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Indagine sulla violenza domestica: la visione di sequenze di film famosi come strumento di analisi

I soggetti potenzialmente abusanti hanno credenze più permissive nei confronti della violenza domestica rispetto al gruppo di controllo - Psicologia

Di Zeno Regazzoni

Pubblicato il 18 Nov. 2015

Aggiornato il 14 Dic. 2015 11:09

 

La violenza domestica nei confronti delle donne è oggi, purtroppo, un fenomeno piuttosto diffuso, a prescindere dal paese e dalla cultura di appartenenza.

La Commissione Europea (2010) lo ha recentemente identificato come la più comune causa di violenza subita dalle donne, con una prevalenza del 22%; nondimeno, si calcola che il 41% degli omicidi compiuti nei confronti delle donne sia perpetrato proprio dal partner maschile. Incredibilmente, resiste ancora uno stigma sociale nei confronti delle vittime femminili di abusi domestici (sessuali e non), poiché il 55% dei cittadini europei ritiene che la prima causa di violenza domestica sia proprio un presunto comportamento provocatorio da parte della vittima, comportamento che eliciterebbe direttamente, secondo un’errata credenza comune, la reazione violenta del partner maschile.

E’ facile immaginare come tale stigma nei confronti delle vittime provochi i maggiori danni nel facilitare e perpetuare proprio i comportamenti abusanti meno violenti, rispetto a quelli più efferati: se, infatti, siamo tutti d’accordo nel condannare l’omicidio, potremmo trovarci meno d’accordo nel condannare quei comportamenti cosiddetti minori come la violenza sessuale o le semplici percosse nei confronti della donna con cui viviamo. E’ questo il ritratto che emerge dalle analisi della Commissione Europea: sembra che tali credenze non siano diffuse solo tra la popolazione maschile (potenzialmente abusante), ma anche tra la popolazione femminile (potenzialmente abusata) che troppo spesso – perciò – tace, nasconde e perfino giustifica le violenze minori subite, magari quotidianamente.

Purtroppo negli anni l’assessment psicologico dell’Intimate Partner Violence Against Women by their male partners (IPVAW) ha incontrato non poche difficoltà, che possiamo facilmente prevedere: utilizzando unicamente strumenti self-report che indaghino esplicitamente la tendenza a compiere tali violenze o le nostre credenze a riguardo, si ricade inevitabilmente nel bias della desiderabilità sociale: il maschio abusante non ammette mai esplicitamente i propri agiti, e tende – anzi –  a difenderli, giustificarli o minimizzarli.

Per tale motivo si è da anni alla ricerca di strumenti che indaghino queste credenze e tendenze in modo implicito, riuscendo quindi ad aggirare il desiderio dell’abusante di apparire migliori agli occhi degli altri. E’ quello che stanno provando a fare Enrique Gracia e colleghi, dell’Università di Valencia, che hanno di recente pubblicato su Frontiers in Psychology uno studio preliminare su di un nuovo strumento, il Partner Violence Acceptability Movie Task (PVAM).

L’idea è semplice quanto acuta: mostrare ai soggetti sequenze di film famosi (come Il colore viola o Pomodori verdi fritti alla fermata del treno) che rappresentano scene di violenza domestica e chiedere loro di fermare la riproduzione quando pensano che il comportamento dell’uomo stia diventando violento. L’ipotesi è che i soggetti (potenzialmente) abusanti abbiano credenze più permissive nei confronti della violenza domestica e che, dunque, lascino riprodurre le sequenze più a lungo di quanto faccia il gruppo di controllo.

Il campione è costituito da 94 maschi condannati per violenza domestica e già inseriti in un programma di intervento psicologico, mentre il gruppo di controllo è formato da 245 studenti universitari (189 femmine, 55 maschi). I tempi di reazione sono stati analizzati insieme ai risultati dell’Inventory of Beliefs About Wife Beating (somministrato dopo la sequenza cinematografica) e hanno confermato le ipotesi: non solo vi è una forte correlazione generale tra il tempo di reazione al film ed il risultato del questionario (tempi più lunghi correlano con punteggi più alti), ma il campione ha espresso tempi e punteggi significativamente più alti rispetto al gruppo di controllo.

Non possiamo, però, non tacere qualche perplessità riguardo alla selezione del gruppo di controllo, che a parer nostro potrebbe aver lievemente amplificato i risultati. Infatti, se il campione era costituito – a buon senso – unicamente da soggetti maschi, c’era da aspettarsi che anche il gruppo di controllo fosse così formato (se non nella sua totalità, almeno nella maggioranza): appare evidente, perciò, come un gruppo di controllo di ben 189 femmine e solo 55 maschi risulti poco adatto per valutare la presenza di un comportamento perpetrato – per definizione – da soggetti di genere maschile nei confronti del genere femminile!

Ciò nonostante, questo studio, seppur preliminare, sembra promettere molto nel campo dell’assessment dell’IPVAW, andando a formare il primo strumento di valutazione implicita delle nostre credenze sulla violenza domestica.

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