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La guerra (intrapsichica) che ognuno di noi deve combattere contro il terrorismo. Cinque strategie efficaci

Gli attacchi terroristici minano soprattutto il nostro senso di sicurezza e possono generare pensieri disfunzionali ed euristiche da modificare - Psicologia

Di Mauro Bruni

Pubblicato il 17 Nov. 2015

I danni causati dalle azioni che vanno sotto il nome di “terrorismo” sono di due tipi: (1) distruzione di vite, (2) distruzione del senso di sicurezza nei sopravvissuti.

 

Il bisogno di sicurezza (sapere in ogni momento di essere protetti e al sicuro) è talmente importante per noi da essere secondo solo ai bisogni fisiologici come la fame e la sete (Maslow, 1954). Quando manca, perdiamo una delle qualità fondamentali della nostra vita.

Entro certi limiti, la reazione che abbiamo di fronte agli eventi catastrofici è sotto la nostra diretta responsabilità. Cosa possiamo fare per riappropriarci della nostra sicurezza quando ci viene portata via?

Attacchi come quelli subiti il 13 novembre scorso generano (collusivamente con gli intenti di chi li ha compiuti) uno shock emotivo a cui troppo spesso si accompagna il pensiero che non ci sia niente da fare per difendersi. Gli attacchi terroristici sono eventi che non possono essere controllati. Possono colpire chiunque e in qualsiasi momento.

Se questo è quello che pensiamo, allora ci stiamo mettendo nei guai.

 

A due giorni dagli attentati, i parigini hanno spalancato le finestre dei palazzi e alzato il volume della musica: per scacciare la paura, o meglio, la paura della paura. Il genere di pensieri “non possiamo fare niente”, “siamo tutti bersagli”, “bisogna solo sperare di non essere colpiti” sono molto comuni, molto nocivi e per di più falsi.

Al contrario, ecco una serie di cose che tutti noi possiamo fare per combattere efficacemente il terrorismo.

In una situazione come quella attuale, molte delle nostre interpretazioni si rivelano inesatte perché il modo in cui pensiamo agli eventi ne influenza la percezione, restituendoci un’idea della realtà che non sempre è corretta.

Quello che dobbiamo fare è “mettere alla prova” i pensieri che ci danno l’illusione di comprendere la situazione, ma che in realtà ci ostacolano. Ecco i principali:

 

1 Non c è nessuno a difenderci

L’immenso lavoro svolto per combattere il terrorismo nasconde i suoi effetti. In altre parole non vi è prova manifesta della sua efficacia.

Il fatto che solamente la notizia degli attentati “a segno” venga registrata (e nella maniera più traumatica possibile), mentre non vi è percezione alcuna del lavoro che costantemente permette di ridurre il numero di attacchi al minimo, ci fa sentire soli, in balia degli eventi, così noi crediamo che gli attacchi non possano essere controllati.

In realtà, in ogni istante il terrorismo viene combattuto efficacemente. Dai corpi armati di ogni tipo, fino alle agenzie di Intelligence, un grande numero di persone addestrate appositamente lavora a largo raggio (l’effetto del “non dare nell’occhio” è voluto) per tenere sotto controllo il rischio di attentati.

 

2 Stanno per colpirci!

Quotidianamente, anche in tempo di pace, noi utilizziamo numerose euristiche, ossia pensieri semplificati che ci consentono di risparmiare tempo ed energie (Kahneman, Tversky, 1974). Nonostante spesso siano utili, i pensieri caratterizzati in questo modo hanno un limite.

E’ il caso in cui iniziamo a credere a un falso sillogismo. Questo si presenta quando si assume mentalmente di conoscere già la risposta (esito) e in seguito si stabilisce il percorso logico che la giustifica. Potrebbe funzionare in questo modo:

“I terroristi colpiscono i luoghi affollati, io frequento luoghi affollati, io sarò colpito!”

Generalmente siamo inconsapevoli di questo tipo di logiche; ciò che registriamo a livello cosciente sono soprattutto le conseguenze emotive di questi pensieri automatici.

Teniamo a mente di dover contrastare le euristiche e le logiche troppo semplici quando si presentano.

 

3 Stanno per colpirci! (2° variante)

Una volta analizzati attentamente, alcuni pensieri risultano affetti da varie “distorsioni cognitive” che portano a sovrastimare il pericolo reale.

