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Disturbo acuto da stress e CBT: natura del disturbo e possibilità di trattamento

Il disturbo acuto da stress differisce dal PTSD per la gravità dei sintomi e per la loro comparsa: i sintomi si risolvono entro 1 mese dal trauma %%page%%

Di Simone Zignani

Pubblicato il 11 Nov. 2015

Aggiornato il 04 Ott. 2019 13:01

Simone Zignani, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

 

L’ASD differisce dal PTSD per la gravità dei sintomi, che non sono riconducibili a un comune disturbo d’assestamento, e per la loro comparsa: il disturbo include infatti sia l’esperienza traumatica, sia i sintomi manifestati entro 1 mese dal trauma.

Introduzione

Il disturbo acuto da stress, emergente già dalla risposta che l’individuo dà ad un evento traumatico, emerge durante il primo mese successivo all’ esperienza traumatica.
I sintomi comprendono, tra gli altri, dissociazione, evitamento, elevato arousal, difficoltà di concentrazione; può essere inoltre predittivo di disturbi post traumatici da stress.
Nel seguente articolo si tratteranno gli elementi di funzionamento cognitivo-comportamentali peculiari di questo quadro clinico, nonché delle possibili opzioni per un trattamento efficace.

1. Il disturbo acuto da stress

Il disturbo acuto da stress (ASD) è stato introdotto nel DMS IV per dare visibilità alla situazione di forte sofferenza provata durante un’esperienza traumatica, che può successivamente dar vita a Disturbi Post Traumatici da Stress (PTSD).
Nel DSM 5 è definito secondo alcuni criteri peculiari, tra i quali ricordiamo (American Psychiatric Association, 2013):
– L’esposizione a una situazione di forte minaccia, alla vita o all’integrità fisica (questo comprende anche la dimensione sessuale), per se stessi o altri.
– La possibile comparsa di pensieri intrusivi o dissociazioni.
– Impossibilità a provare emozioni positive.
– Sintomi di evitamento, sia a livello cognitivo che comportamentale.
– Irritabilità, difficoltà di concentrazione o ipervigilanza

L’influenza ambientale, la risposta comportamentale, emotiva e cognitiva del soggetto sono componenti evidenti di questo quadro clinico, nelle quali bene si può inserire la CBT.

L’ASD differisce dal PTSD per la gravità dei sintomi, che non sono riconducibili a un comune disturbo d’assestamento, e per la loro comparsa: il disturbo include infatti sia l’esperienza traumatica, sia i sintomi manifestati entro 1 mese dal trauma (Barton & Blanchard, 1996).

2. I sintomi dissociativi nell’ASD

Sono inoltre presenti, durante l’evento traumatico (dissociazione peritraumatica) o successivamente ad esso, sintomi dissociativi quali derealizzazione, depersonalizzazione, amnesia dissociativa (Cardeñña, 2011).
Se è vero che i sintomi dissociativi sono predittivi di PTSD più gravi e problematici, è anche vero che una maggioranza di casi di ASD sotto soglia soddisfano tutti i criteri diagnostici ad eccezione di quelli riguardanti la dissociazione (Harvey & Bryant, 2003).
Questo implica una esigenza di cura, accompagnamento e trattamento che, al di là della diagnosi, rimane aderente all’esperienza traumatica vissuta e metabolizzata dalla persona, che non necessariamente ha la medesima interpretazione o risposta comportamentale di un’altra (La Mela, 2014).
Del resto, la dissociazione è una difesa che l’individuo utilizza come risposta a un’esperienza molto forte e traumatizzante per evitare il dolore, cosa che ad alcuni individui risulta più facile e quindi preferibile (Koopman & al, 1995).
Gli stessi criteri diagnostici sono abbastanza sfumati, dove evitamento e dissociazione sono due facce della stessa medaglia (Cardeñña, 2011); in definitiva lo scopo di tutte queste manifestazioni è l’evitamento del dolore.

