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Lavorare in sicurezza: una risorsa psicologica per l’analisi del bisogno formativo

L’analisi dei fabbisogni formativi è oggi fondamentale: essa può avere esiti decisivi (positivi o negativi) nella vita delle persone e delle organizzazioni %%page%%

Di Marco Miniussi

Pubblicato il 04 Nov. 2015

Il fenomeno infortunistico è un problema prioritario per la salute dei lavoratori con ripercussioni notevoli sia a livello sociale che economico. Il problema è stato analizzato da più fronti e da diverse discipline, così come la psicologia, l’ergonomia, l’ingegneria e la medicina del lavoro.

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 626/94 (legge sulla sicurezza) si è assistito ad una riconfigurazione delle modalità preventive, in termini di salute e sicurezza delle persone sul luogo di lavoro, cercando di abbandonare una politica riparatoria, orientandosi verso una modalità di intervento focalizzata su prevenzione ed informazione. Sotto questi auspici è stato introdotto il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza) che ha adeguato il corpus normativo all’evolversi della tecnica e del sistema di organizzazione del lavoro, oltre a consentire un maggior allineamento a quanto espresso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che da tempo considera la salute sul lavoro non solo come assenza di malattia fisica, ma anche come stato di benessere generale psico-fisico e ambientale, fortemente legato agli assetti e al clima organizzativo presente nei luoghi di lavoro.

Al di là degli aspetti normativi, sappiamo che i contributi nati all’interno della psicologia si sono dedicati soprattutto allo studio dei predittori psico-sociali dei comportamenti a rischio e/o degli infortuni sul lavoro. In letteratura, sono note diverse associazioni tra l’esperienza pregressa di infortunio e la compresenza di alcuni fenomeni psicologici, come l’aumento della percezione di pericolosità rispetto del rischio, la diminuzione della soddisfazione rispetto le misure di prevenzione adottate dall’organizzazione e l’aumento di stress lavorativo (Greening, 1997).

Ulteriori evidenze a tal proposito sono sopraggiunte approfondendo aspetti più legati alla cognizione, come l’hindsight bias (Kahneman, Slovic e Tversky, 1982), conosciuto anche come bias del senno di poi, che condiziona l’atteggiamento delle persone portandole a ragionare erroneamente che sarebbero state in grado di prevedere un evento correttamente, una volta che l’evento è ormai noto (e che il danno è stato fatto!). Considerando che l’obiettivo di quest’articolo è discutere l’assetto delle strategie preventive basate sulla formazione ed informazione, si rimanda il lettore alla riesamina di Serpe e Cavazza (2007) per un quadro maggiore sugli apporti psicologici che si verificano in rapporto ai fenomeni infortunistici.

La disquisizione di oggi vuole presentare una possibile alternativa, attuabile nell’erogazione della formazione in tema di sicurezza lavorativa, in particolare nella prima fase di questo processo, ovvero nell’analisi del fabbisogno formativo, processo in cui il formatore interviene con il fine di sviluppare capacità e competenza negli individui in riferimento al contesto operativo in cui operano, frapponendosi tra il soggetto committente e l’utente.

La definizione del fabbisogno formativo: problemi aperti

In linea con quanto realizzato sul piano legislativo, ad oggi in tema di sicurezza, sembra essere una prassi comune, quella di orientare la manovra preventiva verso la formazione ed informazione dei propri dipendenti, inerentemente ai rischi derivati dallo svolgimento delle proprie mansioni, con l’auspicio che l’aumento di consapevolezza condivisa, possa apportare miglioramenti significativi nelle condotte, assolvendo allo stesso tempo gli obblighi di legge vigenti. Questo ragionamento in realtà, non segue tale linearità, visto e considerato, che possiamo riconoscere almeno due situazioni comuni e trasversali a più realtà lavorative, che si frappongono a questa logica.

La prima si pone considerando che orientare un’azione formativa verso dei lavoratori, che possono non aver espressamente palesato la necessità di un intervento formativo, per una determinata tematica, come quella della sicurezza lavorativa (o in altri campi affini e strettamente connessi, come la gestione delle emozioni) diviene una questione che può generare abnormi difficoltà sia per li formatore, che si può veder diminuire l’efficacia a medio-lungo termine del suo intervento, sia rispetto l’appellante verso il quale quest’ultimo indirizza il suo servizio. Questa considerazione pone l’accento su come l’analisi dei fabbisogni costituisce necessariamente la prima fase del processo di formazione ed è preliminare alla progettazione stessa (Rosati, 2014), pertanto sottovalutare questa fase, può vanificare l’efficacia degli sforzi messi in atto.

