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Gli attentati di Parigi: gestire una sana paura, evitare i danni dell’ansia

Un conto è la sana preoccupazione, un altro è invalidare tutta la propria vita a fronte di ciò che è successo, rimanendo incastrati in pensieri negativi..

Di Caterina Poli

Pubblicato il 17 Nov. 2015

Aggiornato il 27 Ago. 2019 12:45

“Gli attentati a Parigi sono un attacco non solo al popolo francese ma a tutta l’umanità e ai valori che condividiamo”, così commenta la terribile tragedia il presidente USA, Barack Obama.

Una notte degli orrori. Come al luna park quando hai paura e chiudi gli occhi sperando di sopprimere il continuo rimuginare non vedendo ciò che accade ma, le sensazioni somatiche, l’attivazione fisiologica, lo stato di vigilanza non ti permettono di calmarti.

Peccato che qui non è un gioco, ma una realtà che lascia senza parole. Qui i protagonisti della scena sono il terrorismo, le 6 sparatorie, le 3 esplosioni che hanno causato circa 352 feriti e 129 morti, tra cui Valeria Solesin, una giovane studentessa veneziana, come riportato da Ansa.it.

È stato definito l’attentato più grave della storia di Francia.

Un bilancio vertiginoso, a scapito di vittime innocenti colpevoli solo di essere nel posto sbagliato in un venerdì notte che doveva essere solo l’inizio di un fine settimana. Un concerto, una cenetta fuori in compagnia, una partita Francia-Germania che gli è costata la vita.

Quello che ora ci resta è soltanto la paura da cui sfuma la disperazione, il disprezzo, la tristezza e la rabbia.

Paura nei confronti dei terroristi islamici, alla loro incapacità di decentrarsi, paura per tutte le famiglie distrutte e spezzate, paura verso noi stessi come generalizzazione di ciò che gli uomini sono disposti a fare, una paura etico-morale. Di un mondo che ormai è incapace di riflettersi nei bisogni degli altri.

La paura in verità ha un compito essenziale perché ha uno scopo “preventivo”, dispone cioè l’individuo a reagire prontamente per evitare che il pericolo si concretizzi, in questo caso si ri-concretizzi ed uno scopo importante venga compromesso. La paura costituisce un’evidente salvaguardia della sopravvivenza individuale, poiche’ si puo’ attivare un processamento semi-automatico quindi di con minor mediazione cognitiva e al tempo stesso quando attivata prevale su tutte le altre emozioni. Quando si ha una reale paura tutto il resto viene congelato e messo in secondo piano.

“Dopo Parigi ora tocca a Roma, Londra e Washington” come proclamato su Twitter dai sostenitori dell’Isis con l’hastag “Parigi in fiamme”. La paura nel leggere certe esternazioni, è una sorta di sentinella a guardia dei nostri scopi più importanti, in questo caso legati alla concreta sopravvivenza fisica.

Ad oggi il mondo è concentrato sul pericolo da cui difendersi.

Non si può parlare di ansia, anche se spesso vengono confuse perché qui la minaccia è definita, immediata, presente e lo scopo minacciato è assolutamente evidente, nell’ansia invece la minaccia è indefinita, lontana nel tempo e nello spazio, e lo scopo minacciato è più sfumato.

Al tempo stesso paura e ansia si intrecciano tra loro essendo la paura dell’ignoto, dell’imprevedibile e quindi ingestibile, la madre di tutte le ansie. Quindi siamo destinati inevitabilmente a provare ansia.

Secondo Salkovskis, un evento è più o meno pericoloso se genera una quantità d’ansia proporzionale alla gravità del pericolo e la probabilità che si verifichi e inversamente proporzionale alla sua capacità di sopportare o rimediare.

Quando si ha paura si automatizzano i pensieri negativi, si restringe l’attenzione focalizzandosi selettivamente sull’evento temuto e si selezionano solo ricordi negativi in memoria. Il risultato è un ricordo di tutto ciò che conferma le nostre credenze a scapito di dati contraddittori con esse.

Secondo Kelly, è minaccioso ciò che è imprevedibile, ciò che spaventa è l’incontrollabilità delle cose. La morte spaventa tanto proprio perché rappresenta il massimo dell’ignoto.

Può essere minaccioso anche un evento prevedibile quando pensiamo di non aver su di esso alcun potere.

Altro elemento centrale dell’ansia è il timore sproporzionato del danno e la tendenza a previsioni catastrofiche, inevitabili e irreparabili. Questo elemento porta il soggetto a considerare sempre l’ipotesi peggiore come strategia prudenziale per evitare che quanto si teme accada, senza alcuna elaborazione di scenari alternativi; a livello comportamentale si verifica l’evitamento, cioè l’allontanamento da luoghi e situazioni in cui l’invalidazione si è precedentemente verificata o dove si ritiene che abbia più possibilità di verificarsi in futuro. Questo restringe il campo d’azione e impedisce di disconfermare le credenze negative. Più una cosa è evitata, più resta sconosciuta quindi spaventosa.