3. Conseguenze del trauma

Le risposte che gli individui danno durante l’evento stressante hanno un beneficio immediato perché permettono di sopportare o evitare il carico cognitivo o emotivo della situazione, tuttavia nel momento in cui questi comportamenti dissociativi o di evitamento permangono essi diventano disfunzionali (Koopman & al, 1995).
La sintomatologia del PTSD, infatti, può essere collegata a quella prima risposta, che viene poi reiterata in modo da evitare di ricordare o rivivere il trauma, attivando una serie di meccanismi di mantenimento del disturbo (La Mela, 2014) che non permettono di elaborare quel dolore che mai è stato elaborato e integrato nell’esperienza dell’individuo.
Sarà opportuno quindi, in questo caso, focalizzarsi prima sul mantenimento del sintomo per poi andare più a fondo nel vissuto e rendere accessibile la parte di esperienza dissociata.

Gli stimoli ambientali processati saranno enfatizzati nella loro dimensione correlata al pericolo e alla paura (Bryant & Harvey, 1997) per la formazione di schemi mentali collegati al trauma costruiti attorno a credenze disfunzionali (La Mela, 2014), quindi dopo il lavoro sui meccanismi di mantenimento sarà necessario soffermarsi su questi core per rielaborare i loro contenuti.
Il rivivere i sintomi (come ad esempio fenomeni dissociativi, o pensieri intrusivi) legati all’ASD non comporta necessariamente un alto livello di stress correlato, fattore invece presente nei PTSD (Bryant & Harvey, 1997), tuttavia in presenza di dissociazione il livello di ansia esperito è più alto, quindi oltre al contenuto è importante anche la modalità di funzionamento dell’individuo, che adottando strategie più disfunzionali proverà anche una maggiore sofferenza psicologica.
Allo stesso modo l’ambiente relazionale circostante potrà ridurre l’utilizzo di strategie dissociative o addirittura rinforzarle, soprattutto nell’ ambito familiare (Bryant & Harvey, 2000), attivando o inibendo, ad esempio, lo schema disfunzionale carico di contenuti legati alla paura.

4. Gli antecedenti

Uno studio condotto da Kristine Barton e suoi collaboratori (1996) mette in evidenza come individui con un passato psicopatologico sono più soggetti a risposte dissociative ad eventi traumatici, hanno sviluppato quindi una vulnerabilità (La Mela, 2014) che rende le loro coping skills meno efficaci.
La vulnerabilità quindi sarà sviluppata attorno all’emozione della paura (Bryant, 2003).

Oltre a questo c’è anche una predisposizione ad evitare informazioni potenzialmente dolorose che contraddistingue i soggetti ASD, che reagiscono in questo modo peculiare e che hanno quindi, a livello cognitivo, un deficit nella memoria autobiografica, e più nello specifico una memoria associativa molto sviluppata e una bassa rievocazione (Bryant, 2003), nello specifico per i contenuti inerenti il trauma e i ricordi positivi (Bryant & Harvey, 2000).

5. Il trattamento

La CBT si rivela molto efficace subito dopo il trauma, sia per gestire i sintomi dell’ASD, sia per prevenire i PTSD.
Nello specifico il trattamento può avvenire tramite la psicoeducazione, per aumentare la consapevolezza nell’individuo dei suoi schemi e delle sue risposte disfunzionali (La Mela, 2014) e la gestione dell’ansia e la ristrutturazione cognitiva, per lavorare invece sulle core beliefs (Bryant, 2003).
Pare che proprio il focus sui meccanismi di mantenimento aiuti l’individuo a integrare il trauma ed evitare l’insorgere di PTSD, dato avvalorato dallo studio di Bryant et al. del 1998.