Una seconda considerazione si erge osservando un esempio concreto e tangibile: si pensi ai classici corsi sulla movimentazione dei carichi pesanti, che addestrano il lavoratore a mantenere posture e movimenti conformi a salvaguardarsi da sforzi pericolosi. Questi corsi si espongono al rischio di essere percepiti dai lavoratori come belli ma inutilizzabili, soprattutto in quelle realtà operative dove manca sistematicamente il personale necessario per il trasporto di un carico (problema non infrequente) o nel caso di ambienti dove i ritmi uomo-macchina non sono controllabili, così come nelle catene di montaggio che spesso sono progettate senza una debita considerazione degli aspetti ergonomici.

Lo scenario appena descritto vuole essere una dimostrazione piuttosto rapida ed esemplificativa, poiché vi sono altri fattori in grado di impattare negativamente in una performance di sicurezza e in tal senso, un ruolo cruciale sembra essere l’assenza di una cultura aziendale improntata alla tutela di questi aspetti (Cox e Flin, 1998).

Allineandomi a quanto espresso nel MOAFF (Modello Operativo di Analisi dei Fabbisogni Formativi), ritengo sia cruciale avvertire che la problematica dell’analisi dei fabbisogni formativi ha assunto oggi un posto fondamentale. La sua pertinenza e qualità possono avere esiti decisivi (in positivo o in negativo) nella vita delle persone e delle loro organizzazioni di riferimento.

Viste e considerate queste criticità, rilevo come possa essere un opportuno riferimento, quello di indirizzarsi ad una proposta alternativa, che possa potenziare le primissime fasi dell’ analisi del fabbisogno formativo del personale, favorendo l’emergere di quella parte del fabbisogno definito latente, orientando in tal modo l’erogazione dell’intervento in maniera rapida e personalizzata rispetto alle esigenze dei beneficiari della formazione con plurimo beneficio (ovvero per i formatori, per i dipendenti e per l’azienda).

La matrice di svalutazione

Mi vorrei soffermare su un particolare modello derivato dell’Analisi Transazionale, teoria psicologica nata dal pensiero di Eric Berne che gode di una notevole applicabilità, per contesti educativi ed organizzativi di diverso tipo (Steward e Joines, 2005). Mi riferisco alla Matrice della svalutazione, uno strumento elaborato dal pensiero di Mellor e Schiff (1975) consistente in una matrice avente come colonne le sezioni ‘Stimoli’, ‘Problemi’, ‘Opzioni’ e nelle righe ‘Esistenza’, ‘Importanza’, ‘Possibilità di cambiamento’, ‘Capacità personali di cambiamento’, così illustrato nella Fig.1.

L’intera matrice adopera il concetto di Svalutazione per indicare che in un dato momento stiamo trascurando l’accadimento di qualcosa, identificabile dall’incrocio tra riga e colonna. Ci sono tre aree nelle quali una persona può svalutare: se stessa, gli altri e la situazione.

 

Lavorare in sicurezza: una risorsa psicologica per l’analisi del bisogno formativo_TABELLA

Fig.1: Rielaborazione personale della matrice di svalutazione

Modalità di lettura della Matrice di Svalutazione

Procedendo secondo l’ordine prestabilito dagli autori (investigando dapprima dall’Esistenza degli Stimoli, T1), si può scoprire in quale area avviene la Svalutazione. Solo una volta che la Svalutazione è correttamente identificata, si può procedere per rimuoverla. Prima di procedere ad alcuni esempi illustrativi, preciso le due basilari regole che ne regolano la lettura:

  • Lettura per diagonali: le diagonali guidano il senso di lettura, indicando che la presenza di una svalutazione comporterà sempre l’altra, quindi lungo gli assi T1, T2, T3, T4, T5 e T6. Ad esempio una svalutazione nella diagonale T2 corrisponde alla svalutazione dei Problemi e dell’Importanza degli stimoli;
  • Chi svaluta lungo una qualsiasi diagonale svaluterà anche in tutte le caselle al di sotto e alla sua destra;

La matrice oltretutto è impostata per suggerire una procedura d’intervento, ovvero un itinerario di analisi sistematica utile a monitorare il processo volto alla soluzione di un problema. Essa viene esaminata cominciando dalle caselle poste più in alto finché non si individua il punto dal quale ha inizio la svalutazione. Una volta trovato, quello rappresenta il punto su cui occorre soffermarsi, acquisendo dalla persona le informazioni ignorate, sostituendo la consapevolezza alla svalutazione.

