recenti ricerche hanno messo in evidenza che training di modificazione attentiva possono essere vantaggiosi nel trattamento dei disturbi d’ansia (Amir et al., 2009a; Schmidt et al., 2009; Amir et al., 2009b; Najmi and Amir, 2010). Così la ricerca orientata al funzionamento dell’attenzione e della working memory può aumentare la nostra conoscenza rispetto al DPTS e condurci a trattamenti più efficaci per questa tipologia di pazienti.

Dal lavoro di Aupperle et al., 2011 vengono discussi vari risultati. In primo luogo gli autori mettono in evidenza come vi siano alcuni fattori cognitivi di rischio che correlano con sintomi del DPTS; tra questi individuano funzionamento attentivo, esecutivo e mnesico pre-trauma.

Per quanto riguarda l’attenzione e la working memory emerge che persone con DPTS, che avevano subito aggressioni sessuali o avevano avuto esperienze di guerra, quando confrontate con vittime senza DPTS e controlli senza trauma, presentano basse performance in compiti di attenzione uditiva e working memory (Burriss et al., 2008). Per quanto riguarda l’attenzione sostenuta e le funzioni inibitorie gli studi hanno ripetutamente trovato che persone con DPTS mostrano perfomance ridotte in compiti volti a valutare l’attenzione sostenuta uditiva e visiva (Continuous performance test, CPT) riportando un elevato numero di errori di intrusione, indice di difficoltà inibitorie (Wu et al., 2010); anche quando sottoposti a prove volte valutare le capacità di inibizione (prove Go-no-go, Attention network tasks, Stroop test), la performance di persone con DPTS è consistentemente deficitaria e correla con la gravità dei sintomi del DPTS (Lagarde et al., 2010; Wu et al., 2010). Resta difficile determinare la direzionalità di questi effetti visto che tali ricerche si basano su disegni cross-sectional. Infatti l’aumentato arousal e i sintomi intrusivi (l’evento traumatico viene rivissuto) possono determinare maggiore distrazione quando un individuo sta provando a concentrarsi sul compito, così da interferire con la working memory, l’attenzione sostenuta e le funzioni inibitorie. E’ possibile inoltre che le difficoltà di inibizione si manifestino non solo nella diminuzione della performance ma anche compromettendo l’abilità ad inibire memorie emotive e l’arousal fisiologico in risposta ai vari triggers durante il compito.

Rispetto alle capacità di flessibilità, switching attentivo e pianificazione, essenziali per il controllo esecutivo, le conclusioni risultano incongruenti: alcuni studi (Stein et al., 2002; Jenkins et al., 2000) su persone con DPTS evidenziano difficoltà di flessibilità e switching (indagate con il Trail making test, TMT) caratterizzate da un aumento del tempo impiegato a risolvere il compito, mentre altri non riscontrano tali difficoltà (Twamley et al., 2009; Lagarde et al., 2010).

Per quanto riguarda le capacità di pianificazione nel DPTS, valutate con il test della Torre di Londra e il Wisconsin Card-Sorting Test (WCST), non sono emersi deficit importanti (Lagarde et al., 2010) ma affiora solo una difficoltà iniziale di problem solving in quanto nello svolgimento del WCST nelle persone con DPTS emerge un aumento del numero di trials utilizzati per il completamento della prima categoria del compito (Twamley et al., 2009).

E’ possibile affermare come le capacità di pianificazione e le strategie di switching in persone con DPTS risultino essere risparmiate nei compiti che non richiedono limiti di tempo (WCST) a differenza di quelli che lo richiedono (TMT) e che working memory, attenzione sostenuta e capacità inibitorie siano compromesse in casi di DPTS.

Anche studi di neuro-immagine mettono in evidenza differenze nei correlati neurali che vengono ad attivarsi in soggetti sani e in soggetti con DPTS in relazione alle FE. Tali studi mostrano che in soggetti sani, durante compiti che richiedono capacità di inibizione, vi è un’attivazione delle aree della corteccia frontale inferiore, della corteccia orbitofrontale, e della corteccia prefrontale laterale, quest’ultima specificatamente implicata in risposte inibitorie (Aron et al., 2003; Bledowski et al., 2010). In soggetti con DPTS invece si evidenzia una ridotta attivazione della corteccia prefrontale laterale durante lo svolgimento di compiti richiedenti capacità inibitorie (Falconer et al., 2008). Tuttavia un’importante limitazione di questi studi è il riscorso eccessivo a campioni clinici che corrono il rischio di enfatizzare eccessivamente gli effetti specifici della sintomatologia del DPTS sui deficit cognitivi a scapito degli effetti intrinseci del trauma (Navalta et al., 2006).

I deficit cognitivi potrebbero precedere l’inizio del DPTS, svilupparsi insieme all’evento traumatico o insorgere al manifestarsi dei sintomi (Brandes et al., 2002). Per tale motivo studi che utilizzano solo pazienti con DPTS per analizzare gli effetti del trauma sulle FE, non consentono di comprendere le reali conseguenze del trauma sugli aspetti cognitivi.