Comunemente ci si riferisce a una di queste distorsioni con l’espressione ragionamento emozionale. Si presenta quando crediamo che qualcosa sia vera per il solo fatto che “sentiamo” fortemente che è così. In pratica lo stato emotivo di ansia e paura che si sente, viene utilizzato per confermare la percezione del pericolo (sono preoccupato = deve esserci un pericolo) .

In questa maniera, se per caso abbiamo prenotato un viaggio a Parigi, Londra o Roma, potremmo rinunciare a causa dell’apprensione che sorge nell’immaginarci vicini alla fonte del pericolo. In realtà, nelle zone suddette, il rischio di subire un attentato è il medesimo che in tutte le altre parti del mondo, anzi, possiamo ragionevolmente ritenere che in questo momento sia molto più basso visto il livello di allerta che attualmente garantisce maggiori controlli.

 

4 Gli islamici sono tutti terroristi

L’odio razziale è un modo imperfetto di reagire. Molte persone come prima risposta ad un attacco reagiscono con la stessa moneta.

Si tratta però di un metodo fallace di gestione delle proprie emozioni perché funziona soltanto in apparenza e non porta a nessun reale miglioramento della situazione.

D’altra parte però, la rabbia non ha in sé niente di sbagliato. L’odio è un sentimento legittimo che deve trovare espressione, senza essere distruttivo. La rabbia in questi casi è utile se ci consente di scoprire quando noi la utilizziamo per tenere a bada un altro sentimento intenso: ad esempio la paura. Si tratta di una trasformazione molto comune: accettare di essere vulnerabili infatti, è tra le sfide più difficili.

Insomma, prendercela con il fruttivendolo egiziano sotto casa non ci aiuterà (ma capire che ci possiamo sentire spaventati da qualcuno che vediamo tanto diverso da noi è già un passo in avanti).

 

5 Teniamo gli occhi aperti

Qualcuno suggerisce che la prima cosa da fare per combattere il terrorismo è passare all’azione. Siamo tutti in prima linea: guardiamo dentro ogni scatola e dietro ogni velo. Non lasciamoci sfuggire nulla. Segnaliamo tutto alle autorità, denunciamo qualsiasi sospetto.

Affermazioni del genere sono motivate dal bisogno di riappropriarsi della capacità di prevedere l’esito degli eventi. I personaggi (purtroppo anche pubblici) che avallano comportamenti di questo genere dimostrano scarsa responsabilità e nessuna comprensione dei fatti.

E’ stato dimostrato che quando alcuni soggetti (oppositivi o ansiosi) prestano un’attenzione esagerata a certi stimoli innocui o ambigui, questi ultimi vengono interpretati come realmente minacciosi. (Barrett et al, 1996).

Spingere le persone a coltivare il sospetto non può che avere effetti negativi: come in una profezia che si autoavvera, ricercare prove a sostegno di attività sospette induce facilmente a trovarne (o averne l’illusione) dietro ogni angolo, aumentando ancora di più l’incertezza e il livello del pericolo percepito.

 

In conclusione, è chiaro che in un modo o nell’altro tutti noi troviamo una strategia per combattere la nostra personale battaglia contro chi ci minaccia. Alcune di queste strategie potrebbero essere migliori di altre.

Nella nostra personale e intrapsichica lotta al terrorismo (può sembrare uno scherzo metterla in questi termini ma è ciò che concretamente facciamo in ogni istante) il nostro Locus of Control, il Luogo di Controllo, deve essere pienamente nelle nostre mani, così da essere protagonisti del nostro mondo, piuttosto che vittime del destino e sotto il segno della sfortuna.

Di fronte alla domanda “Come possiamo combattere il terrorismo?” non dobbiamo mai rimanere senza una risposta. Al contrario dobbiamo dimostrarci forti nel controllare le nostre emozioni più negative. Le parole “non possiamo fare niente” non sono ammesse e non devono essere pronunciate in nessun caso.

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SCRITTO DA
Mauro Bruni
Mauro Bruni

Psicologo Psicoterapeuta

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Barrett P.M., Rapee R.M., Dadds M.R., Ryan S.M. (1996), Family enhancement of cognitive style in anxious and aggressive children: Threat bias and the FEAR effect, Journal or Abnorrnal Child Psychology, 24: 187-203.
  • Kahneman, D., & Tversky, A. (1974). Judgment under uncertainty: Heuristics and biases. Science, 185, 1124–1131.
  • Maslow, A. (1954) Motivation and Personality.
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