Esempio

Immaginiamo di essere degli educatori impegnati in un intervento educativo in aula con diversi alunni. Verso fine lezione facciamo delle domande per accertarci se il contenuto sia stato appreso, ma riscontriamo con rammarico che quasi nessuno è in grado di ricostruire qualcosa. A questo punto potremmo pensare di avere a che fare con studenti con poco motivati e che questo possa aver inciso notevolmente sull’esito finale. Ipotizzando questo scenario, stiamo agendo una svalutazione nell’area degli ‘Altri’ sulla diagonale T5 o T6 della matrice. Se invece affrontassimo il problema da una diagonale più alta, ci accorgeremmo che il microfono non funzionava correttamente e che il problema è che quando abbiamo parlato non si è potuto sentire molto. Il problema è situato nella diagonale T2 e per la sua risoluzione è sufficiente cambiare microfono.

Come intervenire

Il percorso di lettura della matrice di svalutazione suggerito da Schiff, permette ogniqualvolta si ha a che fare con un problema non risolto, di individuare quale informazione è omessa per la sua risoluzione. Seguendo la modalità di lettura proposta, possiamo agire su più tematiche, generando nell’utente quella presa di coscienza necessaria per la messa appunto di future scelte, ottenendo in cambio una restituzione di quelle che sono le maggiori resistenze sulle quali operare attraverso diverse tecniche, come la sensibilizzazione.

La strategia migliore da mettere in atto, per applicare questo strumento all’attenta analisi del fabbisogno formativo nascosto, è quella di chiedere più informazioni ai fruitori dell’intervento riguardo il contenuto della proposta formativa, approfondendo le sue convinzioni personali rispetto la problematica (area della situazione) e rispetto ai suoi comportamenti (area se stessi), esaminando da quale diagonale la persona ci sta rispondendo con una svalutazione. Dato che non possiamo disporre in anteprima questa informazione, la buona prassi è quella di iniziare a verificare sempre dall’angolo in alto della matrice e verso il basso lungo le diagonali.

Meglio intervenire sempre dalla diagonale più alta, perché focalizzare la ricerca in una diagonale troppo bassa a pelle (così come riportato nell’esempio), potrebbe portare il soggetto a svalutare successivamente il nostro stesso intervento, poichè rischierebbe di non ancorarsi al suo sistema di credenze e di elaborazione delle informazioni, ricascando nel terreno poco fertile degli interventi belli ma impraticabili.

Un’ultima considerazione da tenere a mente è di ricordarsi che una persona non sempre attua una svalutazione, ma può rimanere bloccata in un particolare comportamento, semplicemente perché è male informata a riguardo e quindi poco consapevole del ventaglio delle le alternative possibili.

Conclusione

L’analisi dei fabbisogni formativi va considerata alla stregua di una ricerca sociale in senso stretto, in cui l’uso dei consueti strumenti di analisi a scatola chiusa come i questionari, rischia di essere fuorviante. In virtù del fatto che tali fabbisogni non sono sempre esplicitati, come ricordato nelle battute precedenti, rimane la necessità di portarli comunque a coscienza. La matrice di svalutazione è uno strumento semplice e potente che grazie uno schema di domande ad incrocio, ci guida alla comprensione dei processi e delle resistenze in atto che devono essere debitamente considerate se il nostro intento è dirigere il comportamento altrui verso altri scenari, seppure questa esplicitazione ha luogo all’interno di un più ampio e complesso quadro di negoziazione tra attori adulti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cox, S. e Flin, R. (1998). Safety culture: philosopher’s stone or man of straw? Work & Stress, 12, 189-201
  • Greening, L. (1997). Risk perception following expose to a job related electrocution accident: The mediating role of perceived control. Acta Psychologica, 95, 267-277.
  • Kahneman, D., Slovic, P., e Tversky, A. (1982). Judgment under uncertainty: Heuristics and biases. New York: Cambridge University Press.
  • Serpe, A. e Cavazza, N. (2007). I predittori psico-sociali degli infortuni sul lavoro - PSICOLOGIA SOCIALE - n. volume 2 - pp. da 247 a 274.
  • Mezzana, F., Montefalcone, M. e Quaranta, G. (2005). Modello Operativo di Analisi dei Fabbisogni Formativi (MOAFF). Manuale, Roma, Regione Lazio.
  • Rosati, L. (2014). Formazione in Aula. Come Progettare Lezioni e Corsi nell'Insegnamento agli Adulti. Bruno Editore
  • Stewart, I. e Joines, V. (1990). L'analisi transazionale, Milano, Garzanti.
  • Mellor, K. e Schiff, E. (1975). Discounting. Transactional Analysis Journal, V.5, No.3, July. P. 295-302
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