Navalta et al., (2006) per superare questo problema, hanno indagato gli effetti dell’abuso sessuale in relazione allo sviluppo neurocognitivo in un campione di riferimento non clinico, cioè che non aveva sviluppato una diagnosi di DPTS. Lo studio metteva a confronto 26 donne con storia di abuso sessuale (traumatizzate) con 28 donne senza storia di abuso sessuale (assenza di trauma). I risultati mostrano che l’abuso sessuale è associato a difficoltà cognitive, in particolar modo differenze significative tra i due gruppi sono emerse in compiti volti a valutare le capacità inibitorie, abilità comprese nelle FE.

Così come Navalta et al. (2006), anche De Bellis et al. (2013) indagano il funzionamento cognitivo in bambini e adolescenti mettendo a confronto gruppi clinici con gruppi non clinici. Il campione è formato da tre gruppi: gruppo maltrattati che avevano sviluppato un DPTS; gruppo maltrattati che non avevano sviluppato un DPTS; gruppo di controllo non maltrattati. In accordo con il modello di sviluppo traumatologico sia statico che dinamico (De Bellis, 2001), gli autori ipotizzano che entrambi i gruppi di bambini maltrattati (sia con DPTS che senza) avrebbero riportato performance significativamente peggiori in tutti i domini neuropsicologici rispetto al gruppo di controllo, e che il gruppo di bambini maltrattati con DPTS avrebbe mostrato performance significativamente peggiori in compiti volti a valutare la memoria e le FE rispetto al gruppo dei solo maltrattati e al gruppo di controllo.

E’ stato indagato inoltre se specifiche tipologie di abuso sono associate a specifici domini neuropsicologici, tenendo sotto controllo la gravità del maltrattamento. Per quanto riguarda gli esiti neuropsicologici, non emergono differenze tra i due gruppi di bambini maltrattati: entrambi i gruppi maltrattati (sia con DPTS che senza) eseguono similmente e significativamente peggio prove volte a valutare il QI, il rendimento scolastico, e tutti i domini neuropsicologici eccetto quello fine-motorio, dimostrando come le difficoltà cognitive emergano indipendentemente dalla diagnosi di DPTS.

Non emergono inoltre differenze rispetto alle funzioni esecutive nei due gruppi di bambini maltrattati ma abbiamo differenze tra i due gruppi solo rispetto le abilità visuo-spaziali, che però includono FE di ordine superiore e che quindi supportano l’ipotesi secondo cui il modello di sviluppo traumatologico dinamico predice performance peggiori in compiti volti a valutare le funzioni esecutive nel gruppo maltrattati con DPTS rispetto ai solo maltrattati. I risultati mostrano una relazione tra le variabili di maltrattamento e il funzionamento cognitivo, tale che una durata maggiore della diagnosi di DPTS correla con più basse funzioni visuo-spaziali, i sintomi dissociativi correlano negativamente con il dominio attentivo, e l’esperienza di ripetuti tipi di maltrattamento risulta negativamente associata al dominio dei risultati accademici, mostrando quindi degli effetti cumulativi del trauma che non sono collegati al DPTS. Questo dato supporta il modello di sviluppo traumatologico dinamico secondo il quale un precoce trauma può portare a meccanismi che causano deficit neuropsicologici multipli e globali che non sono collegati ai sintomi dell’attuale DPTS o a psicopatologia.

Solo l’indice di abuso sessuale correla significativamente e negativamente con due principali domini cognitivi: memoria e linguaggio. Ciò suggerisce che bambini abusati sessualmente riportano performance peggiori in compiti che valutano capacità di linguaggio e memoria rispetto a bambini che subiscono altre forme di maltrattamento. In letteratura è stato osservato inoltre che la natura del trauma può influenzare in modo specifico il funzionamento cognitivo nei pazienti traumatizzati. A tal proposito l’obiettivo di DePrince et al., (2009) è stato quello di mostrare che i bambini esposti a trauma familiare (abuso fisico, violenza sessuale ed esposizione alla violenza domestica) avrebbero mostrato deficit delle FE maggiori rispetto a bambini esposti a traumi non familiari. Successivamente alla somministrazione di questionari e una batteria neuropsicologica che andava ad indagare le FE, tra cui working memory, capacità di inibizione, velocità di elaborazione, controllo delle interferenze e attenzione uditiva, un totale di 110 bambini è stato suddiviso in tre gruppi: gruppo con trauma familiare (maltrattamenti fisici e sessuali di tipo famigliare); gruppo con trauma non familiare (calamità naturali, incidenti automobilistici, e/o nella comunità/violenza dei pari); gruppo senza trauma.

Lo studio rivela un effetto della relazione tra condizione di esposizione al trauma familiare e prestazioni nei compiti delle FE, pur tenendo sotto controllo le variabili che contribuiscono ad influenzare la performance sulle FE (condizione familiare di esposizione al trauma, ansia e sintomi dissociativi, presenza di lesioni cerebrali, status socio economico). I bambini esposti a trauma familiare rispetto ai loro pari mostrano prestazioni compromesse nei compiti che valutano le FE rispetto sia al gruppo trauma non familiare che al gruppo di controllo. Tale studio però non è in grado di determinare la direzione causale della relazione tra FE ed esposizione al trauma familiare.

Potrebbe essere che il deficit delle FE aumenti il rischio di esposizione al trauma, piuttosto che l’esposizione al trauma potrebbe comportare deficit nelle FE. Tuttavia non è possibile escludere che il deficit delle FE aumenti il rischio di violenza familiare.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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