Gli effetti sono visibili non solo nel qui ed ora, ma anche dopo 6 mesi, il che fa intendere un cambiamento che non si ferma solo al sintomo, ma va già almeno a livello di credenze intermedie; oltre ad una più bassa emergenza di PTSD c’è anche una comparsa minore di sintomi di evitamento, un miglioramento quindi funzionale che ben contrasta l’ASD e una sua successiva evoluzione patologica (Bryant et al., 2002).
Anche un successivo studio longitudinale (Bryant et al., 2005) ha indicato come l’emergere di PTSD sia inferiore con un trattamento di CBT; inoltre, unendo la CBT all’ipnoterapia (Bryant et al., 2006), si è notato un effetto benefico, anche se inferiore alla CBT usata singolarmente.
Questo potrebbe essere dato dal fatto che la forte memoria associativa riscontrata nei soggetti affetti da ASD verrebbe rinforzata e stimolata con l’utilizzo di tecniche ipnotiche, mantenendo di fatto a livello strutturale il sintomo e diminuendo i benefici della terapia in un dato periodo di tempo; di contro, gli ASD che rispondono con meccanismi dissociativi sono più facilmente ipnotizzabili e potrebbero rispondere quindi meglio al trattamento (Bryant & Harvey, 2000).

L’esposizione, che negli studi fatti (Ponniah & Steven, 2009) può andare da 1 a 20 volte, può essere fatta a livello cognitivo o in vivo per contrastare i meccanismi di evitamento sia a livello cognitivo che comportamentale.
La ristrutturazione cognitiva, con o senza l’ausilio dell’esposizione (fino a 20 incontri), sembra dare i risultati migliori in termini di permanenza nel tempo; questo può dipendere dal fatto che lavorare sulle credenze e gli schemi disfunzionali provoca un cambiamento a livello più profondo che lavorare sulla singola strategia di evitamento, fornendo anche schemi più flessibili e quindi maggiore coping; interessante, anche se non abbastanza studiata da quantificarne l’efficacia nel tempo, l’utilizzo di entrambe le tecniche all’interno del trattamento (Ponniah & Steven, 2009).
Pensando allo schema generatosi dal trauma, rendendo i contenuti accessibili si avrà un allentamento dell’associazione stereotipata stimolo-risposta e l’inserimento di nuovi contenuti che andranno a disconfermare lo schema e a creare nuove strutture più funzionali (Bryant & Harvey, 2000).
Altri possibili sviluppi potrebbero essere l’aggiunta di sessioni di gruppo al trattamento e l’utilizzo dell’EMDR (Ponniah & Steven, 2009).
Focalizzando le tecniche descritte all’insorgere dell’ASD e non riferendosi anche ai sintomi PTSD, l’esposizione sembra avere invece un ruolo fondamentale nel bloccare l’insorgere di altra sintomatologia; questo rinforza l’idea che un trattamento tempestivo sul sintomo può permettere un lavoro successivo a livello più profondo senza permettere una degenerazione del quadro clinico.

Conclusioni

L’importanza della risposta dell’individuo all’evento traumatico è di vitale importanza per trovare un trattamento appropriato.
Prima di tutto ci fa conoscere meglio il funzionamento interno del soggetto, e quindi fa capire come i suoi schemi disfunzionali si articolino per evitare di integrare l’esperienza dolorosa.
Un focus sulla specificità della persona in tal senso potrà permettere un intervento tempestivo ed efficace che eviterà il presentarsi di PTSD in seguito.
A causa del funzionamento strutturale di questi schemi, centrati sulla paura, l’esposizione e la ristrutturazione sono operazioni fondamentali per fornire strategie di coping e disconferme che saranno utili per un mantenimento dei benefici nel tempo.
In base alla presenza e alla natura dei sintomi dissociativi si può pensare di implementare l’ipnoterapia come coadiuvante.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association (2013) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5®), Fifth Edition, Arlington, VA, US: American Psychiatric Association Publishing
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  • La Mela, Carmelo (2014) Fondamenti di terapia cognitiva, Firenze, FI, IT: Maddali e Bruni
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