Dopo l’accaduto di Parigi tutti devono riflettere sulle proprie capacità di fronteggiare l’evento, prendere coscienza, per ridurre l’ansia, che siamo in grado di sapere cosa fare se la situazione temuta si dovesse effettivamente verificare, abbassare l’imprevedibilità.

Elaborare tutto ciò che è successo, incrementare l’autoefficacia e costruire scenari per il “day after”, arricchendo il nostro sistema cognitivo in modo tale che dove prima c’era l’ignoto ora ci sia meno vuoto predittivo colmato dalla consapevolezza appellandosi strategie di coping funzionali. Coping, inteso come l’insieme di strategie mentali e comportamentali messe in atto per fronteggiare una situazione stressante, dove il soggetto si vede costretto ad attingere a tutte le risorse disponibili.

Secondo Lazarus, le strategie maggiormente utilizzate sono quelle centrate sul problema (problem-focused), quali adoperarsi per modificare la situazione prevenendo o riducendo la fonte dello stress, in questo caso specifico, ad esempio, promuovendo comportamenti attivi come, assistenza e volontariato alle persone vittime di questa strage e quelle centrate sulle emozioni (emotion-focused), volte a ridurre i disturbi affettivi e psicologici che accompagnano la percezione dello stress, come prendere le distanze dalla situazione, cercare un sostegno sociale, come hanno fatto le scuole francesi, predisponendo psicologi all’interno del contesto scolastico per aiutare a superare il trauma.

Come, riportato da Ansa.it, infatti, in tutti gli istituti della capitale e dell’Ile-de-France, dalle elementari alle università, “saranno inviate delle cellule psicologiche” per aiutare allievi, famiglie e insegnanti “particolarmente toccati” a far fronte al momento difficile.

Spiega Eduscol, che la finalità di questo intervento deve essere inserito in una macro-cornice di accettazione reciproca assicurandosi di

“orientare le discussioni sul fatto che, venerdì sera, sono stati colpiti uomini, donne e bambini, quali che fossero le loro opinioni personali, le loro posizioni filosofiche o le loro convinzioni religiose. Lo stesso dolore colpisce le loro famiglie e i loro amici, al di là di qualsiasi appartenenza, in una stessa umanità colpita dal lutto”.

L’assenza di ansia, inoltre puo’ essere vissuta come segno di vulnerabilità e debolezza in quanto porta ad un abbassamento delle difese, a uno stato di fragilità e un aumento esponenziale di incapacità di gestire il pericolo qualora arrivi. Equivale a un trovarsi impreparati. Ma un conto è la sana preoccupazione, la presa di coscienza di ciò che è accaduto, un conto è invalidare tutta la propria vita a fronte di ciò che è successo, rimanendo incastrati in pensieri negativi e incapacità di reagire.

La preoccupazione predispone all’azione, ha uno scopo adattivo, ci consente di prendere esempio dal passato per evitare che si ripresenti il pericolo in futuro. L’ansia è un crogiolarsi incessante in una reiterazione di comportamenti protettivi che non permettono la disconferma delle nostre credenze.

Se visto l’accaduto allo stadio, smettessimo di frequentare tutti gli stadi, per paura di un ipotetico pericolo, verremo rinforzati nel percepire come effettivamente nulla accada standocene a casa ma, al contempo non potremmo realizzare come, l’aumento di controllo da parte delle forze dell’ordine (sana preoccupazione) ci porterebbe a vivere un momento positivo di distrazione e condivisione sociale senza ansia.

Ovviamente differente è il vissuto emotivo, la traumaticità e la pervasività delle emozioni provate da chi ha vissuto in prima persona la tragica notte di venerdì 13, rispetto a chi ha assistito come spettatore attraverso la televisione o la lettura di giornali la sequenza di eventi. Le emozioni sono sempre le stesse ma diverso è il grado, il tipo di elaborazione e le conseguenti sfaccettature su cui si basano le conseguenti valutazioni degli eventi.

Certo è che, focalizzarsi solo sul pericolo toglie la libertà di vivere, di permettersi di dare spazio a tutti quei rinforzi positivi e distrazioni che ci permettono di avere scopi adattivi e terminali.

Bisogna imparare a convivere con differenti culture e modi di pensare diversi perché non si migliora eliminando il problema, ma trovando strategie alternative affinché il problema diventi risolvibile in modo eticamente corretto.

Concludendo, non bisognerebbe cristallizzarsi su ciò che è successo, ma pensare a cosa fare ora per far si che nel futuro ciò non ricapiti, predisponendosi all’elaborazione di questo “lutto” e trovando modi per mediare, per evitare che tutto questo sia solo l’inizio di una serie di errori senza fine.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Apparigliato M., Lisandron S. (2010). “La cura delle emozioni in terapia cognitiva”, Alpes Editore
  • Sassaroli S., Lorenzini R., RUggiero G.M., (2006). "Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Rimuginio, controllo ed evitamento". Raffaele Cortina Editore
  • Lazarus, R. S. & Folkman, S. (1984). Stress, appraisal and coping. Springer.
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